Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44114 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44114 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata a TORINO il 09/07/1975 avverso la sentenza del 04/03/2024 della CORTE APPELLO di TORINO; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le richieste del difensore dell’imputata, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Torino ha confermato la condanna della ricorrente, NOME COGNOME per i reati di false comunicazioni sociali, evasioni fiscali ed omesse dichiarazioni fiscali, bancarotta distrattiva e documentale, commessi quale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 14/9/2018) in concorso con COGNOME Joseph.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione il difensore della COGNOME contestando il vizio di motivazione e la violazione degli artt. 125, 129, 187, 238 bis e 630
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cod. proc. pen., per la mancata assoluzione dal reato di bancarotta distrattiva di cui al capo 2 d’imputazione (inerente C 261.618,42 prelevati dal conto soci/prelevamenti, senza che fossero restituiti, allorché la società era già in perdita), per non avere la Corte d’appello preso atto dell’accertata assoluzione, in altra sede, del coimputato, COGNOME COGNOME dal medesimo delitto per insussistenza del fatto.
Si duole, parte ricorrente, che la Corte d’appello abbia motivato asserendo che la sentenza assolutoria prodotta (emessa dal Tribunale di Torino il 6/3/2023) fosse basata su elementi non emersi nel giudizio abbreviato riguardante la COGNOME, laddove la giurisprudenza della Suprema Corte consentiva solo la diversa valutazione, in sedi e con regimi probatori distinti, dei medesimi fatti, identicamente ricostruiti sotto il profilo oggettivo, non la persistenza di fatt incompatibili tra loro.
La diversità degli elementi emersi, valorizzata dalla Corte d’appello, escludeva, dunque, che si trattasse di una diversa valutazione del medesimo fatto storico.
Trattandosi di doglianza che costituirebbe motivo di revisione ex art. 630, lettera a), cod. proc. pen., ragioni di economia processuale imporrebbero in questa sede (secondo parte ricorrente) l’assoluzione per tale capo.
Inconferente sarebbe poi l’argomento utilizzato dalla Corte d’appello per confermare la condanna de qua, sulla base dell’art. 238-bis cod. proc. pen., ovvero la necessità di riscontri a quanto accertato in altra sede: principio riferito al caso in cui dalla sentenza prodotta si debba ricavare la sussistenza del fatto, non la già accertata (in altra sede) sua insussistenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
La Corte d’appello di Torino ha confermato la condanna della COGNOME, quale amministratrice di RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 6/3/2018), per avere distratto dal patrimonio sociale la detta somma a titolo di “prelevamento soci”, nonostante il marito e amministratore di fatto, COGNOME COGNOME fosse stato, con la detta sentenza del 6/3/2023, assolto dalla medesima imputazione per insussistenza del fatto, all’esito di giudizio trattato con rito ordinario.
Ciò in quanto:
nessuno specifico motivo d’appello era stato articolato dalla COGNOME al fine di contestare l’oggettiva esistenza degli episodi distrattivi (essendosi
costei limitata a dichiararsi estranea a detti fatti, non avendo amministrato la società fallita);
la sentenza riguardante il COGNOME aveva solo preso atto (sulla base di prove assunte nell’altro processo, trattato con rito ordinario, non emerse nel presente giudizio celebratosi con rito abbreviato) che vi fosse un ragionevole dubbio circa l’impiego delle somme comunque apprese (fatto incontroverso anche per la sentenza riguardante il COGNOME) per retribuire “in nero” i dipendenti della società;
infine, perché non era stata documentata la definitività della sentenza del Tribunale di Torino del 6/3/2023.
Tali rilievi del giudice d’appello (e, in particolare, la circostanza che l’odierna ricorrente non abbia mai negato l’oggettiva apprensione delle somme in questione, nonché addotto il passaggio in giudicato della sentenza inerente il COGNOME) non sono stati in alcun modo oggetto di censura in questa sede.
Al riguardo, poi, dal doveroso esame degli atti (essendosi parte ricorrente lamentata di violazioni procedurali) emerge, da un lato, che la questione non risultava oggetto di appello, neppure con motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., come sarebbe stato possibile (essendo la sentenza prodotta stata emessa in data – 6/3/2023 – successiva al gravame, datato 30/9/2021, ma, nel contempo, di gran lunga anteriore allo spirare del termine – 15 giorni prima dell’udienza del 4/3/2024 – previsto da detta norma per formulare tali motivi nuovi), ma, soprattutto, dall’altro lato, che nulla si è addotto in appello e neppure si chiarisce, in questa sede, circa l’affermazione della Corte d’appello sul fatto che non vi fosse alcuna prova del passaggio in giudicato della sentenza assolutoria del COGNOME: sicché il contrasto di giudicati non è oggettivamente possibile e non è, dunque, configurabile la lamentata violazione dell’art. 238 bis cod. proc. pen., né l’asserito vizio motivazionale.
Consegue, a quanto detto, l’esito in dispositivo, e la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 27/9/2024
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