Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27673 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27673 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato in Russia il 27/10/1966 COGNOME NOME nato a Verona il 21/03/1991
avverso l’ordinanza del 06/02/2025 del Trib. Libertà di Verona Udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore presente, Avv. NOME COGNOME in sostituzione per delega orale dell’Avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi del congiunto ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 6 febbraio 2025, il Tribunale del riesame di Verona rigettava la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del tribunale di Verona in data 18 dicembre 2024, avente ad oggetto il dipinto ritraente un soggetto maschile, secondo l’accusa falsamente accreditato come autoritratto di NOME COGNOME, sequestro disposto in relazione al delitto di cui all’art. 518 -quaterdecies , comma 1, nn. ri 2 e 4, cod. pen.
Avverso tale provvedimento hanno proposto congiunto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del comune difensore di
fiducia, articolando otto distinti motivi, di seguito sommariamente enunciati ex art. 173, disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Deducono, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 321, cod. proc. pen., 518quaterdecies , cod. pen. e 2, cod. pen., attesa la carenza dei presupposti per il sequestro preventivo, essendo stata erroneamente applicata retroattivamente la legge penale.
In sintesi, si sostiene, in relazione all’articolo 321 cod. proc. pen., che il tribunale del riesame avrebbe omesso di verificare la sussistenza del fumus commissi delicti , presupposto indefettibile della misura cautelare reale. Nel caso di specie, premette la difesa, l’accusa si fonda sulla presunta modifica effettuata da ignoti nel XIX secolo del dipinto denominato ‘Autoritratto di NOME COGNOME‘, alterazione che sarebbe stata effettuata incollando sulla superficie del dipinto un pezzo di carta con la scritta ‘ Tete d’Homme. NOME COGNOME ‘, circostanza della quale non sarebbe stata fornita alcuna prova tecnica o documentale. Gli attuali indagati, secondo l’accusa, consapevoli dell’esistenza del foglio di carta, la cui presenza ha indotto in errore gli esperti conducendo ad un’errata attribuzione dell’opera di NOME COGNOME, avrebbero messo in circolazione il dipinto. I giudici del riesame avrebbero, tuttavia, ignorato il fatto che l’accusa non aveva alcuna prova dell’esistenza del pezzo di carta, così come era stato messo in evidenza dalle argomentazioni difensive. Ciò che tuttavia costituisce l’oggetto della censura in maniera più specifica è che il tribunale avrebbe erroneamente qualificato la condotta contestata agli odierni indagati, in partic olare qualificando come ‘messa in circolazione’ la mera richiesta del c.d. attestato di libera circolazione, travisando il contenuto dell’articolo 518quaterdecies cod. pen., che richiede una concreta attività di commercializzazione e circolazione dell’opera. Si tratterebbe di un errore determinante perché, da un lato, dall’entrata in vigore della fattispecie penale oggi contestata, ossia il 23 marzo 2022, il dipinto è semplicemente rimasto in possesso della RAGIONE_SOCIALE e non è stata intrapresa alcuna azione nei suoi confronti, donde la condotta di circolazione non sussiste; dall’altro, in data 10 luglio 2023, la predetta società ha presentato una richiesta legale per ottenere l’attestato di libera circolazione, come previsto dall’articolo 68 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il quale prevede il rilascio in favore dei proprietari di opere d’arte di una autorizzazione per l’esportazione all’estero. Questa denuncia all’ufficio esportazione di Verona sarebbe stata erroneamente qualificata dal tribunale come una condotta penalmente rilevante. In sostanza, il tribunale avrebbe travisato la qualificazione giuridica di un’azione legittima da parte della società, commettendo un grave errore. Infine, si osserva, il provvedimento impugnato non avrebbe motivato in ordine alle censure sollevate dalla difesa circa le gravi violazioni commesse in fase di indagine nei confronti dell’indagato COGNOME
vittima, secondo la difesa, di gravi errori nella conduzione delle attività di indagine da parte della polizia giudiziaria, di cui viene fornita una sintetica ricognizione cronologica.
