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Contraffazione grossolana: irrilevante per la condanna

Un commerciante condannato per la vendita di prodotti contraffatti ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la falsificazione fosse talmente evidente (c.d. contraffazione grossolana) da non poter ingannare nessuno. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: il reato di commercio di prodotti con marchi falsi non richiede che l’acquirente sia effettivamente ingannato. La norma, infatti, non tutela il singolo consumatore, ma la ‘fede pubblica’, ovvero la fiducia collettiva nell’autenticità dei marchi. Pertanto, la detenzione per la vendita di merce contraffatta costituisce reato a prescindere da quanto palese sia il falso.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione Grossolana: Perché Resta Reato Secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio cruciale in materia di tutela dei marchi e dei consumatori: il reato di commercio di prodotti contraffatti sussiste anche quando la falsificazione è evidente. Questa decisione chiarisce che la cosiddetta contraffazione grossolana non è una scusante valida, poiché il bene giuridico protetto dalla legge non è il singolo acquirente, ma la fiducia dell’intera collettività nel sistema dei marchi.

I Fatti del Caso e il Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un soggetto per i reati di commercio di prodotti con marchi falsi (art. 474 c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.). L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa principalmente su tre motivi. I più rilevanti contestavano la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati. In particolare, si sosteneva che la falsificazione dei prodotti fosse talmente palese e di bassa qualità da non poter trarre in inganno alcun acquirente, configurando un’ipotesi di contraffazione grossolana.

Secondo la difesa, se nessuno può essere ingannato, non può esistere il reato. Il ricorso, inoltre, lamentava una carenza di prova sulla provenienza delittuosa della merce, elemento necessario per il reato di ricettazione.

L’Irrilevanza della Contraffazione Grossolana nel Diritto Penale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive. Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’art. 474 del codice penale.

I giudici hanno chiarito che la norma non mira a proteggere il patrimonio del singolo acquirente dall’essere truffato, ma un bene giuridico di portata molto più ampia: la fede pubblica. Con questo termine si intende la fiducia che tutti i cittadini ripongono nell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi che identificano prodotti e opere dell’ingegno. Questi simboli garantiscono la provenienza e la qualità, permettendo al mercato di funzionare correttamente.

Il commercio di prodotti contraffatti, anche se palesemente falsi, mina questa fiducia collettiva. Per questo motivo, il reato in questione è classificato come un reato di pericolo: non è necessario che si verifichi un danno effettivo (cioè che qualcuno venga ingannato), ma è sufficiente che la condotta crei un potenziale rischio per il bene tutelato. La semplice detenzione di merce contraffatta destinata alla vendita è, di per sé, sufficiente a integrare il reato, a prescindere dalla qualità della falsificazione.

La Prova della Ricettazione

Anche il motivo relativo al reato di ricettazione è stato giudicato infondato. La Corte ha ricordato un principio consolidato: la prova della provenienza illecita della merce e la consapevolezza dell’imputato possono essere desunte da qualsiasi elemento, anche indiretto. Tra questi, assume particolare rilievo la mancata o non attendibile indicazione, da parte dell’agente, della provenienza dei beni ricevuti. In altre parole, chi viene trovato in possesso di merce contraffatta ha l’onere di fornire una spiegazione credibile sulla sua origine, in assenza della quale il giudice può legittimamente dedurre la consapevolezza della sua provenienza delittuosa.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per diverse ragioni. In primo luogo, ha qualificato i motivi relativi agli elementi costitutivi dei reati come doglianze generiche. L’imputato si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza una critica puntuale e specifica delle motivazioni della sentenza impugnata, come invece richiede l’art. 581 del codice di procedura penale.

Nel merito, la Corte ha smantellato la tesi della contraffazione grossolana, evidenziando l’errore giuridico su cui si fondava. Come spiegato, il reato di cui all’art. 474 c.p. tutela la fede pubblica, e la sua configurazione prescinde dalla possibilità concreta di indurre in errore l’acquirente. Si tratta di un reato di pericolo che punisce la messa in circolazione di prodotti falsi in quanto tale, poiché insidia l’affidamento generale nei marchi.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza. Essa ci insegna che la lotta alla contraffazione non si ferma alla tutela del singolo consumatore, ma si estende alla salvaguardia dell’intero sistema economico, basato sulla fiducia e sulla trasparenza. Per chi commercia, la lezione è chiara: non è possibile difendersi sostenendo che il falso era ‘troppo evidente’. La legge punisce l’atto di introdurre nel mercato prodotti che minano la fiducia collettiva, indipendentemente dal grado di abilità del falsario. Questa decisione rafforza la tutela dei titolari dei marchi e riafferma la necessità di mantenere l’integrità del mercato.

Vendere un prodotto con un marchio palesemente falso è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di commercio di prodotti con marchi falsi (art. 474 c.p.) sussiste anche se la contraffazione è grossolana e facilmente riconoscibile, poiché la legge tutela la fede pubblica e non la libera determinazione del singolo acquirente.

Cosa tutela principalmente la legge nel reato di commercio di prodotti contraffatti?
La norma tutela in via principale e diretta la fede pubblica, intesa come l’affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che identificano i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, proteggendo anche il titolare del marchio.

Come si può provare il reato di ricettazione di merce contraffatta?
La prova della provenienza illecita della merce e della consapevolezza del soggetto agente può essere raggiunta attraverso qualsiasi elemento, anche indiretto. Un elemento significativo è l’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della merce da parte di chi la detiene.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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