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Contraffazione grossolana: è reato? La Cassazione

Un uomo viene condannato per ricettazione e vendita di 44 accessori di moda contraffatti. In Cassazione, lamenta che la contraffazione grossolana dei prodotti dovesse escludere il reato. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che il reato tutela la fede pubblica nei marchi, a prescindere dalla possibilità di ingannare l’acquirente. Viene confermata la condanna e l’irrilevanza della palese falsità dei beni.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione grossolana: perché è comunque reato

La vendita di prodotti falsi è un illecito ben noto, ma cosa succede quando la falsità è talmente evidente da non poter ingannare nessuno? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2633/2025, torna sul tema della contraffazione grossolana, chiarendo in modo definitivo perché anche la vendita di un falso palese costituisce reato. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere la logica che protegge non solo il consumatore, ma un bene giuridico ancora più ampio: la fede pubblica.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna di un uomo, inflitta dal Tribunale e confermata in Appello, per i reati di ricettazione e detenzione a fini di vendita di 44 accessori di abbigliamento con marchi contraffatti. L’imputato, attraverso il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diverse doglianze. Tra queste, la più rilevante riguardava la natura della contraffazione: a suo dire, la qualità dei prodotti era talmente scadente e la falsità così evidente (contraffazione grossolana, appunto) da rendere impossibile l’inganno dell’acquirente e, di conseguenza, da escludere la configurabilità del reato previsto dall’art. 474 del codice penale.

La questione della contraffazione grossolana nell’analisi della Corte

La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare la palese non originalità dei beni. Secondo questa tesi, un prodotto così visibilmente falso non lederebbe l’affidamento dei consumatori, rendendo il fatto penalmente irrilevante. Si chiedeva, inoltre, perché fosse stata rigettata la richiesta di una perizia tecnica volta a confermare la scarsa qualità della merce.

La Suprema Corte ha respinto questa linea difensiva, definendola manifestamente infondata. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire un principio consolidato nella giurisprudenza: il reato di commercio di prodotti con marchi falsi non tutela la libera determinazione dell’acquirente, bensì la fede pubblica. Quest’ultima è intesa come l’affidamento che tutti i cittadini ripongono nei marchi e nei segni distintivi quali garanti dell’origine e della qualità dei prodotti industriali.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che il reato in questione è un reato di pericolo. Ciò significa che per la sua configurazione non è necessario che si verifichi un danno effettivo, come l’inganno di un compratore. È sufficiente che la condotta (la messa in vendita di prodotti falsi) crei un pericolo per il bene giuridico tutelato, ovvero la pubblica fiducia nei marchi.

Di conseguenza, la contraffazione grossolana non esclude il reato. Anche se un acquirente non viene tratto in inganno, la circolazione di tali prodotti lede comunque l’interesse dello Stato a proteggere i marchi come strumenti di garanzia. Per questa ragione, la Corte ha ritenuto logica e corretta la decisione dei giudici di merito di considerare superflua la perizia sulla qualità dei falsi. L’elemento della grossolanità è, ai fini del giudizio, semplicemente irrilevante.

La Corte ha inoltre ritenuto infondate le altre doglianze, inclusa quella su un presunto vizio di notifica, giudicato una mera irregolarità non lesiva del diritto di difesa, e quella sulla mancata concessione di una pena sostitutiva, decisione rientrante nel potere discrezionale del giudice di merito e, nel caso di specie, adeguatamente motivata.

Le Conclusioni

Con la sentenza in esame, la Cassazione conferma che chiunque detenga per la vendita prodotti con marchi contraffatti commette reato, a prescindere dal fatto che la contraffazione sia palese o meno. Il fulcro della tutela penale risiede nella protezione della fede pubblica e dell’affidabilità dei segni distintivi nel mercato. La decisione serve da monito: la lotta alla contraffazione non si ferma alla protezione del singolo consumatore, ma mira a salvaguardare l’integrità dell’intero sistema economico basato sulla fiducia e sull’autenticità dei prodotti.

La vendita di un prodotto la cui falsità è evidente costituisce reato?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il reato sussiste anche in caso di contraffazione grossolana, poiché la norma non protegge il singolo acquirente dall’inganno, ma la fiducia collettiva (fede pubblica) nei confronti dei marchi.

Perché un’imitazione palese di un marchio è considerata pericolosa?
Perché la sua semplice circolazione sul mercato lede l’affidamento che i cittadini ripongono nei marchi come simboli di autenticità e origine dei prodotti industriali. Si tratta di un reato di pericolo, per cui è sufficiente la potenziale lesione del bene giuridico tutelato, non il danno effettivo.

Un vizio procedurale, come un errore nella sequenza delle notifiche, comporta sempre l’annullamento del processo?
No. La Corte ha stabilito che se il vizio non compromette in modo effettivo le garanzie e il diritto di difesa dell’imputato e lo scopo dell’atto viene comunque raggiunto, esso costituisce una mera irregolarità e non una nullità insanabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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