2.2. Deducono, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’applicazione retroattiva della legge penale.
In sintesi, si duole la difesa per avere il tribunale del riesame ritenuto applicabile il reato di cui all’articolo 518quaterdecies cod.pen. in violazione dell’articolo 2 cod. pen. e del conseguente divieto di irretroattività della legge penale. Le condotte contestate, collocate temporalmente tra il 3 novembre 2021 e il 10 luglio 2023, sarebbero state sussunte nelle nuove fattispecie codicistiche entrate in vigore solo il 23 marzo 2022. L’articolo 178 del Codice dei beni culturali è stato espressamente abrogato e, dunque, non potrebbe configurarsi alcuna continuità normativa con le nuove disposizioni del Codice penale oggi contestate agli odierni indagati. Erroneo, pertanto, sarebbe l’aver ritenuto sussistere una piena continuità normativa tra la previsione dell’articolo 178 citato e le nuove fattispecie oggetto di contestazione. Vi sarebbe inoltre un travisamento probatorio, in quanto il tribunale avrebbe erroneamente interpretato dalle legittime valutazioni patrimoniali contenute nel bilancio societario, come elementi di falsità penalmente rilevanti.
2.3. Deducono, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge attesa l’incompetenza funzionale del collegio per violazione delle norme processuali.
In sintesi, si sostiene che l’ordinanza sarebbe affetta da nullità assoluta per violazione delle norme sulla competenza funzionale del collegio giudicante. In particolare, i componenti del collegio si sarebbero già pronunciati quali componenti del collegio in sede di riesame avente ad oggetto il sequestro probatorio della medesima opera, deciso con ordinanza del 4 luglio 2024, configurandosi pertanto un’ipotesi di incompatibilità funzionale che avrebbe imposto la ricusazione o quantomeno una incompatibilità del collegio giudicante. Da qui, un’evidente carenza motivazionale, in quanto il tribunale si sarebbe limitato a richiamare la propria decisione utilizzandola come unico argomento per respingere le deduzioni difensive, ciò che costituisce una violazione procedurale contraria all’articolo 6 della convenzione EDU.
2.4. Deducono, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 415 -ter , cod. proc. pen. e 360, cod. proc. pen. con conseguente inutilizzabilità degli elementi probatori.
In sintesi, la difesa censura la decisione del tribunale in ordine all’utilizzo di prove assunte ancor prima dell’iscrizione dei soggetti indagati nel registro delle notizie di reato. I giudici del riesame avrebbero fondato la propria decisione sul materiale probatorio acquisito prima dell’iscrizione del procedimento nel registro
delle notizie di reato, avvenuto il 30 maggio 2024, in violazione delle garanzie difensive e del principio di legalità processuale. In particolare, si legge a pagina 6 del ricorso, sarebbero inutilizzabili una serie di documenti antecedenti alla data dell’iscrizione (s.i.t. avvocato COGNOME del 3 aprile 2024; lettera COGNOME del 23 maggio 2005; s.i.t. rese da NOME il 18 gennaio 2024; valutazione Museo del Bargello del 19 marzo 2024; conclusioni professoressa COGNOME del 3 aprile 2024). Tali documenti sarebbero stati acquisiti ancor prima dell’iscrizione del procedimento nel registro delle notizie di reato e, quindi, sarebbero inutilizzabili ai sensi dell’articolo 191 cod. proc. pen. A ciò andrebbe aggiunto quanto evidenziato in ordine agli accertamenti tecnici eseguiti dall’Opificio RAGIONE_SOCIALE e dalla Galleria degli Uffizi, che avrebbero consentito di sostenere l’attribuzione dell’opera ad un periodo pari o successivo al 1704. In particolare, si sostiene che gli accertamenti tecnici di cui sopra sarebbero stati erroneamente qualificati come ripetibili nonostante il PM avesse autorizzato esami specificamente invasivi, che 5 degli 8 esami condotti dall’RAGIONE_SOCIALE sarebbero intrinsecamente invasivi e, quindi, irripetibili, che il PM avrebbe per due volte nominato un consulente tecnico per essere presente agli esami irripetibili ma il consulente tecnico non sarebbe stato autorizzato a presenziare a questi esami, che la perizia difetta del conferimento dell’incarico, avendo peraltro il tribunale ignorato la violazione degli articoli 225, 226 e 227 cod. proc. pen. Analoghe considerazioni valgono per quanto riguarda la relazione della Galleria degli Uffizi.
2.5. Deducono, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 111 Cost., 192, 360, 526, cod. proc. pen. sotto il profilo del travisamento della prova e contraddittorietà della motivazione.
