Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2633 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2633 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato in Senegal il 18/05/1957
avverso la sentenza del 24/09/2024 della Corte d’appello di Salerno
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visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’Avv. NOME COGNOME sostituto processuale dell’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME il quale dopo la discussione, si è riportato al ricorso, insistendo per il suo accoglimento e rilevando l’intervenuta prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/09/2024, la Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza del 30/01/2024 del Tribunale di Salerno, emessa in esito a giudizio ordinario, con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di quattro mesi di reclusione ed C 400,00 di multa per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di ricettazione di 44 accessori di abbigliamento con marchi contraffatti (capo 1 dell’imputazione; ritenuto il fatto di particolare tenuità) e di detenzione per la vendita degli stessi beni (capo 2 dell’imputazione).
Avverso la menzionata sentenza del 24/09/2024 della Corte d’appello di Salerno, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., rispettivamente, l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, e la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione.
2.1. Con una prima doglianza, il ricorrente deduce la nullità assoluta della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello per essere stata la stessa eseguita mediante consegna al difensore, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., il 03/07/2024, senza che tale notificazione mediante consegna al difensore fosse stata preceduta dal tentativo di eseguire l’adempimento nei confronti dell’imputato nel domicilio che egli aveva eletto, tentativo che era stato effettuato solo successivamente, il 08/07/2024.
2.2. Con una seconda doglianza, relativa all’affermazione di responsabilità per il reato di detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti, il ricorrente lamenta, sotto un primo profilo, che la Corte d’appello di Salerno, con l’integrare la motivazione della sentenza di primo grado, che aveva omesso di motivare in ordine al suddetto reato, avrebbe «determinato una deminutio delle prerogative di difesa e di impugnazione dell’imputato, che non è stato posto nelle condizioni di poter appellare, conoscendo l’iter logico giuridico seguito dal giudice per addivenire al giudizio di colpevolezza».
Sotto un secondo profilo, il Sali contesta l’affermazione della Corte d’appello di Salerno secondo cui, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 474 cod. pen., non avrebbe «rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana» (pag. 4 della sentenza impugnata) e deduce in proposito che, poiché la Corte di cassazione avrebbe riconosciuto la possibilità di falsificazioni grossolane, le quali ricorrerebbero in presenza di contraffazioni immediatamente rilevabili ictu ()cui/ (è citata: Sez. 2, n. 12088 del 17/02/2015, COGNOME, non massimata), la Corte d’appello di Salerno «avrebbe dovuto rendere conto delle ragioni per le quali ha ritenuto che i beni caduti in sequestro non avessero le caratteristiche tali da renderli palesemente non originali, e tali da configurare l’esimente in argomento». Di conseguenza, si dovrebbe ritenere censurabile anche la «stringata» motivazione con la quale la Corte d’appello di Salerno ha reputato la superfluità dell’accertamento peritale (sulle caratteristiche della contraffazione) che il COGNOME aveva sollecitato con il proprio atto di appello.
2.3. Con una terza doglianza, il ricorrente lamenta che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe «carente» là dove la Corte d’appello di Salerno ha escluso la qualificazione del fatto come acquisto di cose di sospetta provenienza di cui all’art. 712 cod. pen.
Ad avviso del ricorrente, non sarebbe «dato comprendere, dal tenore della sentenza, quali siano le circostanze che porterebbero ad escludere la fattispecie invocata».
Il Sali contesta in particolare che la Corte d’appello di Salerno «ha ritenuto che l’assenza di documentazione contabile o amministrativa a corredo dei beni deponesse in senso sfavorevole al ricorrente, il quale tuttavia si è dichiarato estraneo alla proprietà dei beni in questione, e dunque non avrebbe certo potuto fornire alcun documento in ordine alla titolarità della merce».
2.4. Con una quarta doglianza, relativa al diniego dell’applicazione della richiesta pena pecuniaria sostitutiva, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Salerno avrebbe in proposito «formula una mera asserzione circa le qualità soggettive del ricorrente, non comprendendosi da quali elementi rilevi la circostanza che lo stesso è soggetto stabilmente dedito al commercio di prodotti con marchi falsi , non emergendo da alcun atto processuale tali informazioni e non rilevando, sul punto, una valutazione della personalità dell’imputato in termini di attualità, poiché non risultano condanne per fatti successivi a quello per cui si procede».
Il ricorrente deduce inoltre il carattere anapodittico della motivazione per non avere la Corte d’appello di Salerno chiarito da cosa deriverebbe la maggiore idoneità rieducativa della pena detentiva rispetto alla richiesta pena pecuniaria sostitutiva.
