Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12365 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12365 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a NAPOLI il 04/11/1981
avverso la sentenza del 16/05/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la pronunzia del Tribunale di Cagliari del 14.11.2022 che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia per il reato di introduzione nello stato e detenzione abusiva a scopo commerciale di materiale vario (indicato nel verbale di sequestro) con marchio contraffatto.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia Avv. NOME COGNOME affidato a tre motivi sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. deducendo, quanto alla contraffazione dei telefoni cellulari, che il percorso argomentativo sarebbe idoneo a fondare un giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art.640 cod. pen. o di tentata truffa nei confronti di NOME COGNOME pe essere stato dedotto il cattivo funzionamento degli stessi mancando la prova della contraffazione, della non originalità dei prodotti, indicando la Corte di appello quale unico indizio la falsità degli scontrini non anche la mancanza di genuinità del marchio e la constatazione visiva effettuata dai Carabinieri nel verbale di sequestro.
2.2 II secondo motivo di ricorso lamenta vizio di mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla contestata offensività della falsificazione del marchio in assenza di accertamenti tecnici sui dispositivi elettronici, deducendo inquadrarsi il fatto nella fattispecie di cu all’art.49, comma 2, cod. pen., in quanto falso grossolano riconoscibile ictu oculi.
2.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art.606, lett. e), cod. proc. pen., deducendo quanto al possesso di profumi con marchi molto simili a marchi noti, il mancato inquadramento nella fattispecie di cui all’art.517 cod. pen., nella formulazione antecedente la riforma con la L.206/2023, nella forma del tentativo, richiamando l’orientamento giurisprudenziale sui rapporti tra il reato di cui all’art. 474 e quello di cui all’art.517 cod. pen., chiedendo la riqualificazione del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
2.1 Va, innanzitutto, premesso che questa Corte ha da tempo chiarito che, poiché la tutela penale dei marchi o dei segni distintivi delle opere dell’ingegno o di prodotti industriali è finalizzata alla garanzia dell’interesse pubblic preminente della fede pubblica, più che a quello privato del soggetto inventore, il terzo comma dell’art. 473 cod. pen. – secondo il quale le norme incriminatrici in
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tema di contraffazione e alterazione dei marchi o dei segni si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale – deve essere interpretato nel senso che per la configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi del medesimo articolo è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettat nelle forme di legge all’esito della prevista procedura, sicché la falsificazione dell’opera dell’ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale (Sez. 2, n. 6418 del 26/03/1998, Rv. 211176).
L’applicazione nella specie della costante giurisprudenza di questa Corte alla cui stregua, ai fini della sussistenza del delitto previsto dall’art. 474 cod. pen, allorchè si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici (nella specie telefoni cellulari con marchio Samsung, modello Galaxy Edge, e Iphone, modello 6 plus), non è richiesta la prova della sua registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi tale insussistenza deduce (Sez. 2, n. 36139 del 19/07/2017 Rv. 271140; Sez. 5, n. 5215 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258673; Sez. 2, n. 22693 del 13/05/2008, Rv. 240414; Sez. 2, Sentenza n. 46882 del 03/12/2021, Rv. 282404 – 01), impone la previa acquisizione di elementi che attestino una rinomanza tale del marchio e una notoria riferibilità alla casa produttrice e alla tipologia di prodotti ch contraddistingue da renderne giuridicamente attendibile la tutelabilità in sede giudiziaria, con conseguente onere a carico dell’incolpato di fornire la prova contraria, elementi che non risultano acquisiti in giudizio.
Nella specie, la Corte d’appello di Cagliari non si conforma ai principi elaborati da questa Corte, e con motivazione illogica, valorizza come indici della contraffazione circostanze quali il malfunzionamento dei telefoni cellulari, la falsità degli scontrini di acquisto (desunta dal numero di serie, dalla identità dell’importo e dalla data, che per uno era anteriore ma riportava un numero di serie successivo), le modalità fraudolente della vendita nonché l’avere l’imputato tentato di darsi alla fuga nel momento in cui l’acquirente chiede la restituzione dei telefoni acquistati in quanto non funzionanti, elementi che, come correttamente dedotto dalla difesa, sarebbero stati idonei a fondare un giudizio di responsabilità in ordine al delitto di cui all’art. 640 c.p. ma che nulla rilevan in ordine al reato contestato di cui all’art. 474 c.p., mancando in atti la previa acquisizione di elementi che attestino una rinomanza tale del marchio e una notoria riferibilità alla casa produttrice e alla tipologia di prodotti c contraddistingue da renderne giuridicamente attendibile la tutelabilità in sede giudiziaria.
Il percorso logico – argonnentativo della sentenza impugnata è, invero, oggettivamente inidoneo a dar conto del ragionamento seguito per la formazione del proprio convincimento ai fini della configurabilità del reato contestato.
L’unica circostanza con rilevanza indiziaria sarebbe rappresentata dal contenuto di verbale di sequestro ove è riportato che i telefoni sarebbero “clamorosamente” falsi in quanto difformi dagli originali per misura, peso, fattezze e logo, ma anche la piena valorizzazione di tale indizio condurrebbe a ritenere il percorso logico motivazionale seguito dalla Corte d’appello non rispettoso dei principi di cui all’art. 192 cod. proc. pen. in quanto l’affermazione di responsabilità dell’imputato si fonderebbe su un unico indizio non sufficiente a ritenere provata la contraffazione del marchio dei tre telefoni cellulari.