In sintesi, anzitutto si sostiene che il tribunale del riesame avrebbe fondato il proprio convincimento su elementi probatori acquisiti in violazione delle garanzie difensive in particolare violando l’articolo 192 cod. proc. pen. nella valutazione delle prove. Segnatamente, avrebbe fondato il proprio convincimento sulla presunta esistenza di un pezzo di carta la cui presenza non è documentata, contraddicendosi laddove riconosce l’assenza di riscontri probatori. Sulla base di prove illegittime, ottenute durante l’indagine illegittima, il tribunale del riesame avrebbe impropriamente concluso che il ritratto non è certamente un autoritratto di NOME COGNOME. Il tribunale avrebbe poi immotivatamente disatteso le perizie difensive senza fornire adeguata motivazione, in violazione del principio del contraddittorio, ingiustificatamente dichiarando inidonea e, dunque, utilizzabile, la perizia difensiva, senza citare un solo argomento oggettivo a sostegno di questa affermazione, con conseguente violazione del principio della parità delle armi. In relazione agli accertamenti tecnici, il tribunale avrebbe assunto la propria decisione in violazione dell’articolo 360 cod. proc. pen. e delle garanzie difensive,
in quarto gli esami dell’Opificio RAGIONE_SOCIALE, per la loro natura invasiva, rientrano tra gli accertamenti irripetibili. L’ordinanza, infine, sarebbe manifestamente illogica nella valutazione del fumus commissi delicti , fondato su una circostanza non oggetto dell’imputazione, ossia l’errata attribuzione del dipinto, nonché per aver omesso di valutare le perizie difensive non contestate dall’accusa.
2.6. Deducono, con il sesto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 192, 191 cod. proc. pen. e 518quaterdecies , cod. pen., atteso il travisamento probatorio e la manifesta illogicità della motivazione.
In sintesi, la difesa censura l’ordinanza che avrebbe completamente ignorato le prove della difesa che confermavano l’assenza di modifica. In particolare, avrebbe ignorato il fatto che l’accusa non ha alcuna prova materiale o intangibile che il dipinto sia stato modificato incollando un pezzo di carta con una scritta sulla superficie. I giudici avrebbero fatto riferimento alle argomentazioni difensive riguardanti la menzione di questa carta, di questa iscrizione, nella relazione dell’esperta britannica NOME COGNOME la cui consulenza sarebbe però stata interpretata in modo errato. Il tribunale avrebbe travisato il contenuto della stessa e considerato le dichiarazioni dell’esperta come prova di una modifica dell’opera. Il Tribunale avrebbe poi illegittimamente messo in dubbio le circostanze dell’acquisto del dipinto da parte del Nasobin nel 2004, ma si tratterebbe di questione irrilevante per l’oggetto della controversia in quanto le accuse in questione non riguardano il momento dell’acquisto dell’opera. La difesa avrebbe presentato l’originale della ricevuta di acquisto contenente i numeri degli assegni bancari che confermano la legalità della transazione, ma il tribunale li avrebbe ignorati. Il tribunale riconosce l’esistenza di argomentazioni difensive secondo cui gli indagati non hanno mai avuto l’intenzione di vendere o di mettere in vendita l’opera in questione, ma avrebbe impropriamente affermato che tale argomento non sarebbe decisivo. È evidente che, non essendovi l’intenzione di vendere il dipinto, non vi sarebbe alcun reato, rendendo quindi illegittima l’applicazione del sequestro. Infine, il tribunale avrebbe, da un lato, completamente ignorato l’argomentazione difensiva secondo cui il dipinto è stato conferito nel capitale sociale di una società per azioni, il che di fatto renderebbe la sua vendita impossibile a causa della complessità delle procedure amministrative e della legittima vigilanza e, dall’altro, avrebbe ignorato i rapporti della difesa sulle numerose violazioni procedurali commesse durante l’indagine di cui sarebbe stato vittima il COGNOME.
2.7. Deducono, con il settimo motivo, il vizio di violazione di legge sotto il profilo della violazione dell’art. 125, cod. proc. pen.
In sintesi, la difesa censura l’ordinanza nella parte in cui viola l’obbligo motivazionale previsto appena di nullità. In particolare, il provvedimento non ha fornito alcuna autonoma valutazione circa la sussistenza dei requisiti del sequestro preventivo emesso dal GIP, avendo operato il richiamo alla diversa ordinanza emessa in sede di impugnazione sul sequestro probatorio, avente ad oggetto l’opera in questione. La circostanza di aver integralmente richiamato l’ordinanza emessa nell’ambito del procedimento di riesame contro il sequestro probatorio, senza alcuna autonoma valutazione, violerebbe l’articolo 125 del codice di rito, attesa la profonda diversità dei presupposti alla base dei due sequestri. La motivazione resa, dunque, costituirebbe un classico esempio di motivazione per relationem non ammissibile nel caso in esame in quarto l’ordinanza richiamata, resa nella procedura di riesame avente ad oggetto il sequestro probatorio, era stata emanata su presupposti e compendio probatorio divergente rispetto al decreto di sequestro preventivo.
