Contraffazione grossolana: perché è reato anche se il falso è evidente?
L’acquisto di prodotti contraffatti è un fenomeno diffuso, ma quali sono le reali conseguenze legali per chi li vende? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la cosiddetta contraffazione grossolana. Anche quando un falso è così palese da non poter ingannare nessuno, la sua vendita costituisce reato. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire le ragioni giuridiche alla base.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato nei primi due gradi di giudizio per i reati di ricettazione e di detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali, sperando di ottenere l’annullamento della condanna.
I Motivi del Ricorso e la questione della Contraffazione Grossolana
La difesa ha articolato il ricorso su due argomentazioni principali:
1. La prescrizione del reato di ricettazione: Si sosteneva che il reato dovesse essere considerato estinto per intervenuta prescrizione, facendo leva sull’ipotesi attenuata del reato prevista dall’articolo 648 del codice penale.
2. L’insussistenza del reato per contraffazione grossolana: Il secondo e più rilevante motivo si basava sulla tesi che la contraffazione dei marchi fosse di qualità talmente scadente e palese da non poter trarre in inganno alcun acquirente. Secondo la difesa, questa ‘grossolanità’ rendeva il reato ‘impossibile’, poiché mancava il presupposto dell’inganno.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo entrambe le argomentazioni della difesa e confermando la condanna. Vediamo nel dettaglio le motivazioni della Corte.
Le Motivazioni
Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’ipotesi attenuata della ricettazione non è una fattispecie autonoma di reato, ma una circostanza attenuante speciale. Di conseguenza, ai fini del calcolo della prescrizione, si deve fare riferimento alla pena prevista per il reato base (il primo comma dell’art. 648 c.p.), rendendo infondata la richiesta dell’imputato.
Il cuore della decisione, però, risiede nell’analisi del secondo motivo, quello relativo alla contraffazione grossolana. La Cassazione ha spiegato che il reato previsto dall’articolo 474 del codice penale (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) non tutela il singolo acquirente dall’inganno, ma un bene giuridico di portata più ampia: la fede pubblica.
La fede pubblica è la fiducia che la collettività ripone nei marchi e nei segni distintivi come strumenti di garanzia dell’origine e della qualità dei prodotti. La norma, quindi, mira a proteggere l’affidamento dei cittadini e l’ordine economico, garantendo una circolazione corretta e leale dei beni sul mercato, anche a tutela dei titolari dei marchi originali.
Per questo motivo, il reato in questione è classificato come un reato di pericolo. Ciò significa che per la sua configurazione non è necessario che si verifichi un inganno effettivo. La semplice detenzione per la vendita di prodotti con marchio contraffatto è sufficiente a integrare il reato, perché mette in pericolo il bene tutelato (la fede pubblica), a prescindere dal fatto che l’acquirente si renda conto o meno della falsità del prodotto.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Cassazione offre un insegnamento chiaro: la lotta alla contraffazione non si ferma di fronte all’evidenza del falso. La tesi della contraffazione grossolana non può essere usata come scudo per sfuggire alla responsabilità penale. La legge protegge l’integrità del mercato e la fiducia del pubblico nei marchi, colpendo la circolazione di prodotti falsi a prescindere dalla loro qualità. Questa decisione ribadisce che la tutela della fede pubblica prevale sulla possibilità che il singolo consumatore venga o meno ingannato, confermando la condanna del ricorrente e condannandolo al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Perché il reato di ricettazione non era prescritto?
Perché, secondo la Corte, l’ipotesi di ‘particolare tenuità’ prevista per la ricettazione è una circostanza attenuante speciale e non un reato autonomo. Pertanto, il tempo necessario a prescrivere si calcola sulla pena prevista per la forma base del reato, che è più lunga.
Vendere un prodotto con un marchio palesemente falso è reato?
Sì. La Cassazione ha stabilito che il reato di commercio di prodotti con marchi contraffatti sussiste anche quando la falsificazione è ‘grossolana’, cioè facilmente riconoscibile. Non è necessario che l’acquirente sia effettivamente ingannato.
Qual è il bene giuridico tutelato dalla norma sulla contraffazione?
La norma non tutela primariamente il singolo acquirente, ma la ‘fede pubblica’. Con questo termine si intende la fiducia generale dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che garantiscono l’autenticità e la circolazione dei prodotti industriali, proteggendo così anche i titolari dei marchi originali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 215 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 215 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 06/12/1960
avverso la sentenza del 23/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
letto il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME;
considerato che il primo motivo di ricorso, con cui la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al reato di ricettazione, è manifestamente infondato, essendo pacifico che l’ipotesi attenuata prevista (oggi) dal quarto comma dell’art. 648 cod. pen. non integra una autonoma previsione incriminatrice, ma una circostanza attenuante speciale; ne consegue che, ai fini dell’applicazione della prescrizione, deve aversi riguardo alla pena stabilita dal primo comma del predetto articolo (cfr., Sez. 2, Sentenza n. 14767 del 21/03/2017, Aquaro, Rv. 269492 – 01);
osservato che il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato presupposto di cui all’art. 474 cod. pen., in considerazione della scarsissima qualità della contraffazione dei marchi, è a sua volta manifestamene infondato alla luce del principio, cui correttamente si è informata la sentenza impugnata, secondo cui la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto integra comunque il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che la norma predetta tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e n garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (cfr. Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, COGNOME, Rv. 275814 01; Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258722 – 01);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 3 dicembre 2024.