2.5. Con una quinta e ultima doglianza, relativa al diniego della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Salerno avrebbe fondato tale diniego «sul mero presupposto del numero di articoli caduti in sequestro», così «omettendo del tutto di considerare tutte le argomentazioni avanzate dalla difesa nell’atto di appello, dalla irrilevanza del danno cagionato alle case produttrici, al modesto valore economico dei beni in sequestro alla ininfluenza del disvalore della condotta anche in relazione ai fatturati delle persone offese, circostanze queste tutte pretermesse nella valutazione del giudice a quo».
CONSIDERATO IN DIRITTO
La prima doglianza è manifestamente infondata.
1.1. Con la sentenza COGNOME (Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269028-01), le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ricordato come il proprio orientamento ermeneutico secondo cui «la nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, qualora incida direttamente sulla vocatio in iudicium, e quindi sulla regolare instaurazione del contraddittorio, deve essere equiparata all’omessa citazione dell’imputato
medesimo, in quanto impedisce a quest’ultimo di conoscerne il contenuto e di apprestare la propria difesa, ed è, pertanto, assoluta e insanabile (Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, dep. 2002, Conti, Rv. 221402).
Perché tale nullità derivata sussista è necessario che la citazione sia stata omessa o che il vizio della notificazione sia tale da non consentire la conoscenza effettiva dell’atto (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 229539)».
Le Sezioni unite hanno peraltro di seguito evidenziato che «sia la dottrina che la giurisprudenza hanno elaborato una linea di tendenza volta ad utilizzare, nella decisione delle questioni di invalidità degli atti procedimentali, quello che è stato definito un “criterio di pregiudizio effettivo”. Per valutare se un error in procedendo si sia effettivamente consumato, si ricorre all’applicazione del principio di offensività processuale, secondo il quale perché sussista la nullità non è sufficiente che sia stato posto in essere un atto non conforme al tipo, ma è necessario valutare se la violazione abbia effettivamente compromesso le garanzie che l’ipotesi di invalidità era destinata a presidiare».
Le Sezioni unite hanno quindi ripercorso gli orientamenti interpretativi della giurisprudenza di legittimità «i quali – pur rispettosi del principio di tassativit laddove la sanzione di nullità è direttamente collegata dalla norma, anche in funzione “dissuasiva”, alla inosservanza di determinate forme – rapportano, in una prospettiva meno formalistica, l’invalidità alla presenza di un effettivo danno per la parte processuale quando la sanzione è collegata al risultato o scopo della prescrizione violata».
1.2. Ad avviso del Collegio, tali insegnamenti delle Sezioni unite comportano il superamento del precedente di Sez. 6, n. 26498 del 20/05/2014, Covato, Rv. 262044-01, invocato dal ricorrente – sentenza che, peraltro, in ogni caso, concerneva una fattispecie in cui, diversamente dal caso in esame, era stato eccepito che la notifica non esitata era stata in realtà effettuata a un domicilio diverso da quello che era stato eletto dall’imputato – e inducono a ritenere che, nella fattispecie in esame, essendo stata comunque constatata l’impossibilità della notificazione al domicilio che era stato dichiarato o eletto dall’imputato, la mera inversione della successione cronologica degli adempimenti che sono previsti dall’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., cioè l’esecuzione della notificazione mediante consegna al difensore anteriormente alla suddetta constatazione, poi comunque immediatamente dopo intervenuta, integri una mera irregolarità o, al più, un’invalidità comunque sanata per il raggiungimento dello scopo (ex artt. 183 e 184 cod. proc. pen.), la quale non ha pertanto effettivamente inciso sula validità della vocatio in iudicium.
La seconda doglianza è manifestamente infondata sotto entrambi i profili in cui è articolata.
2.1. Quanto al primo di essi, la sua manifesta infondatezza discende direttamente dal principio, più volte affermato dalla Corte di cassazione e che il Collegio, condividendolo, intende ribadire, secondo cui la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez. 2, n. 58094 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271735-01; Sez. 6, n. 26075 del 08/06/2011, B., Rv. 250513-01).
