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Contraffazione grossolana: reato anche senza inganno

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo condannato per la vendita di prodotti con marchi falsi. L’imputato sosteneva la tesi della “contraffazione grossolana”, cioè di un falso così evidente da non poter ingannare nessuno. La Corte ha ribadito che il reato previsto dall’art. 474 del codice penale tutela la fede pubblica e la fiducia nei marchi, configurandosi come un reato di pericolo. Pertanto, la possibilità di trarre in inganno l’acquirente non è un elemento necessario per la sua sussistenza.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione Grossolana: Quando il Falso è Reato Anche se Evidente

La vendita di prodotti contraffatti rappresenta un illecito grave, ma cosa succede se il falso è talmente palese da essere quasi ridicolo? Un recente caso esaminato dalla Corte di Cassazione affronta proprio il tema della contraffazione grossolana, stabilendo un principio fondamentale: il reato sussiste anche quando l’inganno verso l’acquirente è improbabile. Con l’ordinanza n. 18988/2024, la Suprema Corte ha chiarito che l’obiettivo della norma è proteggere un bene giuridico più ampio: la fede pubblica.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasce dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello di Napoli per aver detenuto a scopo di vendita prodotti recanti marchi contraffatti. La difesa dell’imputato si basava su un’argomentazione precisa: la qualità della contraffazione era talmente scadente e le condizioni di vendita così anomale da rendere impossibile che un qualsiasi acquirente potesse essere tratto in inganno. Si trattava, secondo il ricorrente, di un caso di contraffazione grossolana, che avrebbe dovuto escludere la punibilità.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

Il ricorso si articolava su diversi motivi, tutti respinti dalla Corte perché ritenuti inammissibili o infondati.

La questione della contraffazione grossolana e la tutela della fede pubblica

Il motivo principale del ricorso riguardava la qualificazione del fatto come reato ai sensi dell’art. 474 del codice penale. La difesa sosteneva che la grossolanità del falso rendesse il reato impossibile. La Cassazione ha smontato questa tesi, ribadendo un orientamento consolidato. L’articolo 474 c.p. non tutela primariamente la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica. Questo concetto si traduce nella fiducia che i cittadini ripongono nei marchi e nei segni distintivi come garanzia di origine e qualità dei prodotti industriali.

Il reato di introduzione e commercio di prodotti con segni falsi è un reato di pericolo. Ciò significa che la legge non richiede che l’inganno si realizzi effettivamente. È sufficiente che la circolazione di prodotti falsi metta in pericolo la fiducia del pubblico nei marchi. Di conseguenza, l’argomento della contraffazione grossolana perde di efficacia, perché il reato non dipende dalla capacità del singolo prodotto di ingannare il singolo acquirente.

Inammissibilità degli Altri Motivi

La Corte ha dichiarato inammissibili anche gli altri motivi del ricorso, tra cui:
1. La contestazione sulla sussistenza del reato di cui all’art. 517 c.p. (vendita di prodotti con segni mendaci), in quanto tendeva a una nuova e non consentita valutazione dei fatti in sede di legittimità.
2. La richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), poiché si trattava di una semplice riproposizione di argomenti già motivatamente respinti dalla Corte d’Appello.
3. La critica al bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti, giudicata infondata in quanto frutto di una valutazione discrezionale e non illogica del giudice di merito.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha sottolineato che i motivi presentati erano riproduttivi di censure già vagliate e disattese nei gradi di merito con argomentazioni giuridiche corrette. La sentenza impugnata aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, il reato di cui all’art. 474 c.p. è configurabile indipendentemente dalla realizzazione dell’inganno, essendo sufficiente la potenziale lesione della fiducia pubblica nei marchi. I tentativi del ricorrente di ottenere una diversa ricostruzione dei fatti o di riproporre questioni già decise sono stati ritenuti inammissibili, in quanto estranei al perimetro del giudizio di legittimità, che si concentra sulla corretta applicazione della legge e non sul riesame del merito.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio in materia di reati contro la fede pubblica. La lotta alla contraffazione non si ferma di fronte alla scarsa qualità del falso. La tutela offerta dalla legge è ampia e mira a proteggere l’integrità del mercato e la fiducia dei consumatori nei segni distintivi. Chiunque detenga per la vendita prodotti con marchi falsi, anche se palesemente tali, commette reato, perché la sua condotta mina alla base il sistema di garanzie che i marchi rappresentano. La decisione della Corte è un monito chiaro: la grossolanità del falso non è una scusante.

Vendere un prodotto con un marchio palesemente falso è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato sussiste perché la legge (art. 474 c.p.) non protegge solo il singolo acquirente dall’inganno, ma soprattutto la fede pubblica, ovvero la fiducia collettiva nell’autenticità dei marchi.

Cosa significa che il reato di commercio di prodotti falsi è un “reato di pericolo”?
Significa che per essere puniti non è necessario che qualcuno venga effettivamente ingannato. La legge punisce la condotta stessa di mettere in circolazione prodotti falsi perché è considerata di per sé pericolosa per la fiducia del pubblico e l’ordine del mercato.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di valutare nuovamente le prove, come la qualità del prodotto contraffatto?
No. La Corte di Cassazione svolge un giudizio di legittimità, ovvero controlla che la legge sia stata applicata correttamente dai giudici precedenti. Non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove, che è compito esclusivo dei tribunali di merito (primo grado e appello).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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