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Contraffazione non grossolana: reato anche senza inganno

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la detenzione a scopo di vendita di prodotti con marchio contraffatto. La Corte ha ribadito che il reato di cui all’art. 474 c.p. si configura anche in caso di contraffazione non grossolana, poiché la norma tutela la fede pubblica e non la libera determinazione dell’acquirente. Pertanto, è irrilevante che la falsificazione sia tale da non trarre in inganno i potenziali compratori. Il ricorso è stato respinto anche per la genericità dei motivi relativi alla motivazione della condanna e alla determinazione della pena.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione non Grossolana: Quando la Vendita è Reato Anche Senza Inganno

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul delitto di detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti, chiarendo un principio fondamentale: il reato sussiste anche in caso di contraffazione non grossolana, a prescindere dalla possibilità che l’acquirente venga effettivamente ingannato. Questa decisione ribadisce che il bene giuridico tutelato dalla norma non è il patrimonio del singolo consumatore, ma la fede pubblica, intesa come l’affidamento collettivo nell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi.

Il Caso in Esame: Un Ricorso contro la Condanna per Prodotti Falsi

La vicenda trae origine dalla condanna di un soggetto, confermata in appello, per il reato previsto dall’art. 474 del codice penale. L’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando principalmente due aspetti. In primo luogo, contestava la correttezza della motivazione della sentenza di condanna, ritenendola carente. In secondo luogo, sollevava questioni relative alla quantificazione della pena e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti.

L’argomentazione difensiva, già presentata in appello, si basava implicitamente sulla tesi che la falsificazione fosse di qualità tale da non poter ingannare nessuno, suggerendo così l’insussistenza del reato. Tuttavia, questa linea difensiva si è scontrata con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.

La Contraffazione non Grossolana e la Tutela della Fede Pubblica

Il cuore della pronuncia della Suprema Corte risiede nella natura del reato contestato. I giudici hanno sottolineato che l’articolo 474 del codice penale configura un reato di pericolo. Questo significa che la legge punisce la condotta per il solo fatto di mettere a rischio un bene giuridico, senza che sia necessario il verificarsi di un danno concreto.

Il bene protetto è la fede pubblica, ovvero la fiducia dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che identificano l’origine e la qualità dei prodotti industriali. La norma, quindi, non mira a tutelare in via principale la libera scelta dell’acquirente, ma l’ordine economico e la lealtà commerciale, garantendo la circolazione di prodotti autentici a tutela dei titolari dei marchi e del mercato stesso. Di conseguenza, per la configurazione del reato, non è necessario che si realizzi un inganno ai danni del consumatore.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni. Anzitutto, i motivi di ricorso sono stati giudicati generici e aspecifici, in violazione dell’art. 581 del codice di procedura penale. L’imputato si era limitato a riproporre le stesse doglianze già respinte dalla Corte d’Appello, senza muovere una critica argomentata e specifica alla motivazione della sentenza impugnata. Questo comportamento processuale, secondo la Corte, non assolve alla funzione tipica dell’impugnazione.

Nel merito, i giudici hanno ribadito il principio di diritto secondo cui «integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione non grossolana». La Corte ha chiarito che l’eventuale grossolanità della falsificazione e le condizioni di vendita, tali da escludere l’inganno, non rendono il fatto un reato impossibile. La tutela della fede pubblica prescinde dalla concreta possibilità di trarre in inganno il singolo acquirente. Anche i motivi relativi al trattamento sanzionatorio sono stati ritenuti infondati, poiché i giudici di merito avevano esercitato correttamente la loro discrezionalità, fornendo una motivazione adeguata e non illogica sia sulla pena base sia sul diniego delle attenuanti generiche.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di lotta alla contraffazione. Le implicazioni pratiche sono chiare: chiunque detenga per la vendita prodotti con marchi falsi commette reato, anche se la falsificazione è riconoscibile o se il prezzo di vendita è così basso da non poter ingenerare equivoci sulla natura del prodotto. La decisione serve da monito, ricordando che la protezione legale va oltre il singolo atto di acquisto e si estende alla salvaguardia dell’integrità del mercato e della fiducia collettiva nei segni distintivi, pilastri fondamentali del nostro sistema economico.

Vendere un prodotto con un marchio palesemente falso è comunque reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione. Il reato previsto dall’art. 474 c.p. è un reato di pericolo che tutela la fede pubblica. Pertanto, la sua configurazione non richiede che si realizzi l’inganno dell’acquirente, essendo irrilevante che la grossolanità della contraffazione possa escludere la possibilità di trarre in inganno i compratori.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi presentati erano privi dei requisiti di specificità richiesti dalla legge (art. 581 c.p.p.). Essi si limitavano a reiterare argomenti già esaminati e respinti dalla corte d’appello, senza una critica puntuale e argomentata della decisione impugnata.

Qual è il bene giuridico protetto dall’articolo 474 del codice penale?
L’articolo 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, la fede pubblica. Questo bene giuridico è inteso come l’affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che identificano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali, garantendone la circolazione e tutelando anche il titolare del marchio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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