2.8. Deducono, con l’ottavo ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge sotto il profilo della nullità per violazione dell’art. 360, cod. proc. pen., attesa la natura irripetibile degli accertamenti tecnici eseguiti e correlato vizio di motivazione apparente.
In sintesi, la difesa degli indagati censura l’ordinanza in quanto affetta da nullità con riferimento agli accertamenti tecnici eseguiti da parte dei consulenti della Procura sul dipinto in questione e che hanno determinato l’adozione della misura cautelare. La difesa aveva dedotto la inutilizzabilità delle due relazioni affidate alla Galleria degli Uffizi e all’Opificio delle Pietre Dure, per carenza di instaurazione del contraddittorio e violazione dell’articolo 360 cod. proc. pen., ciò stante la loro nat ura irripetibile. L’irripetibilità di tali accertamenti comportava l’onere in capo al pubblico ministero di notificare l’avviso agli indagati. I predetti enti, infatti, avrebbero eseguito numerosi esami sul dipinto condotti con tecniche per loro stessa nat ura irripetibili determinandone l’alterazione. Le due relazioni, peraltro, sarebbero incomplete e poco chiare, frutto di errori nel conferimento di un preciso incarico. L’ordinanza, in ogni caso, sarebbe affetta da apparenza motivazionale sul punto.
In data 16 giugno 2025 sono state trasmesse a questo Ufficio le conclusioni scritte del Procuratore generale presso questa Corte, cui si è riportato in sede di trattazione orale, con richiesta di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi.
Rileva il PG che il provvedimento impugnato, rigettando l’istanza di riesame, ha confermato il sequestro preventivo disposto dal GIP del Tribunale di Verona in data 18 dicembre 2024 e così facendo ha fatto proprie le argomentazioni svolte in quel provvedimento genetico. Nessun difetto motivazionale può essere
lamentato nella specie avendo il Tribunale del Riesame argomentato e risposto alle critiche difensive svolte in sede di riesame reale. È appena il caso di ricordare che l’art.325 c.p.p. al comma 1 limita il ricorso per cassazione, in sede di misure cautelari reali, solo alla violazione di legge. La motivazione nella specie è presente ed il provvedimento risponde adeguatamente su tutti i punti affrontati dalla difesa con il ricorso al Tribunale del riesame. Il ricorso, oltre a scadere nel fatto, è meramente reiterativo degli argomenti e motivi sostenuti nelle precedenti sedi di merito. Giova, al riguardo osservare che:’ È inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato’ (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, COGNOME e altri, Rv. 26060801).
I n data 6 giugno 2025, l’avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME ha trasmesso istanza di trattazione orale dell’udienza fissata per il giorno 2 luglio 2025 in camera di consiglio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, trattati oralmente a seguito di tempestiva richiesta di discussione orale, sono inammissibili.
Il primo motivo è anzitutto inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
2.1. È generico per aspecificità, non confrontandosi con le argomentazioni dell’ordinanza impugnata che hanno chiarito le ragioni per le quali il fatto fosse sussumibile nella fattispecie astratta di reato oggetto di contestazione.
In particolare, infatti, il tribunale del riesame, si diffonde in maniera puntuale alle pagg. 2/6 dell’ordinanza nell’illustrare le ragioni della configurabilità astratta del fumus del reato ipotizzato. Segnatamente, i giudici del riesame richiamano per relationem l’ordinanza emessa nella procedura riguardante il riesame del sequestro probatorio, in cui valorizzano una serie di elementi di prova (costituiti dalle dichiarazioni dell’esperto COGNOME, dalla dottoressa COGNOME, dalla relazione dei Musei del COGNOME e dall’attestazione della professoressa COGNOME, tutti concordanti nell’escludere l’attribuzione dell’opera a NOME COGNOME e alla sua epoca storica, elementi ampiamente sufficienti a fondare il fumus dell’alterazione dell’opera pittorica in oggetto, considerata dagli esperti come un’opera ottocentesca e non certo come un autoritratto dell’artista NOME
