Contrabbando Doganale Aggravato: La Recidiva Resiste alla Depenalizzazione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un’importante questione relativa al contrabbando doganale aggravato e agli effetti della depenalizzazione. La decisione chiarisce che la recidiva, in questo contesto, rende il reato una fattispecie autonoma, non soggetta all’abolitio criminis prevista per i reati meno gravi. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.
I fatti del caso
Un soggetto veniva condannato per il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione in riferimento all’applicazione della recidiva. Secondo la difesa, la contestazione della recidiva non era fondata, presumibilmente in relazione a precedenti penali che, secondo la sua tesi, non avrebbero dovuto più avere rilevanza giuridica.
La Corte Suprema, tuttavia, ha rigettato tale argomentazione, basando la sua decisione su un presupposto fattuale e su un consolidato principio di diritto.
L’analisi del Contrabbando Doganale Aggravato dalla Recidiva
Il punto centrale della controversia era stabilire se il delitto di contrabbando doganale aggravato dalla recidiva, previsto dall’art. 296, comma 2, del d.P.R. n. 43/1973, potesse beneficiare della depenalizzazione introdotta dal d.lgs. n. 8/2016. Tale decreto ha trasformato in illeciti amministrativi numerosi reati puniti con la sola pena pecuniaria.
L’imputato, nel suo ricorso, ha tentato di sostenere che la recidiva non potesse essere considerata valida, in quanto i delitti sui quali si fondava erano stati oggetto di “abolitio criminis”. La Corte di Cassazione, però, ha seguito un orientamento giurisprudenziale differente e consolidato.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per due ragioni principali. In primo luogo, ha evidenziato come il motivo di ricorso fosse generico e non si confrontasse con la motivazione della sentenza impugnata. Quest’ultima aveva infatti sottolineato che l’imputato, prima di commettere il reato in esame (avvenuto nel 2018), aveva già ricevuto un’ordinanza ingiunzione dall’Agenzia delle Dogane nel 2017 per il possesso di oltre 5 kg di tabacchi lavorati esteri, dimostrando una persistente inclinazione a delinquere.
In secondo luogo, e questo è il nucleo della decisione, i giudici hanno ribadito un principio di diritto fondamentale: il delitto di contrabbando doganale aggravato dalla recidiva è una fattispecie di reato autonoma. Come tale, non rientra nell’ambito della depenalizzazione generale prevista dal d.lgs. n. 8/2016. La Corte ha specificato che ciò vale anche quando i reati precedenti, su cui si fonda la recidiva, siano stati depenalizzati. La contestazione della recidiva, in questo specifico reato, non è una semplice circostanza aggravante, ma un elemento costitutivo di un’ipotesi delittuosa a sé stante, più grave e non soggetta all’effetto abrogativo.
Le conclusioni
La decisione della Cassazione conferma che chi commette contrabbando di tabacchi dopo essere già stato condannato per reati simili non può sperare nella depenalizzazione. La recidiva qualifica il fatto come contrabbando doganale aggravato, un reato autonomo che il legislatore ha inteso mantenere nell’ambito penale. La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo dei requisiti di legge.
Il reato di contrabbando doganale aggravato dalla recidiva è stato depenalizzato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che questa fattispecie costituisce un reato autonomo e, pertanto, non rientra nella previsione generale di depenalizzazione disposta dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8.
Cosa succede se i reati precedenti, su cui si basa la recidiva, sono stati oggetto di ‘abolitio criminis’?
Anche se i delitti sui quali si fonda la contestazione della recidiva sono stati successivamente depenalizzati, ciò non influisce sulla sussistenza del reato di contrabbando doganale aggravato. La recidiva rimane un elemento costitutivo di questa specifica e autonoma figura di reato.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto un ricorso dichiarato inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, il cui importo viene fissato equitativamente dalla Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9515 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9515 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 22/11/1985
avverso la sentenza del 13/03/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RG 26855/24
Rilevato che NOME COGNOME è stato condannato alle pene di legge per il reato degli art. 291-bis, comma 2 e 296 d.P.R. n. 43 del 1973;
Rilevato che l’imputato lamenta il vizio di motivazione con riferimento alla recidiva;
Rilevato che la doglianza non si confronta affatto con la motivazione secondo cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli aveva già emesso un’ordinanza ingiunzione il 27 marzo 2017, prima del fatto oggetto del presente processo che risaliva al 6 ottobre 2018, per il possesso di 5,600 chi di tabacchi lavorati esteri;
Rilevato che il delitto di contrabbando doganale aggravato dalla recidiva previsto dall’art. 29 comma 2, d.P R. 23 gennaio 1973, n. 43, in quanto fattispecie di reato autonomo, non rientra nella previsione generale di depenalizzazione di cui all’art. 1, comma 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, pur quando i delitti sui quali è fondata la contestazione della recidiva siano stati ogget “abolitio criminis” (Sez. 3, n. 32868 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283645 – 01);
Rilevato che le sentenze di merito hanno puntualmente applicato il suddetto principio di diritto
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che all declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente