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Contraffazione non grossolana: irrilevante per il reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per vendita di prodotti contraffatti. La Corte stabilisce che il reato sussiste indipendentemente dalla qualità della falsificazione, poiché la norma sulla contraffazione non grossolana tutela la fede pubblica e non l’inganno del singolo acquirente. Viene confermato che si tratta di un reato di pericolo, per cui la possibilità di trarre in inganno il compratore è irrilevante.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione non Grossolana: Perché il Reato Sussiste Anche se il Falso è Evidente

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale in materia di reati contro la fede pubblica, specificando i contorni del delitto di commercio di prodotti con segni falsi. La questione centrale riguarda la rilevanza della qualità della falsificazione ai fini della configurabilità del reato: anche una contraffazione non grossolana, ovvero palesemente riconoscibile, integra il reato? La risposta della Suprema Corte è netta e riafferma un principio fondamentale a tutela del mercato e dei titolari dei marchi.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato in appello per i delitti di cui agli articoli 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) e 648 (Ricettazione) del codice penale. L’imputato, attraverso il suo difensore, ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello, sollevando diverse censure relative sia alla sua responsabilità penale sia al trattamento sanzionatorio applicato.

I Motivi del Ricorso e la questione della Contraffazione non Grossolana

Il ricorrente ha articolato il suo appello in Cassazione su quattro distinti motivi, che toccavano diversi aspetti della decisione di merito.

1. L’erronea applicazione dell’art. 474 c.p.

Il motivo principale del ricorso si concentrava sulla tesi della contraffazione non grossolana. Secondo la difesa, la falsificazione dei marchi sui prodotti era talmente evidente e scadente da non poter ingannare alcun acquirente. Di conseguenza, il fatto non avrebbe dovuto costituire reato, trattandosi di un cosiddetto “falso innocuo”.

2. La genericità della motivazione sulla ricettazione

Un secondo motivo lamentava l’assenza di una motivazione adeguata in merito alla condanna per il delitto di ricettazione (art. 648 c.p.), ritenendola generica e indeterminata.

3. La mancata concessione delle sanzioni sostitutive

Il terzo punto contestava la decisione dei giudici di merito di non sostituire la pena detentiva breve con una sanzione pecuniaria, come previsto dalla recente normativa (d.lgs. 150/2022).

4. Il diniego dell’attenuante del danno di speciale tenuità

Infine, il ricorrente si doleva della mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., relativa al danno patrimoniale di speciale tenuità.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, respingendo ogni motivo di doglianza con argomentazioni chiare e in linea con il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale.

Le Motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. Sul tema centrale della contraffazione non grossolana, i giudici hanno ribadito un principio cardine: il bene giuridico tutelato dall’art. 474 c.p. non è la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica. Quest’ultima è intesa come l’affidamento che la collettività ripone nei marchi e nei segni distintivi quali strumenti di garanzia dell’origine e della circolazione dei prodotti industriali.

Di conseguenza, il delitto in questione è un reato di pericolo, la cui esistenza non dipende dalla concreta realizzazione di un inganno. È sufficiente la messa in circolazione dei prodotti falsi per ledere la fiducia del pubblico e tutelare il titolare del marchio. Pertanto, l’argomento secondo cui il falso era troppo evidente per ingannare chiunque è stato ritenuto del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato.

Per quanto riguarda gli altri motivi, la Corte li ha giudicati manifestamente infondati o generici. Il motivo sulla ricettazione è stato considerato privo dei requisiti di specificità richiesti dalla legge, non avendo indicato quali parti della motivazione (ritenuta logica e corretta) fossero censurabili. La questione delle sanzioni sostitutive è stata ricondotta a una valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, congruamente motivata con riferimento agli elementi negativi desumibili dall’art. 133 c.p. (capacità a delinquere). Infine, anche il motivo sull’attenuante è stato ritenuto infondato.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un principio di fondamentale importanza pratica: chi vende prodotti contraffatti non può sperare di andare esente da responsabilità penale sostenendo che la falsificazione era palese. La legge protegge l’integrità del mercato e il valore dei marchi in sé, a prescindere dal fatto che un singolo consumatore possa essere tratto in inganno. Questa decisione riafferma la natura di reato di pericolo del commercio di beni con marchi falsi, ponendo l’accento sulla tutela della fiducia collettiva e inviando un chiaro monito a chi opera in questo settore illecito.

Vendere un prodotto con un marchio palesemente falso è reato?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il reato di cui all’art. 474 c.p. sussiste anche se la contraffazione è “grossolana” (evidente), perché la legge non tutela l’acquirente dall’inganno, ma la fede pubblica, ovvero la fiducia collettiva nei marchi.

Perché il reato di vendita di prodotti contraffatti è considerato un “reato di pericolo”?
È un “reato di pericolo” perché per la sua configurazione non è necessario che qualcuno venga effettivamente ingannato. È sufficiente mettere in circolazione prodotti con marchi falsi per creare un pericolo per la fede pubblica e per il titolare del marchio, integrando così il reato.

Il giudice è sempre obbligato a sostituire una pena detentiva breve con una pena pecuniaria?
No. La concessione di sanzioni sostitutive è una valutazione di fatto rimessa al giudice di merito. Quest’ultimo può negarla, motivando la sua decisione sulla base di elementi negativi, come quelli previsti dall’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere del reo), e tale decisione non è sindacabile in Cassazione se non è manifestamente illogica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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