COGNOME risalente alla metà del sedicesimo secolo. Quanto sopra sarebbe poi stato ulteriormente corroborato dalla incerta provenienza del dipinto, quale emersa nel corso delle indagini. Il riferimento è al contenuto della denuncia per traffico di influenze illecite presentata dal Rovani in cui questi affermava che il suocero COGNOME aveva acquistato il dipinto nel 2004 ad un’asta di antiquariato francese, laddove invece il COGNOME aveva dichiarato di aver acquistato il dipinto presso una fiera nel Comune di Fayence , e, dunque, non ad un’asta. Inoltre, si legge nell’ordinanza, non era stata fornita come attestazione di proprietà una fattura di acquisto, ma una semplice scrittura privata portante l’intestazione di un antiquario di Monaco. A ciò si aggiunge che la teste COGNOME NOME (che aveva effettuato l’ expertise dell’opera senza averla mai vista), aveva riferito che il proprietario gli aveva detto di aver acquistato l’opera in un mercatino di Parigi. Evidenti, dunque, le incertezze circa la provenienza del dipinto. Quanto alla configurabilità del reato di cui all’articolo 518quaterdecies , i giudici del riesame correttamente ricordano come, tra le condotte alternative previste dal comma 1 n. 2, vi è quella di porre comunque in circolazione come autentici, esemplari contraffatti alterati o riprodotti di opere d’arte. Per tale ragione, osservano i giudici di merito, non sarebbe dirimente l’argomento difensivo secondo cui gli indagati non avrebbero mai inteso commercializzare o vendere l’opera in questione. È pacifico, peraltro, si legge nel provvedimento impugnato, che l’opera in questione, attribuita falsamente al Cellini, è stata posta in circolazione dagli indagati per mezzo della società RAGIONE_SOCIALE , tanto che ne stato richiesto all’unità di esportazione della Soprintendenza l’attestato di libera circolazione che ne consente il trasferimento definitivo all’estero. I giudici, inoltre, non escludono nemmeno la finalità di lucro considerando che tutte le condotte poste in essere dagli indagati risultano rientrare in un disegno teso ad avvalorare, attraverso le referenze del Ministero dei beni culturali, l’attribuzione dell’opera ottocentesca al Cellini, con evidente interesse patrimoniale per la società, tanto che il dipinto, acquistato asseritamente per 3.200 € nelle circostanze dubbie di cui si è detto, ed accreditato come genuino mediante una perizia asseverata, avrebbe un valore economico dichiarato di oltre 107 mln. di euro. È rilevante, a tal proposito, quanto riferito dall’avvocato COGNOME circa la richiesta effettuata da un legale per conto degli indagati della possibilità di creare dei non fungible token della copia digitale dell’opera in questione, a cui sarebbe seguito un marketplace in cui vendere gli NFT a possibili acquirenti, iniziativa che smentirebbe in proposito quanto dichiarato dagli indagati di non voler ricevere alcun profitto economico dall’opera in questione. Sarebbe, poi, configurabile l’ipotesi di cui al comma 1 n. 4 del citato articolo 518 -quaterdecies cod. pen., in quanto il fatto sarebbe integrato dalla richiesta di rilascio dell’attestato di libera circolazione, corredata da documentazione varia. A
corroborare poi la configurabilità del fumus dell’illecito, si aggiungerebbero gli esiti delle analisi tecniche condotte dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e dalla Galleria degli Uffizi di Firenze di cui viene dato conto a pg. 5 dell’ordinanza impugnata. Sulla base di tali analisi sarebbero state ulteriormente confermate, quantomeno al livello indiziario, le conclusioni a cui sono giunti gli altri studiosi ed esperti in precedenza interpellati, ossia che il dipinto in oggetto non è di epoca cinquecentesca, ma piuttosto ottocentesca, e dunque non può in alcun modo essere attribuito alla mano del COGNOME. In particolare, vengono considerate significative le indagini tecniche e scientifiche effettuate sul dipinto col riscontro della presenza di un pigmento (il cd. blu di prussia) ancora non esistente nel 1500, che è stato sintetizzato nei primi anni del 1700 e utilizzato a partire dai decenni successivi. L’esito dell’analisi tecnico-scientifica, secondo i giudici del riesame, non avrebbe fatto altro che confermare le stesse conclusioni cui i predetti istituti nazionali sono giunti sulla base dell’analisi storico/stilistica del dipinto.
2.2. Le doglianze difensive, con cui si contesta l’approdo valutativo dei giudici del riesame, non hanno quindi all’evidenza pregio, in quanto, attraverso la spendita di argomenti puramente fattuali (quali, da un lato, il fatto che l’accusa non avrebbe alcuna p rova dell’esistenza del ‘pezzo di carta’; dall’altro, che i giudici avrebbero erroneamente qualificato come ‘messa in circolazione’ la mera richiesta del c.d. attestato di libera circolazione, travisando il contenuto dell’articolo 518quaterdecies cod. pen.; ancora, il fatto che il provvedimento impugnato non avrebbe motivato in ordine alle censure sollevate dalla difesa circa le gravi violazioni commesse in fase di indagine nei confronti dell’indagato COGNOME tentano di trascinare questa Corte sul terreno del fatto, operazione vietata in sede di legittimità.
