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Contraffazione aggravata: quando l’attività è organizzata

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 958/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per contraffazione aggravata. La Corte ha confermato che la presenza di macchinari industriali, più locali, diversi lavoratori e un ingente numero di prodotti sono elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’attività organizzata e sistematica, integrando così l’aggravante prevista dall’art. 474-ter c.p. e respingendo il ricorso come un tentativo di rivalutazione dei fatti, non consentito in sede di legittimità.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contraffazione Aggravata: i Criteri per Definire un’Attività Organizzata

L’ordinanza n. 958 del 2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione su quando un’attività illecita integra la fattispecie di contraffazione aggravata. La Suprema Corte ha delineato con chiarezza gli indizi che permettono di qualificare un’attività produttiva come ‘organizzata’ e ‘sistematica’, facendo scattare così l’applicazione della più grave fattispecie prevista dall’articolo 474-ter del codice penale.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una condanna per i delitti di concorso in introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, aggravati dall’aver commesso i fatti attraverso un’attività organizzata. La Corte di Appello di Napoli, pur riformando parzialmente la pena, aveva confermato la responsabilità dell’imputato. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, contestando specificamente la sussistenza dell’aggravante.

Secondo il ricorrente, infatti, non vi erano prove sufficienti per dimostrare che la produzione di merce contraffatta fosse svolta in modo organizzato e sistematico, come richiesto dalla norma.

La Valutazione della Corte sulla Contraffazione Aggravata

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, definendolo ‘generico e manifestamente infondato’. La decisione si basa sull’analisi della motivazione fornita dalla Corte territoriale, giudicata congrua e corretta. Quest’ultima aveva infatti individuato una serie di elementi fattuali che, letti nel loro complesso, non lasciavano dubbi sulla natura strutturata dell’attività illecita.

Gli Indizi dell’Attività Organizzata

Per i giudici di merito, e con l’avallo della Cassazione, i requisiti dell’aggravante potevano essere desunti da prove concrete e inequivocabili emerse durante il processo. Questi elementi, secondo le ‘comuni massime di esperienza’, deponevano per l’esistenza di un’impresa criminale stabile e non di un episodio sporadico. Gli indizi chiave erano:

* La presenza di macchinari industriali: nell’opificio era stata trovata una pressa, strumento che indica una capacità produttiva seriale e non artigianale.
* La pluralità di locali: l’attività non si svolgeva in un unico luogo, ma si estendeva a più locali, alcuni dei quali adibiti a deposito, suggerendo una logistica complessa.
* La presenza di manodopera: più soggetti erano stati sorpresi intenti al lavoro, segno di una divisione dei compiti e di una struttura aziendale.
* Il volume della produzione: era stato rinvenuto un rilevante numero di articoli, sia in fase di lavorazione sia già pronti, a dimostrazione di una produzione su larga scala.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte Suprema ha sottolineato che le censure mosse dal ricorrente erano interamente ‘versati in fatto’. Il ricorso, infatti, non denunciava una violazione di legge, ma mirava a ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, un’operazione preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma ha il compito di verificare la corretta applicazione del diritto e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.

Poiché entrambi i giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) erano giunti alla medesima conclusione basandosi sulle stesse prove, e in assenza di ‘inopinabili e decisivi fraintendimenti’ delle stesse da parte della difesa, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile. La valutazione della Corte territoriale è stata ritenuta logica, coerente e giuridicamente corretta.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per configurare la contraffazione aggravata ai sensi dell’art. 474-ter c.p., non sono necessarie prove dirette di un ‘patto’ organizzativo, ma è sufficiente la presenza di indizi fattuali gravi, precisi e concordanti. La dotazione di mezzi (macchinari, locali) e l’impiego di persone, uniti a un significativo volume di produzione, costituiscono elementi solidi da cui desumere l’esistenza di un’attività organizzata e sistematica. La decisione rappresenta un monito per chi tenta di mascherare un’attività imprenditoriale illecita come un fatto isolato e serve come guida per gli operatori del diritto nell’identificare i contorni di questa specifica aggravante.

Quando un’attività di contraffazione si considera ‘organizzata’ ai fini dell’aggravante?
Secondo la sentenza, un’attività si considera organizzata quando sono presenti elementi fattuali che, nel loro insieme, indicano una struttura stabile e sistematica. Nel caso specifico, sono stati ritenuti decisivi: la presenza di macchinari industriali (una pressa), l’utilizzo di più locali (anche per deposito), la presenza di diversi lavoratori e un numero rilevante di prodotti lavorati o da lavorare.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove del processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove (come farebbe un testimone o un documento), ma controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. Un ricorso che si limita a proporre una diversa lettura dei fatti è inammissibile.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta il rigetto del ricorso senza che la Corte ne esamini il merito. La sentenza impugnata diventa definitiva e l’imputato viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000,00 Euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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