Contrasto di giudicati: diversa valutazione dei fatti non equivale a revisione
L’istituto della revisione per contrasto di giudicati rappresenta un presidio fondamentale di giustizia, ma i suoi confini sono rigorosamente definiti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: una mera divergenza nella valutazione delle prove tra due sentenze non è sufficiente a integrare quella “inconciliabilità oggettiva” dei fatti richiesta dalla legge per riaprire un caso. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.
I Fatti: Una Condanna e un’Assoluzione per lo Stesso Reato
Il caso trae origine da due procedimenti penali separati a carico di due coimputati per il reato di cui all’art. 319-quater del codice penale. Il primo imputato, scegliendo il rito abbreviato, veniva condannato dal GUP di Brescia. Il secondo, invece, affrontava il giudizio ordinario e veniva assolto dal Tribunale collegiale della stessa città.
Il fulcro della divergenza risiedeva nell’interpretazione della durata di un contratto di locazione. Il GUP, nel condannare il primo imputato, aveva ritenuto il contratto scaduto sulla base di una scrittura privata del 2013, considerando quindi indebiti i pagamenti successivi effettuati da una società. Al contrario, il Tribunale, nel processo ordinario, aveva ritenuto il contratto ancora in vigore per tacito rinnovo, giungendo così all’assoluzione del coimputato.
La Richiesta di Revisione e la Decisione della Cassazione
L’imputato condannato presentava un’istanza di revisione alla Corte d’appello di Venezia, sostenendo che le due sentenze fossero in palese contrasto di giudicati. A suo avviso, non si trattava di una diversa interpretazione, ma di una vera e propria “diversa ricostruzione” dei fatti. La Corte d’appello, tuttavia, dichiarava l’istanza inammissibile.
Contro questa decisione, la difesa ricorreva in Cassazione. La Suprema Corte, però, ha confermato la decisione dei giudici di merito, dichiarando il ricorso inammissibile e consolidando un importante orientamento giurisprudenziale.
Le motivazioni: i limiti del contrasto di giudicati
La Corte di Cassazione ha riaffermato con chiarezza che il concetto di inconciliabilità tra sentenze irrevocabili, ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., non si risolve in un mero contrasto logico o di principio tra le decisioni. È necessaria, invece, un'”oggettiva incompatibilità tra i fatti storici” su cui le sentenze si fondano.
Nel caso specifico, i giudici hanno osservato che entrambi i processi avevano esaminato i medesimi fatti e le medesime prove, in particolare la scrittura privata del 2013. La differenza di esito non è derivata da una ricostruzione fattuale opposta (ad esempio, l’esistenza o meno della scrittura), ma da una diversa valutazione del suo significato e della sua efficacia giuridica. Il GUP l’ha valorizzata come determinante per stabilire la scadenza del contratto; il Tribunale, invece, non le ha attribuito lo stesso peso, ritenendo prevalente il tacito rinnovo.
Questa “diversità interpretativa”, secondo la Corte, è un esito fisiologico del processo giudiziario, soprattutto quando, come in questo caso, i giudizi seguono riti diversi (abbreviato e ordinario), con regimi di utilizzabilità delle prove differenti. Non si è in presenza di due verità fattuali inconciliabili, ma di due diverse letture giuridiche della stessa realtà processuale. Di conseguenza, non sussistono i presupposti per la revisione.
Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
La decisione in esame rafforza un’interpretazione rigorosa dei presupposti per la revisione del processo. Non è sufficiente che due giudici, partendo dagli stessi elementi, giungano a conclusioni opposte. Per attivare questo strumento straordinario, è indispensabile che le due sentenze definitive descrivano la realtà storica in modi che si escludono a vicenda, al punto che una delle due debba essere necessariamente errata. La sentenza sottolinea che la revisione non è un terzo grado di giudizio mascherato, né uno strumento per correggere discrepanze valutative, ma un rimedio eccezionale per sanare errori di fatto conclamati e oggettivamente inconciliabili.
Quando sussiste un “contrasto di giudicati” ai fini della revisione?
Sussiste un contrasto di giudicati quando i fatti posti a base di due decisioni irrevocabili sono ricostruiti in modo oggettivamente incompatibile, e non semplicemente quando vi è una diversa valutazione giuridica degli stessi fatti storici.
Perché in questo caso la richiesta di revisione è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché la divergenza tra la sentenza di condanna e quella di assoluzione non derivava da una diversa ricostruzione dei fatti, ma da una differente valutazione della stessa prova (una scrittura privata relativa a un contratto di locazione), che non integra l’inconciliabilità richiesta dalla legge.
Una diversa valutazione della stessa prova da parte di due giudici può giustificare la revisione?
No, secondo la sentenza, una diversa valutazione o interpretazione della stessa prova, anche se conduce a esiti processuali opposti per i coimputati, è considerata una “diversità interpretativa fisiologica” e non è di per sé idonea a legittimare un’istanza di revisione.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26157 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26157 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CONCESIO il 10/10/1962
avverso l’ordinanza del 14/10/2024 della Corte d’appello di Venezia
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Venezia dichiarava inammissibile l’istanza di revisione per contrasto di giudicati proposta nell’interesse del COGNOME condannato dal Gup di Brescia per il reato di cui all’art. 319 -quater cod. pen.
La Corte riteneva che l’istante non avesse allegato una diversa ricostruzione dei fatti posti alla base (a) della sentenza di condanna della quale si chiedeva la revisione, (b) di altra sentenza del Tribunale collegiale di Brescia che, all’esito del giudizio ordinario, aveva deciso per l’assoluzione di COGNOME coimputato del COGNOME; riteneva invece che alla base della diversa decisione visfosse una diversa valutazione dei medesimi fatti storici e, segnatamente, delle circostanze che indicavano la scadenza del contratto di locazione
(se si considerava il contratto scaduto i pagamenti effettuati dalla società RAGIONE_SOCIALE sarebbero indebiti, come ritenuto dal Gup, non così se si riteneva che il contratto fosse in corso, come ritenuto dal Tribunale).
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge: contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello di Venezia le due sentenze antagoniste sarebbero fondate non su una diversa ‘ interpretazione ‘ dei medesimi fatti ma su una diversa ‘ ricostruzione ‘ degli stessi. Infatti secondo il Gup il contratto di locazione era scaduto poiché la data di scadenza era stata decisa con una scrittura privata del 2013 che ne fissava la scadenza nel 2016, mentre per il Tribunale tale contratto era ancora in corso in ragione di un tacito rinnovo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è inammissibile
1.1. Il collegio in tema di revisione riafferma che non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (tra le altre: Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317 -01; Sez. 6, n. 20029 del 27/02/2014, COGNOME, Rv. 259449 – 01).
1.2. Nel caso in esame quello che diverge nelle due sentenze antagoniste è la valutazione della durata del contratto di locazione, con specifico riguardo al rilievo assegnato alla scrittura privata del 2013.
Tale scrittura è stata valorizzata solo dal giudice dell’abbreviato, ma non dal tribunale che procedeva con il rito ordinario. Tale scelta interpretativa divergente, contrariamente a quanto allegato dal ricorrente, non legittima l’istanza di revisione : non si registra, infatti, una diversa ricostruzione dei fatti, ma solo una diversa interpretazione delle emergenze processuali in ordine alla definizione del contratto di locazione.
Tale diversità interpretativa è fisiologica e, contrariamente a quanto dedotto, non è idonea a legittimare l’ista nza di revisione.
2 .Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’ art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il giorno 13 maggio 2025