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Contrasto di giudicati: quando non c’è revisione?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23101/2025, ha stabilito che non sussiste un vero e proprio contrasto di giudicati quando due sentenze irrevocabili (una di condanna e una di assoluzione) sullo stesso fatto derivano da un diverso apprezzamento della prova dovuto alla scelta di riti processuali differenti. La richiesta di revisione è stata respinta perché la divergenza non era di natura fattuale (ontologica), ma valutativa, conseguenza fisiologica del diverso coefficiente probatorio ammesso nel rito ordinario e in quello a prova contratta.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contrasto di giudicati: se il rito è diverso, la revisione non è automatica

Il principio del contrasto di giudicati rappresenta un pilastro fondamentale per la revisione di una condanna penale, ma la sua applicazione non è sempre scontata. Con la recente sentenza n. 23101 del 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che una divergenza tra una sentenza di condanna e una di assoluzione per lo stesso fatto non integra automaticamente i presupposti per la revisione, se tale discrepanza deriva dalla scelta di riti processuali differenti.

Il Caso: Due Processi, Due Verità Giudiziarie

La vicenda giudiziaria trae origine da un procedimento penale che vedeva coinvolti più imputati per reati associativi. Parte di essi sceglieva di essere giudicata con il rito ordinario, affrontando un dibattimento completo, mentre altri optavano per un rito a ‘prova contratta’ (come il giudizio abbreviato). L’esito fu diametralmente opposto: gli imputati del processo ordinario vennero assolti, mentre quelli del rito alternativo furono condannati.

La difesa di uno dei condannati ha quindi richiesto la revisione della sentenza, sostenendo l’esistenza di un inconciliabile contrasto di giudicati. La tesi era che non fosse possibile che gli stessi fatti, basati sulle medesime prove dichiarative, potessero essere considerati provati in un giudizio e non provati in un altro.

Il Rito Processuale e il finto contrasto di giudicati

La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, confermando la decisione della Corte di rinvio. Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra un conflitto ‘ontologico’ (riguardante la ricostruzione del fatto storico) e un conflitto ‘valutativo’ (riguardante l’apprezzamento della prova).

Secondo i giudici, l’esito divergente è una conseguenza ‘fisiologica’ e prevedibile della diversa architettura dei riti processuali. Ecco perché:

* Nel rito a prova contratta: Il giudice decide basandosi principalmente sugli atti delle indagini preliminari. In questo caso, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano state ritenute attendibili.
* Nel rito ordinario: La prova si forma in dibattimento, nel pieno contraddittorio tra le parti. Qui, le stesse dichiarazioni sono state valutate diversamente, ritenendole prive del necessario riscontro e, quindi, non sufficienti per una condanna.

La divergenza non nasce da fatti diversi o da prove false, ma dal ‘differente coefficiente di utilizzazione della prova’ che caratterizza ciascun rito. Nel dibattimento, la prova è sottoposta a un vaglio più stringente, mentre nel rito abbreviato si accetta di essere giudicati su una base probatoria meno ‘filtrata’.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha affermato che la richiesta di revisione era manifestamente infondata. Non vi è stato alcun travisamento dell’accertamento posto a base della decisione assolutoria. L’assoluzione non ha mai adombrato l’ipotesi che le prove a carico fossero false o artefatte, ma ha semplicemente concluso che, nel contesto del contraddittorio dibattimentale, non raggiungevano lo standard probatorio richiesto per una condanna.

La sentenza ribadisce un principio consolidato in giurisprudenza: l’inconciliabilità tra decisioni irrevocabili, per essere rilevante ai fini della revisione, deve riguardare la materialità del fatto e non la sua valutazione giuridica o probatoria. In questo caso, il conflitto era puramente valutativo e non ontologico, rendendo inapplicabile l’art. 630, comma 1, lett. a), del codice di procedura penale.

Conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Sottolinea come la scelta di un rito processuale sia una decisione strategica dalle conseguenze potenzialmente definitive. Accettare un rito a prova contratta significa accettare anche che la valutazione delle prove avvenga secondo parametri differenti rispetto al dibattimento. Di conseguenza, un’eventuale assoluzione di coimputati in un processo ordinario non potrà essere utilizzata come ‘chiave’ per la revisione della propria condanna, se la divergenza risiede unicamente nel diverso apprezzamento della stessa fonte di prova, frutto delle regole intrinseche al rito prescelto.

Cosa si intende per contrasto di giudicati ai fini della revisione?
Per la revisione è necessario un contrasto ‘ontologico’, ovvero una contraddizione insanabile nella ricostruzione dei fatti materiali tra due sentenze definitive, non una semplice differenza nella valutazione delle prove.

Perché due processi basati sulle stesse prove hanno avuto esiti opposti?
La differenza è dovuta alla scelta di riti processuali diversi. Nel rito ordinario, la prova si forma nel contraddittorio e può essere valutata in modo più critico, mentre nel rito a ‘prova contratta’ (es. abbreviato) si utilizzano gli atti delle indagini, portando a un diverso apprezzamento della loro attendibilità.

Una diversa valutazione della stessa testimonianza da parte di due giudici può giustificare la revisione?
No. Secondo la sentenza, un ‘conflitto valutativo’, cioè una diversa interpretazione del valore probatorio di una testimonianza, non costituisce un contrasto di giudicati idoneo a fondare una richiesta di revisione, se tale differenza è conseguenza delle diverse regole probatorie dei riti scelti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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