2.3. Corretta, peraltro, è la lettura operata dai giudici del riesame, in quanto l’art. 518 -quaterdecies , comma 1, n. 2, cod. pen., punisce chiunque ‘ comunque pone in circolazione , come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura o grafica, di oggetti di antichità o di oggetti di interesse storico o archeologico’, condotta pienamente integrata nel caso in esame.
Analogamente il comma 1 n. 4 della medesima disposizione punisce chiunque ‘mediante altre dichiarazioni, perizie, pubblicazioni, apposizione di timbri o etichette o con qualsiasi altro mezzo, accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentici opere od oggetti indicati ai numeri 1) e 2) contraffatti, alterati o riprodotti’, condotta anche questa pienamente integrata dall’esistenza di una perizia che ne asseverava l’autenticità. Del resto, si osserva, la condotta finalizzata ad o ttenere l’attestato di libera circolazione non può essere considerata neutra. L’attestato di libera circolazione è infatti un documento
fondamentale per la movimentazione delle opere d’arte, in quanto certifica che l’opera può essere esportata legalmente dal paese di origine. La presenza di un attestato di libera circolazione aumenta la fiducia nel mercato dell’arte, garantendo che le opere in circolazione siano autentiche e legalmente commerciabili. Tuttavia, quando si tratta di opere contraffatte, la situazione muta. Questo documento viene infatti rilasciato solo per opere autentiche e di valore culturale riconosciuto. Se un’opera è contraffatta, non può ottenere questo attestato, poiché la sua autenticità è una condizione imprescindibile.
3. Il secondo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
3.1. I giudici del riesame, nel confutare l’argomentazione difensiva, affermano a pagina 8 dell’ordinanza impugnata come le condotte oggetto di contestazione fossero già punite dall’articolo 178 del Codice dei beni culturali, sussistendo una piena continuità normativa con la nuova fattispecie introdotta dal codice penale, in tal senso quindi ritenendo destituite di fondamento le doglianze riguardanti l’applicazione della norma incriminatrice anche ai fatti precedenti l’entrata in vigore della legge n. 22 de l 2022.
3.2. L’affermazione è giuridicamente corretta.
L’art. 1, comma 1, lett. b), della legge n.22/2022 ha introdotto nel Codice penale, all’interno dell’inedito Titolo VIII -bis intitolato «Dei delitti contro il patrimonio culturale», una serie di disposizioni. Si tratta di quattordici incriminazioni di nuova introduzione o comunque ricollocate nel Codice penale (tredici delittuose inserite nel nuovo Titolo VIII-bis del Libro II; una contravvenzionale nel Libro III del Codice penale), la gran parte delle quali, peraltro, aventi natura di norme a più fattispecie. Tra queste, alcune si limitano a riprodurre nel Codice penale, in ossequio al principio della riserva di codice, con coevo inasprimento dei compassi edittali, i (soli) delitti del patrimonio culturale già ospitati in seno al codice di settore (ove ora restano allocate le sole contravvenzioni) contestualmente abrogati all’art. 5, comma 2, lett. b), dalla stessa legge n. 22 del 2022.
3.3. Una di queste è proprio rappresentata dall’art. 518 -quaterdecies (Contraffazione di opere d’arte), che punisce le condotte già sanzionate dal previgente art. 178 cod. beni cult., ora abrogato dall’art. 5, comma 2, lett. b), della stessa legge n. 22 del 2022, a sua volta corrispondente all’art. 128 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, norma a sua volta riproduttiva dei precetti già contenuti negli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062 (cd. Legge COGNOME). La nuova fattispecie codicistica punisce al comma primo (più severamente del passato) con la reclusione da uno a cinque anni e la multa da
3.000 a 10.000 euro le medesime condotte di contraffazione già punite dall’abrogato art. 178 d. lgs. n. 42 del 2004.