2.2. Quanto al secondo profilo in cui è articolata la doglianza, la sua manifesta infondatezza discende dal fatto che la Corte d’appello di Salerno, nell’escludere che potesse assumere rilievo l’eventuale configurabilità di una contraffazione grossolana, ha fatto in realtà corretta applicazione del principio, affermato dalla Corte di cassazione e che il Collegio, condividendolo, intende ribadire, secondo cui integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non ricorrendo, quindi, l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, Assane, Rv. 275814-01; Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258722-01; Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012, Diasse, Rv. 252836-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La corretta applicazione di tale principio da parte della Corte d’appello di Salerno rende altresì evidente la logicità della ritenuta (dalla stessa Corte d’appello) inutilità del richiesto accertamento peritale, atteso che esso sarebbe stato diretto ad accertare un elemento, le caratteristiche delle contraffazioni e, in particolare, la loro grossolanità, che, alla luce dello stesso principio, era irrilevante ai fini del giudizio.
La terza doglianza è manifestamente infondata.
La Corte d’appello di Salerno ha adeguatamente motivato in ordine alla consapevolezza, da parte dell’imputato, della contraffazione – la quale, del resto,
come si è detto, era di tipo grossolano – dei prodotti che egli aveva ricevuto e che deteneva per la vendita, avendo argomentato, in modo del tutto logico, come tale consapevolezza fosse desumibile sia dalla mancanza di qualsiasi documentazione contabile e/o amministrativa che potesse comprovare la legittimità del possesso degli stessi prodotti, sia dal fatto che, all’intervento dei militari della Guardia d finanza, il Sali aveva cercato di nasconderli nel proprio furgone.
La Corte d’appello ha altresì adeguatamente confutato la tesi dell’imputato secondo cui egli si sarebbe limitato a trasportare beni di un connazionale, avendo rilevato, in modo del tutto logico, come la mancata indicazione delle generalità, come pure di qualsiasi elemento di identificazione, di tale ipotizzato connazionale militassero in senso logicamente contrario rispetto all’attendibilità di detta tesi.
L’accertata consapevolezza, in capo all’imputato, della contraffazione dei prodotti che egli aveva ricevuto, con l’integrazione, pertanto, del delitto di ricettazione, escludeva poi di conseguenza che il fatto potesse essere invece inquadrato nella fattispecie contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza.
4. La quarta doglianza è manifestamente infondata.
Il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ha modificato la legge 24 novembre 1981, n. 689, con l’evidente obiettivo di estendere l’ambito applicativo delle sanzioni sostitutive (che ha trasformato in vere e proprie pene sostitutive; art. 20-bis cod. pen.).
Peraltro, anche nel testo attualmente vigente, l’art. 58 della legge n. 689 del 1981 richiede al giudice che debba valutare se applicare una pena sostitutiva di tenere conto «dei criteri indicati dall’art. 133 del codice penale». Il novellato art. 58 stabilisce che, nel decidere se applicare una pena sostitutiva e nello scegliere quale pena applicare, il giudice debba valutare quale sia la pena più idonea alla rieducazione del condannato e se sia possibile, attraverso opportune prescrizioni, prevenire il pericolo di commissione di altri reati.
Nel motivare sull’applicazione (o mancata applicazione) delle pene sostitutive, dunque, il giudice deve ancora oggi tenere conto dei precedenti penali dell’imputato, ma non deve valutarli tanto nella prospettiva della meritevolezza del beneficio della sostituzione, quanto nella prospettiva dell’efficacia della pena sostitutiva e della possibilità di considerarla più idonea alla rieducazione rispetto alla pena detentiva.
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Salerno ha ritenuto di non applicare al Sali la pena pecuniaria sostitutiva che egli aveva richiesto perché ha evidenziato come, alla luce dei procedimenti penali che erano in corso a carico dello stesso imputato, emergesse come egli fosse stabilmente dedito al commercio di prodotti
con segni falsi, con la conseguenza che l’irrogazione della pena pecuniaria si doveva ritenere inidonea alla rieducazione dell’imputato.
Poiché tale valutazione attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice – quale è, per previsione espressa, quello a esso attribuito dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981 (articolo che è rubricato: «Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive») – e poiché la stessa valutazione appare motivata in modo non contraddittorio né manifestamente illogico, essa non è sindacabile in questa sede di legittimità.
La quinta doglianza è manifestamente infondata.
L’art. 131-bis, primo comma, cod. pen., stabilisce che la punibilità è esclusa (nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena) quando l’offesa è di particolare tenuità «per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma», cod. pen.
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Salerno ha escluso che, tenuto conto del valore dei prodotti che erano stati sequestrati al Sall, che erano costituiti da 44 articoli di pelletteria recanti il marchio contraffatto di note case di moda, il danno cagionato dai fatti attribuiti all’imputato non si potesse ritenere esiguo.
Il Collegio ritiene tale argomentazione sufficiente e non illogica e, pertanto, non rivalutabile in questa sede.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 19/12/2024.