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Contraffazione grossolana: irrilevante per il reato

Un individuo, condannato per commercio di prodotti con marchi falsi, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, l’irrilevanza penale del fatto a causa della palese falsità dei prodotti. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la **contraffazione grossolana** non esclude il reato previsto dall’art. 474 c.p. La norma, infatti, non tutela il consumatore dall’inganno, ma la fede pubblica, ovvero la fiducia generale nell’autenticità dei marchi.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione Grossolana: Perché non Esclude il Reato di Commercio di Prodotti Falsi?

La vendita di prodotti con marchi falsificati è un fenomeno diffuso, ma cosa accade quando la falsificazione è così evidente da non poter ingannare nessuno? Molti potrebbero pensare che una contraffazione grossolana renda il fatto meno grave o addirittura non punibile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce perché questa convinzione sia errata, confermando che la tutela penale va ben oltre la protezione del singolo acquirente.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato sia in primo grado sia in appello per i reati di commercio di prodotti con marchi falsi (art. 474 c.p.) e ricettazione (art. 648 c.p.). L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso per cassazione basandosi su diversi motivi, tra cui un presunto vizio di notifica e, soprattutto, l’errata valutazione della grossolanità della contraffazione. Secondo la difesa, la merce era così palesemente falsa da escludere la configurabilità del reato, in quanto inidonea a trarre in inganno i potenziali acquirenti.

I Motivi del Ricorso e la Questione della Contraffazione Grossolana

La difesa ha articolato il ricorso su più punti. In primo luogo, ha eccepito una nullità procedurale legata a una notifica telematica ritenuta irregolare. Nel merito, il punto centrale era la presunta contraddittorietà della motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima, da un lato, aveva escluso la grossolanità della contraffazione, ma dall’altro aveva affermato che i beni erano riconoscibili come falsi ictu oculi (a colpo d’occhio), tanto da non necessitare di una perizia tecnica. Secondo il ricorrente, questa contraddizione avrebbe dovuto portare a un annullamento della condanna. Altri motivi di ricorso includevano la mancata applicazione dell’ipotesi contravvenzionale più lieve, la mancata esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto e il diniego delle attenuanti generiche.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno smontato punto per punto le argomentazioni della difesa, fornendo importanti chiarimenti sia in materia procedurale sia, soprattutto, sulla sostanza del reato di commercio di prodotti contraffatti.

Le Motivazioni: La Tutela della Fede Pubblica Prevale sull’Inganno

La parte più significativa della sentenza riguarda la questione della contraffazione grossolana. La Corte ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: il reato previsto dall’articolo 474 del codice penale non tutela la libera determinazione dell’acquirente, ma un bene giuridico di portata più ampia: la fede pubblica.

Questo significa che l’obiettivo della norma è proteggere la fiducia che la collettività ripone nei marchi e nei segni distintivi come strumenti di identificazione dell’origine e della qualità dei prodotti. La circolazione di merci contraffatte, a prescindere dalla qualità della falsificazione, mina questa fiducia generale.

Di conseguenza, il reato è configurato come un reato di pericolo: non è necessario che si verifichi un inganno effettivo nei confronti di un acquirente. La semplice detenzione per la vendita di prodotti falsi è sufficiente a integrare il reato, perché mette in pericolo la pubblica fede. Pertanto, che la contraffazione sia rozza o sofisticata è irrilevante ai fini della sua punibilità. La Corte ha anche respinto gli altri motivi, giudicando sanato il vizio di notifica in quanto non eccepito tempestivamente e ritenendo le motivazioni della Corte d’Appello sul diniego delle attenuanti e dell’art. 131-bis c.p. logiche e coerenti.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La sentenza riafferma con forza che la lotta alla contraffazione mira a proteggere l’integrità del mercato e la fiducia dei consumatori nei marchi. L’implicazione pratica è chiara: chiunque detenga per la vendita prodotti con marchi falsi commette il reato previsto dall’art. 474 c.p., senza potersi appellare al fatto che la falsificazione fosse palese. Questa decisione serve da monito, sottolineando che la legge non fa sconti e che la circolazione di beni contraffatti è considerata dannosa per l’intera collettività, indipendentemente dalla possibilità che un singolo individuo venga effettivamente ingannato.

La vendita di un prodotto con un marchio palesemente falso è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di cui all’art. 474 del codice penale si configura anche in caso di contraffazione grossolana, poiché la norma tutela la fede pubblica, ovvero la fiducia collettiva nei marchi, e non l’inganno del singolo acquirente.

Un’irregolarità nella notifica della citazione in appello causa sempre la nullità insanabile del processo?
No. La Corte distingue tra l’omissione totale della notifica, che causa una nullità assoluta e insanabile, e una notifica eseguita con modalità irregolari. Quest’ultima causa una nullità a regime intermedio, che deve essere eccepita tempestivamente in giudizio, altrimenti viene sanata.

Perché il reato non è stato escluso per ‘particolare tenuità del fatto’ (art. 131-bis c.p.)?
La Corte di appello ha escluso l’applicazione di tale causa di non punibilità a causa dell’elevato numero di prodotti contraffatti detenuti per la vendita e della non occasionalità della condotta, una motivazione ritenuta logica e coerente dalla Corte di Cassazione e quindi non censurabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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