Invero, a fronte di tale quadro indiziario non univoco ai fini della configurazione del reato contestato non è corretta la valutazione della Corte territoriale di non ritenere necessario un ulteriore accertamento tecnico sui telefoni sulla base della apparente palese falsità degli stessi e della falsificazione degli scontrini per dimostrare la originalità del prodotto.
2.2 II secondo motivo di ricorso deve intendersi assorbito dall’accoglimento del primo motivo.
2.3 Il terzo motivo è fondato.
Ai fini della tutela penale, il concetto di contraffazione, secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, presuppone la riproduzione integrale in tutta la sua configurazione emblematica e denominativa, di un marchio o di un segno distintivo, mentre per alterazione – costituente parimenti condotta punibile a norma degli artt. 473 e 474 cod. pen. – si intende la riproduzione solo parziale ma tale da potersi confondere col marchio originario o col segno distintivo. Dunque, è sufficiente la riproduzione del marchio “nei suoi elementi essenziali” e tale valutazione deve essere condotta sulla base di un esame, non analitico, ma sintetico che tenga conto dell’impressione d’insieme e della specifica categoria cui il prodotto è destinato (Sez V n. 46833 del 27/10/2004). E’ evidente che (come nel caso di specie) più il marchio gode di rinomanza – circostanza che nella disciplina civilistica lo rende tutelabile, a norma dell’art. 20 lett. c) c propr. ind., a prescindere addirittura da ogni confondibilità del segno e dal settore merceologico in cui si colloca il prodotto – più lo stesso è dotato di una forte capacità distintiva, con la conseguenza che, nella valutazione complessiva dei segni posti al raffronto, eventuali elementi di differenziazione aventi carattere secondario presenti nei segni dei contraffattori non incidono sulla positiva valutazione di falsità. Né può avere rilievo la circostanza che gli acquirenti
possano avere eventualmente consapevolezza della falsità del marchio, considerato che le norme penali sul falso tutelano l’affidabilità di alcune forme di comunicazione e di rappresentazione della realtà, prescindendo, di regola, dalla lesione di ulteriori interessi patrimoniali, con la conseguenza che ciò che rileva non è una generica idoneità all’inganno della condotta ma solo l’idoneità di un documento o di un marchio ad assumere un significato descrittivo non corrispondente ai fatti e, quindi, nella specie, non rileva che il singolo acquirente sia effettivamente ingannato o addirittura consapevole della falsità, ma solo che il marchio contraffatto sia idoneo a fare falsamente apparire il prodotto come proveniente da un determinato produttore (sez. 5 n. 33543 del 21/09/2006, Rv. 235225). Peraltro, questa Corte ha anche affermato che non rileva neppure una eventuale contraffazione grossolana atteso che l’art. 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi. Si tratta quindi di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e non può nemmeno ravvisarsi qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Sez 2 n. 20944 del 4/05/2012, Rv. 252836; Sez. 5, sentenza n. 33900 del 08/05/2018, Rv. 273893 – 01).
La sentenza impugnata – nel rispondere ad un motivo di gravame proposto sul punto – dà atto che i profumi in sequestro riportavano nomi molto simili ai marchi originali, anche graficamente, rilevando che la difesa dell’imputato, sul punto, nulla aveva osservato in primo grado durante l’esame degli oggetti in udienza, affermando che le confezioni sigillate richiamavano evidentemente noti marchi attraverso le dimensioni e la medesima grafica, ritenendo trattarsi di alterazioni del marchio comunque evocative del prodotto originale e perciò suscettibili di generare confusione nel pubblico dei consumatori, idonee dunque ad integrare la fattispecie di cui all’art.474 cod. pen.
Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art.474 cod. pen., occorr valutare l’attitudine ingannatoria del marchio in sé, non le modalità di vendita e le altre circostanze che attengono, invece, alla tutela del consumatore. Tanto è vero che il reato di cui all’art. 474 cod. pen. sussiste addirittura nell’ipotesi in c il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio, giacché l’incriminazione mira per l’appunto non a garantire il singolo acquirente come tale, bensì la circolazione dei beni contraddistinti da marchi registrati (Sez. 2, n. 28423 del 27 aprile 2012, COGNOME, Rv. 253417), proprio perché la potenzialità lesiva del marchio contraffatto si correla all’azione di diffusione del prodotto falsificato ad un numero indeterminabile di consociati nonché alla idoneità del marchio stesso a fare
falsamente apparire un dato prodotto come proveniente da un determinato produttore (Sez. 5, Sentenza n. 30539 del 13/05/2021, Rv. 281702 – 01).
Nella specie, i giudici di merito non si confrontano con la contestazione che richiede la riproduzione degli elementi essenziali del marchio registrato nella loro interezza e la sostanziale identità del “logo” riprodotto rispetto a quello originale (Sez. 2, n. 27376 del 17/02/2017, Lu, Rv. 270312; Sez. 5, n. 13322 del 23/01/2009, Liang e a., Rv. 243937), non chiarendo quali fossero, nel concreto, in modo adeguato, le caratteristiche dei marchi contraffatti, e dunque il profilo della inidoneità della contraffazione del marchio, né si confronta con il motivo di appello che deduce una mera somiglianza ai marchi originali e non la pedissequa riproduzione integrale del marchio registrato con particolare riguardo alla prospettazione del diverso reato di cui all’art.517 cod. pen., posto a tutela dell’ordine economico e punisce la messa in circolazione di prodotti dell’ingegno o di opere industriali recanti marchi o segni distintivi atti ad ingannare i compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto.
La sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Cagliari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra
Sezione della Corte di appello di Cagliari.
Così deciso in Roma il 19/12/2024.