Contrasto di giudicati: se il rito è diverso, la revisione non è automatica
Il principio del contrasto di giudicati rappresenta un pilastro fondamentale per la revisione di una condanna penale, ma la sua applicazione non è sempre scontata. Con la recente sentenza n. 23101 del 2025, la Corte di Cassazione ha chiarito che una divergenza tra una sentenza di condanna e una di assoluzione per lo stesso fatto non integra automaticamente i presupposti per la revisione, se tale discrepanza deriva dalla scelta di riti processuali differenti.
Il Caso: Due Processi, Due Verità Giudiziarie
La vicenda giudiziaria trae origine da un procedimento penale che vedeva coinvolti più imputati per reati associativi. Parte di essi sceglieva di essere giudicata con il rito ordinario, affrontando un dibattimento completo, mentre altri optavano per un rito a ‘prova contratta’ (come il giudizio abbreviato). L’esito fu diametralmente opposto: gli imputati del processo ordinario vennero assolti, mentre quelli del rito alternativo furono condannati.
La difesa di uno dei condannati ha quindi richiesto la revisione della sentenza, sostenendo l’esistenza di un inconciliabile contrasto di giudicati. La tesi era che non fosse possibile che gli stessi fatti, basati sulle medesime prove dichiarative, potessero essere considerati provati in un giudizio e non provati in un altro.
Il Rito Processuale e il finto contrasto di giudicati
La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, confermando la decisione della Corte di rinvio. Il fulcro della decisione risiede nella distinzione tra un conflitto ‘ontologico’ (riguardante la ricostruzione del fatto storico) e un conflitto ‘valutativo’ (riguardante l’apprezzamento della prova).
Secondo i giudici, l’esito divergente è una conseguenza ‘fisiologica’ e prevedibile della diversa architettura dei riti processuali. Ecco perché:
* Nel rito a prova contratta: Il giudice decide basandosi principalmente sugli atti delle indagini preliminari. In questo caso, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia erano state ritenute attendibili.
* Nel rito ordinario: La prova si forma in dibattimento, nel pieno contraddittorio tra le parti. Qui, le stesse dichiarazioni sono state valutate diversamente, ritenendole prive del necessario riscontro e, quindi, non sufficienti per una condanna.
La divergenza non nasce da fatti diversi o da prove false, ma dal ‘differente coefficiente di utilizzazione della prova’ che caratterizza ciascun rito. Nel dibattimento, la prova è sottoposta a un vaglio più stringente, mentre nel rito abbreviato si accetta di essere giudicati su una base probatoria meno ‘filtrata’.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha affermato che la richiesta di revisione era manifestamente infondata. Non vi è stato alcun travisamento dell’accertamento posto a base della decisione assolutoria. L’assoluzione non ha mai adombrato l’ipotesi che le prove a carico fossero false o artefatte, ma ha semplicemente concluso che, nel contesto del contraddittorio dibattimentale, non raggiungevano lo standard probatorio richiesto per una condanna.
La sentenza ribadisce un principio consolidato in giurisprudenza: l’inconciliabilità tra decisioni irrevocabili, per essere rilevante ai fini della revisione, deve riguardare la materialità del fatto e non la sua valutazione giuridica o probatoria. In questo caso, il conflitto era puramente valutativo e non ontologico, rendendo inapplicabile l’art. 630, comma 1, lett. a), del codice di procedura penale.
Conclusioni
Questa pronuncia della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Sottolinea come la scelta di un rito processuale sia una decisione strategica dalle conseguenze potenzialmente definitive. Accettare un rito a prova contratta significa accettare anche che la valutazione delle prove avvenga secondo parametri differenti rispetto al dibattimento. Di conseguenza, un’eventuale assoluzione di coimputati in un processo ordinario non potrà essere utilizzata come ‘chiave’ per la revisione della propria condanna, se la divergenza risiede unicamente nel diverso apprezzamento della stessa fonte di prova, frutto delle regole intrinseche al rito prescelto.