3.4. Limitatamente alle nuove sanzioni abbinate a tale reato (ora codificato) vale perciò il principio di irretroattività della pena (artt. 25, comma secondo, Cost. e 7 CEDU; 1 cod. pen.); per il resto si versa nella ipotesi di scuola della ‘ abrogatio sine abolitione ‘ con conseguente continuità normativa del tipo di illecito, già punito secondo la legge (complementare) previgente e che conserva rilevanza penale anche sotto la nuova disciplina codicistica (sulla continuità normativa tra l’abrogato delitto di cui all’art. 174 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e quello attualmente previsto dall’art. 518undecies cod. pen., introdotto dalla legge 9 marzo 2022, n. 22, si v. Sez. 3, n. 36265 del 15/06/2023, Pmt c/ Andretta, Rv. 284907 -01; ancora, sulla continuità normativa tra l’art. 639, comma secondo, secondo periodo, cod. pen., abrogato dall’art. 5, comma 2, legge 9 marzo 2022, n. 22, recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, e l’art. 518duodecies , comma secondo, cod. pen., si v. Sez. 2, n. 51260 del 16/11/2023, COGNOME, Rv. 285668 -01; sulla continuità normativa tra l’art. 173 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, confluito in quello di cui all’art. 518novies cod. pen., si v. Sez. 3, n. 30653 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286801 -01; inoltre, sulla continuità normativa tra il delitto di danneggiamento aggravato di cose di interesse storico o artistico, di cui all’art. 635, comma secondo, n. 3, cod. pen., nella formulazione conseguente alle modifiche apportate dall’art. 3, comma 2, lett. a), legge 15 luglio 2009, n. 94, il delitto autonomo di danneggiamento, avente ad oggetto i medesimi beni, di cui all’art. 635, comma secondo, n. 1, cod. pen., nel testo successivo alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lett. l), d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, e il delitto di distruzione, deterioramento o deturpamento di beni culturali o paesaggistici, di cui all’art. 518duodecies , comma primo, cod. pen., introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. b), legge 9 marzo 2022, n. 22, si v. Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287024 -01).
Anche il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
4.1. Nessuna nullità vi verifica, infatti, nel caso in cui il medesimo collegio del tribunale del riesame sia chiamato a decidere sia l’impugnazione in sede incidentale cautelare del sequestro preventivo e del sequestro probatorio sulla medesima res .
Come, infatti, evidenziato dalla Corte costituzionale, nella pronuncia sulle misure cautelari reali manca quella incisiva valutazione prognostica sulla responsabilità dell’imputato, basata sui gravi indizi di colpevolezza, che potrebbe rendere, o far apparire, condizionato il successivo giudizio di merito da parte dello stesso giudice (Corte cost., 21 marzo 1997, n. 66, che ha ritenuto non
configurabile l’incompatibilità al giudizio del giudice che, prima del dibattimento, si sia pronunciato in merito al sequestro preventivo di cose pertinenti al reato, quale G.I.P. o quale componente del Tribunale del riesame).
Peraltro, laddove venisse accertata in concreto la sussistenza di una valutazione sul merito dell’accusa compiuta in quella sede dal giudice procedente, dovrebbero trovare applicazione gli istituti dell’astensione o della ricusazione, posto che, alla luce della sentenza n. 113 del 2000 (Corte cost., 20 aprile 2000, n. 113), deve ritenersi, ai fini dell’obbligo di astensione, che le gravi ragioni di convenienza di cui all’ art. 36, comma 1, lett. h), riguardino non soltanto “situazioni private del giudice”, ma anche l’attività giurisdizionale comunque svolta in precedenza (Corte cost., 22 giugno 2004, n. 181).
4.2. Peraltro, difformemente da quanto sostenuto dalla difesa, è pacifico in giurisprudenza che l’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen., non incidendo sulla capacità del giudice, non determina la nullità del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile, ma costituisce esclusivamente motivo di astensione e di ricusazione, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen. (tra le tante, Sez. 6, n. 18707 del 09/02/2016, Rv. 266990 -01).
Il quarto motivo è parimenti inammissibile per manifesta infondatezza.
5.1. La difesa evoca erroneamente la violazione della norma processuale di cui all’art. 415 -ter , cod. proc. pen.
La norma si applica dopo che siano spirati i termini dell’art. 407 -bis , comma 2, cod. proc. pen. così collocandosi ben oltre le scadenze dell’art. 405, comma 2, cod. proc. pen. La considerazione è utile per comprendere quale sia il regime degli elementi eventualmente acquisiti dal pubblico ministero in questa fase: si tratterebbe di risultanze raccolte fuori termine senza che siano state assunte determinazioni sull’azione penale; ne andrebbe predicata l’inutilizzabilità, non solo e non tanto perché dovrebbe ritenersi applicabile l’art. 407, comma 2, cod. proc. pen., ma perché un tale contegno vulnererebbe una serie di prerogative costituzionali, creando, nei fatti, una prova illegittima perché acquisita in spregio ai dettami di fonte superiore.
