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Contrasto di giudicati: non sempre c’è revisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso per revisione basato su un contrasto di giudicati. Il caso riguardava due coimputati, uno condannato e l’altro assolto per lo stesso reato in processi separati. La Corte ha chiarito che non sussiste contrasto se le sentenze, pur con esiti diversi, si basano sulla stessa ricostruzione dei fatti storici ma divergono solo nella loro valutazione giuridica, come nel caso della durata di un contratto di locazione.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contrasto di giudicati: diversa valutazione dei fatti non equivale a revisione

L’istituto della revisione per contrasto di giudicati rappresenta un presidio fondamentale di giustizia, ma i suoi confini sono rigorosamente definiti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: una mera divergenza nella valutazione delle prove tra due sentenze non è sufficiente a integrare quella “inconciliabilità oggettiva” dei fatti richiesta dalla legge per riaprire un caso. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti: Una Condanna e un’Assoluzione per lo Stesso Reato

Il caso trae origine da due procedimenti penali separati a carico di due coimputati per il reato di cui all’art. 319-quater del codice penale. Il primo imputato, scegliendo il rito abbreviato, veniva condannato dal GUP di Brescia. Il secondo, invece, affrontava il giudizio ordinario e veniva assolto dal Tribunale collegiale della stessa città.

Il fulcro della divergenza risiedeva nell’interpretazione della durata di un contratto di locazione. Il GUP, nel condannare il primo imputato, aveva ritenuto il contratto scaduto sulla base di una scrittura privata del 2013, considerando quindi indebiti i pagamenti successivi effettuati da una società. Al contrario, il Tribunale, nel processo ordinario, aveva ritenuto il contratto ancora in vigore per tacito rinnovo, giungendo così all’assoluzione del coimputato.

La Richiesta di Revisione e la Decisione della Cassazione

L’imputato condannato presentava un’istanza di revisione alla Corte d’appello di Venezia, sostenendo che le due sentenze fossero in palese contrasto di giudicati. A suo avviso, non si trattava di una diversa interpretazione, ma di una vera e propria “diversa ricostruzione” dei fatti. La Corte d’appello, tuttavia, dichiarava l’istanza inammissibile.

Contro questa decisione, la difesa ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte, però, ha confermato la decisione dei giudici di merito, dichiarando il ricorso inammissibile e consolidando un importante orientamento giurisprudenziale.

Le motivazioni: i limiti del contrasto di giudicati

La Corte di Cassazione ha riaffermato con chiarezza che il concetto di inconciliabilità tra sentenze irrevocabili, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., non si risolve in un mero contrasto logico o di principio tra le decisioni. È necessaria, invece, un'”oggettiva incompatibilità tra i fatti storici” su cui le sentenze si fondano.

Nel caso specifico, i giudici hanno osservato che entrambi i processi avevano esaminato i medesimi fatti e le medesime prove, in particolare la scrittura privata del 2013. La differenza di esito non è derivata da una ricostruzione fattuale opposta (ad esempio, l’esistenza o meno della scrittura), ma da una diversa valutazione del suo significato e della sua efficacia giuridica. Il GUP l’ha valorizzata come determinante per stabilire la scadenza del contratto; il Tribunale, invece, non le ha attribuito lo stesso peso, ritenendo prevalente il tacito rinnovo.

Questa “diversità interpretativa”, secondo la Corte, è un esito fisiologico del processo giudiziario, soprattutto quando, come in questo caso, i giudizi seguono riti diversi (abbreviato e ordinario), con regimi di utilizzabilità delle prove differenti. Non si è in presenza di due verità fattuali inconciliabili, ma di due diverse letture giuridiche della stessa realtà processuale. Di conseguenza, non sussistono i presupposti per la revisione.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione in esame rafforza un’interpretazione rigorosa dei presupposti per la revisione del processo. Non è sufficiente che due giudici, partendo dagli stessi elementi, giungano a conclusioni opposte. Per attivare questo strumento straordinario, è indispensabile che le due sentenze definitive descrivano la realtà storica in modi che si escludono a vicenda, al punto che una delle due debba essere necessariamente errata. La sentenza sottolinea che la revisione non è un terzo grado di giudizio mascherato, né uno strumento per correggere discrepanze valutative, ma un rimedio eccezionale per sanare errori di fatto conclamati e oggettivamente inconciliabili.

Quando sussiste un “contrasto di giudicati” ai fini della revisione?
Sussiste un contrasto di giudicati quando i fatti posti a base di due decisioni irrevocabili sono ricostruiti in modo oggettivamente incompatibile, e non semplicemente quando vi è una diversa valutazione giuridica degli stessi fatti storici.

Perché in questo caso la richiesta di revisione è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché la divergenza tra la sentenza di condanna e quella di assoluzione non derivava da una diversa ricostruzione dei fatti, ma da una differente valutazione della stessa prova (una scrittura privata relativa a un contratto di locazione), che non integra l’inconciliabilità richiesta dalla legge.

Una diversa valutazione della stessa prova da parte di due giudici può giustificare la revisione?
No, secondo la sentenza, una diversa valutazione o interpretazione della stessa prova, anche se conduce a esiti processuali opposti per i coimputati, è considerata una “diversità interpretativa fisiologica” e non è di per sé idonea a legittimare un’istanza di revisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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