Cosa si intende per contrasto di giudicati ai fini della revisione?
Per la revisione è necessario un contrasto ‘ontologico’, ovvero una contraddizione insanabile nella ricostruzione dei fatti materiali tra due sentenze definitive, non una semplice differenza nella valutazione delle prove.
Perché due processi basati sulle stesse prove hanno avuto esiti opposti?
La differenza è dovuta alla scelta di riti processuali diversi. Nel rito ordinario, la prova si forma nel contraddittorio e può essere valutata in modo più critico, mentre nel rito a ‘prova contratta’ (es. abbreviato) si utilizzano gli atti delle indagini, portando a un diverso apprezzamento della loro attendibilità.
Una diversa valutazione della stessa testimonianza da parte di due giudici può giustificare la revisione?
No. Secondo la sentenza, un ‘conflitto valutativo’, cioè una diversa interpretazione del valore probatorio di una testimonianza, non costituisce un contrasto di giudicati idoneo a fondare una richiesta di revisione, se tale differenza è conseguenza delle diverse regole probatorie dei riti scelti.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23101 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23101 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/05/2025
apprezzamento della prova dichiarativa, giacché, nella decisione a prova contratta, le dichiarazioni erano state ritenute attendibili, mentre in quello svoltosi nel pieno contraddittorio sulla prova tali dichiarazioni erano state stimate come non attendibili.
Sotto altro profilo, la Corte di rinvio ha avuto altresì modo di evidenziare che la falsità delle prove a carico non era stata affatto adombrata nel giudizio dall’esito assolutorio. Dunque, non poteva trattarsi di una decisione fondante su prove artefatte.
La sentenza emessa dalla Corte nissena in sede di rinvio ha dato, quindi, conto della mera apparenza di un contrasto di giudicati sul fatto, trattandosi viceversa del differente apprezzamento della prova dichiarativa operato in giudizi celebrati con riti diversi.
In conclusione, la Corte di rinvio ha ritenuto che nel processo dall’esito assolutorio rilevasse il giudizio in ordine al deficit di riscontro delle affermazioni dei collaboratori escussi; dunque, un conflitto valutativo, non ontologico.
Ritiene il Collegio che l’esclusione della pretesa inconciliabilità di giudicati sia stata correttamente affermata e argomentata con la sentenza impugnata, risultando manifestamente infondate le censure di travisamento dell’accertamento posto a base della decisione assolutoria.
Occorre ancora una volta precisare che l’esito divergente della -originariamente unitaria – regiudicanda è del tutto fisiologico e non apre la stura ad un potenziale contrasto tra giudicati, dipendendo dalla variabile processuale del differente rito prescelto dagli imputati. E’, infatti, inevitabile che, nel processo celebrato allo stato degli atti (c.d. a prova contratta), la piattaforma probatoria valutabile restituisca solo il valore euristico degli atti assunti nel corso delle indagini preliminari; laddove il processo ordinario celebrato in dibattimento vede valorizzare solo gli elementi di prova formati nel contraddittorio, restando ad esso estranee le evidenze investigative non tradottesi in prove dibattimentali (Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317 – 01, che si richiama anche per la giurisprudenza assolutamente conforme indicata in nota CED; v. anche, Sez. 2, n. 24324 del 26/04/2022, COGNOME, Rv. 283536 – 01: in motivazione, a pag. 3, la Corte ha precisato che naturale è il diverso epilogo in caso di decisioni assunte sulla base di riti diversi, che presuppongono un differente coefficiente di utilizzazione della prova).
In particolare, con riferimento a fattispecie associativa, si è pure affermato che, in tema di revisione, l’inconciliabilità fra decisioni irrevocabili, rilevante agli effetti di quanto dispone l’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., anche in relazione al reato di associazione per delinquere, deve essere intesa con esclusivo