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Contraffazione grossolana: annullata condanna

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per commercio di prodotti contraffatti (telefoni e profumi). Secondo la Corte, il malfunzionamento di un prodotto o la falsità degli scontrini sono indizi di truffa, non di contraffazione. Inoltre, per configurare il reato di cui all’art. 474 c.p., è necessario provare l’esatta riproduzione del marchio, non una mera somiglianza, distinguendo così la contraffazione grossolana dal reato di vendita di prodotti con segni mendaci. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione Grossolana e Prova del Reato: la Cassazione Annulla una Condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12365/2025, ha offerto un’importante lezione sulla distinzione tra il reato di contraffazione e quello di truffa, sottolineando la necessità di prove rigorose per una condanna. Il caso riguarda la vendita di telefoni cellulari e profumi con marchi falsificati, dove la Corte ha ritenuto che la motivazione della condanna fosse basata su indizi più pertinenti a un’ipotesi di frode che a una di contraffazione grossolana. Questa decisione chiarisce i confini tra diverse fattispecie di reato e i criteri probatori necessari.

I Fatti: la Condanna per Telefoni e Profumi Contraffatti

Un uomo veniva condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 474 del codice penale, ovvero per aver introdotto nello stato e detenuto a scopo commerciale prodotti con marchi contraffatti. Nello specifico, l’imputato era stato trovato in possesso di telefoni cellulari di noti marchi e di profumi che imitavano brand famosi.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna basandosi su una serie di elementi: il cattivo funzionamento dei telefoni, la falsità degli scontrini d’acquisto e la constatazione visiva dei Carabinieri che avevano definito i prodotti come “clamorosamente” falsi. Per i profumi, la Corte aveva ritenuto sufficiente la somiglianza dei nomi e della grafica a quelli originali per integrare il reato di contraffazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi della sentenza d’appello:
1. Errata qualificazione del reato per i telefoni: Gli indizi valorizzati (malfunzionamento, scontrini falsi) sarebbero idonei a fondare un’accusa di truffa (art. 640 c.p.), ma non quella di contraffazione, per la quale mancava una prova certa della non originalità del marchio.
2. Falso grossolano: La falsificazione era talmente evidente da non poter ingannare nessuno, configurando un’ipotesi di reato impossibile per inidoneità dell’azione (art. 49 c.p.).
3. Errata qualificazione per i profumi: I profumi presentavano marchi solo “simili” agli originali, non una riproduzione integrale. Tale condotta, secondo la difesa, doveva essere ricondotta al più lieve reato di vendita di prodotti con segni mendaci (art. 517 c.p.).

La Decisione della Corte: la Prova della Contraffazione Grossolana

La Suprema Corte ha accolto i motivi del ricorso, annullando la sentenza e rinviando il caso a un nuovo giudizio. I giudici hanno evidenziato una profonda carenza motivazionale e un’errata valutazione delle prove da parte della Corte d’Appello. Il percorso logico seguito per affermare la responsabilità penale per la contraffazione grossolana è stato ritenuto illogico e non conforme ai principi giurisprudenziali.

Contraffazione, Alterazione o Marchi Simili? Il Caso dei Profumi

Anche riguardo ai profumi, la Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso. La Corte ha ribadito la netta differenza tra:
* Contraffazione (art. 474 c.p.): richiede la riproduzione integrale degli elementi essenziali di un marchio registrato.
* Alterazione (art. 474 c.p.): consiste in una riproduzione parziale ma comunque tale da creare confusione con l’originale.
* Vendita con segni mendaci (art. 517 c.p.): punisce chi mette in circolazione prodotti con marchi che, pur non essendo copie, sono idonei a ingannare il compratore sull’origine o qualità del prodotto.

La Corte d’Appello non aveva adeguatamente specificato le caratteristiche dei marchi sui profumi, limitandosi a parlare di somiglianza. In questo modo, non ha chiarito se si trattasse di una riproduzione pedissequa (contraffazione) o di una mera assonanza, non affrontando correttamente la richiesta di riqualificazione del reato avanzata dalla difesa.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella rigorosa applicazione dei principi probatori. Per i telefoni, la Corte ha stabilito che elementi come il malfunzionamento o la fuga del venditore sono tipici della truffa, un reato che lede il patrimonio del singolo acquirente, e non della contraffazione, che invece tutela la fede pubblica, ovvero la fiducia collettiva nei marchi.

Il reato di cui all’art. 474 c.p. non richiede che l’acquirente sia effettivamente ingannato; sussiste anche se questi è consapevole della falsità, perché la norma protegge la circolazione dei beni e l’affidabilità dei segni distintivi in generale. Tuttavia, per affermare la responsabilità, l’accusa deve fornire prove concrete che il marchio sia stato riprodotto illecitamente. Una semplice constatazione visiva riportata in un verbale di sequestro, definita come un “unico indizio”, non è sufficiente a fondare una condanna. La Corte d’Appello ha errato nel non disporre accertamenti tecnici, giustificando tale mancanza con un’apparente “palese falsità” che, però, non era stata supportata da adeguati riscontri.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce alcuni principi fondamentali con importanti implicazioni pratiche:
1. Distinguere gli indizi: I giudici di merito devono attentamente distinguere gli indizi pertinenti al reato di truffa da quelli pertinenti alla contraffazione. Il cattivo funzionamento di un prodotto non prova che il suo marchio sia falso.
2. La prova deve essere rigorosa: Anche in presenza di marchi notori, la cui registrazione non deve essere provata dall’accusa, è necessario dimostrare la falsificazione con elementi certi. La valutazione soggettiva di un operatore di polizia non può sostituire un accertamento oggettivo, specialmente quando è l’unico elemento a sostegno dell’accusa.
3. Corretta qualificazione giuridica: È cruciale qualificare correttamente la condotta. La riproduzione integrale di un marchio è contraffazione; l’uso di un marchio simile che induce in errore sull’origine è un reato diverso e meno grave. La superficialità in questa analisi può portare all’annullamento della sentenza.

Un prodotto che non funziona è automaticamente una prova di contraffazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il malfunzionamento di un prodotto, così come la falsità degli scontrini, è un indizio che riguarda il reato di truffa (art. 640 c.p.), in quanto attiene alla qualità e alle caratteristiche del bene venduto, ma non dimostra di per sé che il marchio apposto su di esso sia contraffatto.

Se una contraffazione è “grossolana”, cioè palese, il reato sussiste comunque?
Il reato di contraffazione (art. 474 c.p.) tutela la fede pubblica e può sussistere anche se l’acquirente non viene ingannato. Tuttavia, la sentenza specifica che l’accusa deve comunque fornire prove concrete e oggettive della falsificazione. Un giudizio di “clamorosa falsità” basato su una mera ispezione visiva, se non supportato da altri elementi, non è sufficiente a fondare una condanna, configurandosi come un indizio unico e insufficiente.

Qual è la differenza tra vendere un prodotto con marchio contraffatto (art. 474 c.p.) e uno con marchio semplicemente simile (art. 517 c.p.)?
La contraffazione, punita dall’art. 474 c.p., presuppone la riproduzione integrale o degli elementi essenziali di un marchio registrato. Il reato previsto dall’art. 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci), invece, punisce la commercializzazione di prodotti con marchi che, pur non essendo una copia esatta, sono idonei a ingannare il consumatore sull’origine, provenienza o qualità del prodotto a causa della loro somiglianza con marchi noti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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