Contraffazione Grossolana: Perché Resta Reato Secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio cruciale in materia di tutela dei marchi e dei consumatori: il reato di commercio di prodotti contraffatti sussiste anche quando la falsificazione è evidente. Questa decisione chiarisce che la cosiddetta contraffazione grossolana non è una scusante valida, poiché il bene giuridico protetto dalla legge non è il singolo acquirente, ma la fiducia dell’intera collettività nel sistema dei marchi.
I Fatti del Caso e il Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine da una condanna emessa dalla Corte d’Appello nei confronti di un soggetto per i reati di commercio di prodotti con marchi falsi (art. 474 c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.). L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa principalmente su tre motivi. I più rilevanti contestavano la sussistenza degli elementi costitutivi dei reati. In particolare, si sosteneva che la falsificazione dei prodotti fosse talmente palese e di bassa qualità da non poter trarre in inganno alcun acquirente, configurando un’ipotesi di contraffazione grossolana.
Secondo la difesa, se nessuno può essere ingannato, non può esistere il reato. Il ricorso, inoltre, lamentava una carenza di prova sulla provenienza delittuosa della merce, elemento necessario per il reato di ricettazione.
L’Irrilevanza della Contraffazione Grossolana nel Diritto Penale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive. Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’art. 474 del codice penale.
I giudici hanno chiarito che la norma non mira a proteggere il patrimonio del singolo acquirente dall’essere truffato, ma un bene giuridico di portata molto più ampia: la fede pubblica. Con questo termine si intende la fiducia che tutti i cittadini ripongono nell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi che identificano prodotti e opere dell’ingegno. Questi simboli garantiscono la provenienza e la qualità, permettendo al mercato di funzionare correttamente.
Il commercio di prodotti contraffatti, anche se palesemente falsi, mina questa fiducia collettiva. Per questo motivo, il reato in questione è classificato come un reato di pericolo: non è necessario che si verifichi un danno effettivo (cioè che qualcuno venga ingannato), ma è sufficiente che la condotta crei un potenziale rischio per il bene tutelato. La semplice detenzione di merce contraffatta destinata alla vendita è, di per sé, sufficiente a integrare il reato, a prescindere dalla qualità della falsificazione.
La Prova della Ricettazione
Anche il motivo relativo al reato di ricettazione è stato giudicato infondato. La Corte ha ricordato un principio consolidato: la prova della provenienza illecita della merce e la consapevolezza dell’imputato possono essere desunte da qualsiasi elemento, anche indiretto. Tra questi, assume particolare rilievo la mancata o non attendibile indicazione, da parte dell’agente, della provenienza dei beni ricevuti. In altre parole, chi viene trovato in possesso di merce contraffatta ha l’onere di fornire una spiegazione credibile sulla sua origine, in assenza della quale il giudice può legittimamente dedurre la consapevolezza della sua provenienza delittuosa.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per diverse ragioni. In primo luogo, ha qualificato i motivi relativi agli elementi costitutivi dei reati come doglianze generiche. L’imputato si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza una critica puntuale e specifica delle motivazioni della sentenza impugnata, come invece richiede l’art. 581 del codice di procedura penale.
Nel merito, la Corte ha smantellato la tesi della contraffazione grossolana, evidenziando l’errore giuridico su cui si fondava. Come spiegato, il reato di cui all’art. 474 c.p. tutela la fede pubblica, e la sua configurazione prescinde dalla possibilità concreta di indurre in errore l’acquirente. Si tratta di un reato di pericolo che punisce la messa in circolazione di prodotti falsi in quanto tale, poiché insidia l’affidamento generale nei marchi.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza. Essa ci insegna che la lotta alla contraffazione non si ferma alla tutela del singolo consumatore, ma si estende alla salvaguardia dell’intero sistema economico, basato sulla fiducia e sulla trasparenza. Per chi commercia, la lezione è chiara: non è possibile difendersi sostenendo che il falso era ‘troppo evidente’. La legge punisce l’atto di introdurre nel mercato prodotti che minano la fiducia collettiva, indipendentemente dal grado di abilità del falsario. Questa decisione rafforza la tutela dei titolari dei marchi e riafferma la necessità di mantenere l’integrità del mercato.
Vendere un prodotto con un marchio palesemente falso è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di commercio di prodotti con marchi falsi (art. 474 c.p.) sussiste anche se la contraffazione è grossolana e facilmente riconoscibile, poiché la legge tutela la fede pubblica e non la libera determinazione del singolo acquirente.
Cosa tutela principalmente la legge nel reato di commercio di prodotti contraffatti?
La norma tutela in via principale e diretta la fede pubblica, intesa come l’affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che identificano i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, proteggendo anche il titolare del marchio.
Come si può provare il reato di ricettazione di merce contraffatta?
La prova della provenienza illecita della merce e della consapevolezza del soggetto agente può essere raggiunta attraverso qualsiasi elemento, anche indiretto. Un elemento significativo è l’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della merce da parte di chi la detiene.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 57 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 57 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 02/01/1953
avverso la sentenza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
considerato che il primo e il terzo motivo di ricorso, articolati in punto di prova degli elementi costitutivi dei reati di cui agli artt. 474 e 648 cod. pen., sono pri dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. pro pen. in quanto si prospettano doglianze generiche, non scandite dalla necessaria analisi critica della complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata;
ritenuto che, nella specie, i giudici del merito hanno invece ampiamente vagliato e disatteso, con argomentazioni corrette sul piano logico e giuridico, le doglianze difensive dell’appello, meramente riproposte in questa sede (si vedano, in particolare, pagg. 2 – 4); considerato che il secondo motivo, inerente alla grossolanità del falso, è privo di specificità e tende a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, oltre ad essere fondato su errati presupposti in diritto dal momento che, come è noto, la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto integra comunque il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione “grossolana”, considerato che la norma incriminatrice tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, come si è chiarito, di un reato d pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (cfr., Sez. 5, n. 5260 dell’11.12.2013, Faje; Sez. 2, n. 20944 del 4.5.2012, Diasse; Sez. 2., n. 28423 del 27.4.2012, Fabbri; Sez. 5, n. 21049 del 26.4.2012 n. 21.049); Corte di Cassazione – copia non ufficiale considerato che il terzo motivo del ricorso è comunque ed a sua volta manifestamente infondato sia in considerazione della acclarata provenienza delittuosa della merce che, inoltre, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, rilevando, infatti, il pacifico principio secondo cui la prova può essere raggiunta da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dall’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta da parte del soggetto agente (cfr., tra le tante, in tal senso, Sez. 2, n. 53017 del 22/11/2016, COGNOME Rv. 268713 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 21 novembre 2023.