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Contraffazione marchi e contrabbando: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale del riesame in un caso di contrabbando di sigarette e contraffazione marchi. La Corte ha chiarito che l’assenza del codice identificativo sui pacchetti non è l’oggetto del reato di contraffazione, ma solo una prova della falsificazione dei marchi stessi. Questa distinzione è cruciale perché il collegamento tra i due reati innalza la pena, rendendo possibili le misure cautelari.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione Marchi e Contrabbando: La Cassazione Chiarisce il Ruolo del Codice Identificativo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 46774/2024, offre un importante chiarimento sul rapporto tra il reato di contrabbando di sigarette e quello di contraffazione marchi. La Corte ha annullato un’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva erroneamente interpretato la natura del reato di contraffazione, confondendo l’oggetto della condotta illecita (il marchio) con un suo elemento probatorio (il codice identificativo del prodotto). Questa decisione sottolinea come un’accurata qualificazione giuridica dei fatti sia fondamentale, specialmente quando da essa dipende l’applicabilità di misure cautelari personali.

I Fatti del Caso: Il Ricorso della Procura

Il caso ha origine da un’ordinanza cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di un’indagata per reati di contrabbando di sigarette e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.). Il Tribunale del riesame di Napoli, tuttavia, annullava tale provvedimento.
Contro questa decisione, la Procura della Repubblica proponeva ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo il Pubblico Ministero, il Tribunale del riesame aveva travisato la contestazione relativa al reato di contraffazione. L’accusa non riguardava la falsificazione del codice identificativo univoco presente sui pacchetti di sigarette, bensì la contraffazione dei noti marchi apposti su di essi. L’assenza o l’alterazione del codice, secondo la Procura, era solo un’evidenza, una prova, che dimostrava la falsità dei marchi e, di conseguenza, del prodotto.

Il Collegamento tra Contrabbando e Contraffazione marchi

Prima di analizzare il merito del ricorso, la Cassazione ha svolto una premessa sulla disciplina del contrabbando. Il delitto contestato, riguardando quantitativi inferiori ai 10 kg, è stato depenalizzato e punito con la sola multa. Tuttavia, nel caso di specie, era contestata la recidiva reiterata, una circostanza che, ai sensi dell’art. 296 del d.P.R. 43/1973, fa tornare la condotta nell’alveo penale, prevedendo una pena fino a un anno di reclusione.
Questo limite di pena, di per sé, non sarebbe sufficiente per giustificare una misura cautelare personale. La situazione cambia, però, a causa del collegamento con il reato di contraffazione marchi. L’art. 291-ter del Testo Unico sulle Leggi Doganali prevede una circostanza aggravante quando il contrabbando è connesso a un altro reato contro la fede pubblica, come appunto la contraffazione. Tale aggravante innalza la cornice edittale (da 3 a 7 anni), superando la soglia prevista dall’art. 280 c.p.p. e rendendo così ammissibili le misure cautelari.

Contraffazione marchi: l’analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso della Procura, ravvisando il vizio nell’ordinanza del Tribunale del riesame. Quest’ultimo aveva erroneamente escluso la sussistenza del fumus commissi delicti per il reato di cui all’art. 474 c.p. basandosi sull’idea che l’oggetto della contraffazione fosse il codice identificativo. Secondo il Riesame, tale codice non costituisce un marchio o un segno distintivo tutelato dalla norma, la quale si riferisce esclusivamente alla disciplina della proprietà intellettuale.
La Cassazione ha smontato questo ragionamento, definendolo in contrasto con la lettera della contestazione mossa all’indagata. L’accusa era chiara: detenere per la vendita pacchetti di sigarette con marchi contraffatti. L’assenza o l’alterazione del codice identificativo non era l’oggetto del reato, ma soltanto un elemento indiziario, un’evidenza da cui desumere la falsità del marchio stesso. È la contraffazione del marchio a indurre in errore l’acquirente sul reale collegamento tra il segno distintivo e il prodotto, generando confusione sulla sua originalità, provenienza e qualità.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla netta distinzione tra l’oggetto della condotta criminosa e gli elementi di prova. Il Tribunale del riesame ha commesso un errore di diritto nel confondere questi due piani. Il reato contestato era la contraffazione marchi (art. 474 c.p.), la cui essenza risiede nell’ingannare il consumatore sull’autenticità del prodotto tramite l’uso di un marchio falso. L’alterazione del codice identificativo è un forte indizio che il marchio stesso sia falso, ma non è, di per sé, la condotta punita dall’art. 474 c.p. La Corte ha quindi affermato che il Riesame ha omesso di valutare il fumus del reato correttamente inteso, ovvero la detenzione di prodotti con marchi falsificati, e si è invece concentrato su un aspetto probatorio interpretandolo come l’oggetto del reato.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per un nuovo giudizio. Il giudice del rinvio dovrà ora verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagata, tenendo conto dei principi espressi dalla Suprema Corte. La decisione ribadisce un principio fondamentale: per una corretta applicazione della legge penale, è essenziale identificare con precisione l’oggetto della condotta illecita, distinguendolo dagli elementi che servono a provarla. Questo caso dimostra inoltre come la connessione tra reati diversi, anche se uno di essi è di modesta entità, possa avere conseguenze procedurali significative, come l’applicabilità di misure restrittive della libertà personale.

Quando il contrabbando di sigarette per quantitativi inferiori a 10 kg è considerato reato penale?
Secondo la sentenza, sebbene tale condotta sia stata depenalizzata e sia punita con la sola multa, essa torna ad essere un reato penale (punibile con la reclusione fino a un anno) qualora sia commessa da un soggetto che è già stato condannato in precedenza per lo stesso tipo di delitto (recidiva reiterata).

Qual è la differenza tra il marchio contraffatto e il codice identificativo alterato su un pacchetto di sigarette?
Il marchio contraffatto è l’oggetto del reato previsto dall’art. 474 del codice penale, in quanto la sua falsificazione inganna il consumatore sull’origine e l’autenticità del prodotto. L’alterazione o l’assenza del codice identificativo univoco, invece, non è il reato in sé, ma costituisce una prova, un’evidenza attraverso cui si può dimostrare che il marchio è stato contraffatto.

Perché il reato di contraffazione marchi è stato decisivo per la potenziale applicazione di una misura cautelare?
Perché il contrabbando, nel caso specifico, era punibile con una pena massima di un anno, insufficiente per applicare misure cautelari. Tuttavia, la legge prevede un’aggravante se il contrabbando è connesso a un altro reato contro la fede pubblica, come la contraffazione marchi. Questa aggravante innalza la pena prevista a un livello (da 3 a 7 anni) che supera la soglia minima richiesta dalla legge per l’applicazione di misure cautelari personali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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