Conto Cointestato e Appropriazione Indebita: Quando il Prelievo Diventa Reato
Il prelievo di somme da un conto cointestato può integrare il reato di appropriazione indebita, specialmente nel contesto di una separazione conflittuale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha confermato questo principio, dichiarando inammissibile il ricorso di una ex coniuge che aveva prelevato fondi di esclusiva pertinenza dell’altro. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti del Caso: un Prelievo Controverso dal Conto Cointestato
Il caso esaminato riguarda una donna condannata in primo e secondo grado per il reato di appropriazione indebita, previsto dall’articolo 646 del codice penale. La vicenda trae origine dal prelievo di somme di denaro da un conto cointestato con l’ex marito.
L’elemento cruciale, emerso durante il processo, è che la stessa imputata aveva ammesso che le somme presenti sul conto appartenevano in via esclusiva all’ex coniuge. Nonostante questa consapevolezza, dopo la separazione definitiva, aveva proceduto a prelevare il denaro, compiendo operazioni definite dai giudici come “anomale”. Contro la sentenza della Corte d’Appello, la donna ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione circa la sussistenza del suo dolo.
L’Analisi della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile per due ragioni fondamentali, che delineano chiaramente i limiti del giudizio di legittimità.
Il Principio di Diritto: perché il Ricorso è Inammissibile sul conto cointestato?
La Corte ha stabilito che i motivi presentati dalla ricorrente non erano ammissibili in sede di legittimità. In primo luogo, essi si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Un ricorso in Cassazione, per essere valido, deve contenere una critica argomentata e specifica contro le ragioni della sentenza impugnata, non una semplice ripetizione di difese precedenti.
In secondo luogo, e in modo ancora più decisivo, il ricorso mirava a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti. La ricorrente, in sostanza, chiedeva alla Cassazione di “rileggere” le prove in modo diverso da come aveva fatto il giudice di merito. Questo, però, è un compito che esula completamente dai poteri della Suprema Corte. Il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sui fatti, ma di un controllo sulla corretta applicazione del diritto e sulla logicità della motivazione.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Cassazione si fonda sul principio consolidato, richiamando una storica sentenza delle Sezioni Unite (n. 6402/1997), secondo cui la valutazione degli elementi di fatto è riservata in via esclusiva al giudice di merito. La Corte ha sottolineato che la sentenza d’appello aveva fornito una motivazione logica e giuridicamente corretta, spiegando in modo esauriente le ragioni del proprio convincimento. In particolare, i giudici di merito avevano valorizzato l’ammissione dell’imputata sulla proprietà esclusiva del denaro da parte dell’ex marito e il suo comportamento “anomalo” post-separazione come prova del dolo, ovvero dell’intenzione di appropriarsi di un bene altrui.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche sul Prelievo dal Conto Cointestato
Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce che la cointestazione di un conto non attribuisce automaticamente la proprietà del 50% delle somme depositate. La provenienza del denaro è un fattore determinante. Appropriarsi di somme che si sa appartenere esclusivamente all’altro cointestatario integra il reato di appropriazione indebita.
In secondo luogo, la decisione riafferma la natura e i limiti del ricorso per cassazione: non è una sede per rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, ma solo per censurare vizi di legittimità. Chi intende impugnare una sentenza di condanna deve formulare critiche specifiche e pertinenti alla motivazione del giudice, senza tentare di ottenere una inammissibile ricostruzione della vicenda processuale.
È possibile prelevare dal conto cointestato se i fondi sono di proprietà esclusiva dell’altro cointestatario?
No. Secondo la decisione, prelevare somme da un conto cointestato sapendo che appartengono esclusivamente all’altro titolare può configurare il reato di appropriazione indebita, in quanto si dispone di denaro altrui. L’ammissione della provenienza dei fondi è stata decisiva per dimostrare il dolo.
Un ricorso in Cassazione può essere utilizzato per chiedere una nuova valutazione delle prove?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che non ha il potere di effettuare una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione. La valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti sono compiti riservati esclusivamente ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Cosa succede se i motivi di un ricorso in Cassazione sono una semplice ripetizione di quelli già presentati in appello?
Il ricorso viene considerato non specifico e, di conseguenza, inammissibile. Per essere valido, il ricorso deve contenere una critica argomentata e puntuale avverso la sentenza impugnata, non limitarsi a riproporre le stesse difese già respinte nel grado precedente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35266 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35266 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/01/2025 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME, ritenuto che entrambi i motivi di ricorso, che deducono rispettivamente il vizio di violazione di legge, con riferimento agli artt. 1854, 1298 cod. civ., nonché vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento al sussistenza del consenso della persona offesa all’utilizzo dei beni oggetto del rea di cui all’art. 646 cod. pen., sono indeducibili perché si risolvono nella pedisse reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, i quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che gli stessi motivi di ricorso non sono consentiti dalla legge in sede d legittimità perché tendono ad ottenere un’inammissibile ricostruzione dei fatt mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni suo convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata relativamente alla prova delle condotte appropriative aventi ad oggetto le somme di denaro, peraltro ammesse dalla stessa imputata che aveva dichiarato che le somme sul conto corrente cointestato appartenevano solo all’ex coniuge, operando in modo anomalo dopo la lite definitiva con il marito, a dimostrazione del dolo del reato);
che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilett degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il giorno 23 settembre 2025.