5.2. Nella specie, l’eccezione è eccentrica in quanto gli elementi probatori di cui si predica l’inutilizzabilità sarebbero costituiti, nell’assunto difensivo, da documenti e verbali di s.i.t. formati in data antecedente all’iscrizione del procedimento nel registro notizie di reato.
Ed infatti, questa Corte ha già in più occasioni chiarito che la tardiva iscrizione del nome dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. non determina alcuna invalidità delle indagini preliminari ma consente, tuttavia, al
giudice di rideterminarne il termine iniziale, in riferimento al momento in cui si sarebbe dovuta iscrivere la notizia di reato; ne deriva che la tardiva iscrizione può incidere sulla utilizzabilità delle indagini finali ma non sulla utilizzabilità di quelle svolte prima della iscrizione e che il relativo accertamento non è censurabile in sede di legittimità qualora sia sorretto da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 1410 del 21/09/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 236029 – 01).
Dunque, gli atti d’indagine cui si è riferita la difesa degli indagati, anche se formati prima dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato, restano pienamente utilizzabili nel presente procedimento.
5.3. Quanto, poi, alla erronea qualificazione degli accertamenti come ripetibili, con conseguente violazione dell’art. 360, cod. proc. pen., censurata, oltre che nel presente motivo anche nel quinto e nell’ottavo motivo (dunque, in questa sede, unitariamente trattati), si tratta di censura del tutto priva di pregio in quanto si fonda sull’assunto per il quale gli accertamenti svolti sul dipinto in questione sarebbero irripetibili, ossia avrebbero determinato la modifica irreversibile o l’alterazione della res , ciò che presuppone una valutazione nel merito della ripetibilità o meno delle attività tecniche svolte, valutazione tuttavia non suscettibile di sindacato in questa sede, perdipiù nell’incidente cautelare reale di legittimità, attivabile solo per violazione di legge ex art. 325, cod. proc. pen.
Il quinto ed il sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente, stante l’intima connessione dei profili di doglianza mossi.
In entrambi, infatti, si denuncia il vizio di travisamento della prova, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Si tratta di censure inammissibili in quanto poste fuori dai casi consentiti dalla legge, in particolare trovando applicazione in questa fase l’art. 325, cod. proc. pen., che consente il ricorso solo per il vizio di violazione di legge.
6.1. L’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., invero, prevede che il ricorso in cassazione avvenga per violazione di legge. In proposito le Sezioni Unite hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall’ art. 606, lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.c. COGNOME in proc.COGNOME, Rv. 226710 -01). Pertanto nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e
ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692 -01; conf. Sez. U, n. 25933 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239700 -01, non massimata sul punto), ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’ art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (tra le tante: Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, COGNOME Rv. 248129 – 01).
7. Il settimo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
7.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, infatti, che la motivazione ” per relationem ” di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. 5, n. 11191 del 12/02/2002, Soriano, Rv. 221127 -01).
7.2. Poiché la motivazione richiesta dall’art. 321 cod. proc. pen. è diretta a consentire all’interessato e al giudice degli eventuali successivi gradi di giurisdizione la conoscenza delle ragioni del provvedimento per verificarne correttezza e legittimità, allorché nell’ambito dello stesso procedimento vengono emanati più provvedimenti, è legittima la motivazione ” per relationem ” a uno di quelli precedenti, giacché lo scopo della norma è raggiunto, essendo la motivazione richiamata conosciuta o conoscibile dall’interessato (si v., Sez. 1, n. 191 del 12/01/2000, COGNOME, Rv. 215364 – 01).
Tanto il sequestro preventivo quanto il probatorio, del resto, richiedono l’esistenza di un fumus di reato per cui si procede (essendo il ‘fumus” un requisito fondamentale per entrambi i tipi di sequestro, in entrambi i casi non implicando peraltro la prova definitiva della colpevolezza dell’indagato; inoltre, il ‘fumus’ serve a giustificare il sequestro come misura cautelare, sia per acquisire prove sia per prevenire ulteriori reati), divergendo unicamente con riferimento alle finalità per i quali sono disposti, in quanto, il sequestro probatorio mira a raccogliere prove per l’accertamento dei fatti relativi a un reato, mentre il sequestro preventivo è finalizzato ad impedire che un reato venga commesso o che i suoi effetti siano
ulteriormente pregiudizievoli. Il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova, mentre quello preventivo è una misura cautelare reale che mira a prevenire il compimento di reati.
Dell’ottavo motivo, infine, si è già detto nel precedente § 5.3., cui si rimanda.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella loro proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 02/07/2025