Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 218 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 218 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a OTTAVIANO il 23/01/1964
avverso la sentenza del 09/07/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui la difesa deduce violazione di legge processione e vizio di motivazione lamentando il mancato accertamento peritale circa l’effettiva contraffazione dei prodotti di cui il ricorrente era stato co in possesso e che erano stati destinati alla vendita, è formulato in termini che non sono consentiti in sede di legittimità e, in ogni caso, intrinsecamente contraddittori;
osservato che la doglianza avanzata dal ricorrente in relazione all’omesso espletamento di una perizia ai fini dell’accertamento della contraffazione della merce, è comunque manifestamente infondata atteso che la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’invocato art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisi a, trattandosi, in realtà, di un mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso i richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività (cfr., Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 – 01);
rilevato che, in ogni caso, la difesa, nell’invocare un più accurato accertamento sulla natura contraffatta della merce, afferma, contemporaneamente, la irrilevanza, sul piano dell’illecito penale, della contraffazione in quanto nel caso di specie “grossolana” e, pertanto, facilmente rilevabile e riconoscibile da parte dell’acquirente finale; che, tuttavia, i giudici merito si sono conformati al principio, assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto integra comunque ii delitto di cui all’art. 474 cod. pen. senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che la norma predetta tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la c configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (cfr., per tutte, Sez. 2 , n. 16807 del 11/01/2019, Assane, Rv. 275814 – 01; Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258722 01);
osservato che il secondo motivo – con cui ia difesa deduce violazione di legge per la mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 712 cod. pen. – è meramente reiterativo di profili dì censura già proposti con i motivi di appello e adeguatamente vagliati e disattesi dalla Corte territoriale, e dunque, aspecifico, in quanto omette un effettivo confronto con le ragioni poste a base del decisum e non risulta connotato da puntuale critica alle argomentazioni logiche e giuridiche esplicate (cfr., pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata) a sostegno della piena integrazione del reato ex art. 648 cod. pen., anche sotto il profilo soggettivo, tenendo ben chiara la differenza tra il delitto di ricettazione, punibile anche a titolo di dolo eventuale, e la contravvenzione di incauto acquisto e che, come è noto, sta nel fatto che, nella ricettazione (con dolo eventuale), l’agente, pur rappresentandosi chiaramente la possibilità che il bene acquistato o ricevuto abbia una provenienza delittuosa, avendo colto gli elementi di allarme che lo abbiano effettivamente messo in guardia, decide ciò non di meno di riceverlo o acquistarlo, accettando consapevolmente il rischio di concretizzare una condotta delittuosa (cfr., Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246323 – 01); nella contravvenzione, invece, ciò che si rimprovera all’agente è di non aver colto quegli elementi di fatto (individuati dal legislatore nella natura del bene acquistato o ricevuto, nella qualità della persona che lo abbia offerto ovvero nella entità del prezzo) che avrebbero dovuto allarmarlo circa la provenienza del bene di cui si discute e che, invece, siano stati colpevolmente ignorati (cfr., Sez. 2, n. 51056 del 11/11/2016, Rv. 268945 – 01 in cui la Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato contravvenzionale di cui all’art. 712, comma primo cod. pen., non è necessario che l’acquirente abbia effettivamente nutrito dubbi sulla provenienza della merce, dovendosi invece ritenere che il reato sussista ogni qualvolta l’acquisto avvenga in presenza di condizioni che obiettivamente avrebbero dovuto indurre al sospetto, indipendentemente dal fatto che questo vi sia stato o meno); Corte di Cassazione – copia non ufficiale rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna dell, ‘ i ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 3 dicembre 2024.