Continuità Normativa: Quando l’Abrogazione di una Norma non Cancella il Reato
Il principio di continuità normativa è un concetto fondamentale nel diritto penale che spesso genera dubbi: cosa succede se una persona viene condannata per un reato previsto da una legge che, successivamente, viene abrogata? L’imputato viene automaticamente scagionato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre una risposta chiara, spiegando come la successione di leggi nel tempo non sempre porta all’estinzione del reato.
I Fatti del Processo
Il caso nasce dalla condanna di un’imputata da parte del Tribunale di Terni per i reati di furto in abitazione (art. 624 bis c.p.) e per la violazione dell’art. 55, comma 5, del d.lgs. n. 231/2007. La Corte d’Appello di Perugia, pur riformando parzialmente la sentenza, confermava la colpevolezza e revocava la sospensione condizionale della pena precedentemente concessa.
L’imputata, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
La difesa ha articolato il ricorso su tre punti chiave:
1. Violazione di legge per abrogazione: Si sosteneva che la condanna per il reato previsto dall’art. 55, comma 5, d.lgs. n. 231/2007 fosse illegittima, poiché tale norma era stata abrogata prima della pronuncia della sentenza impugnata.
2. Violazione procedurale e illogicità: Si contestava la violazione degli artt. 361 e 521 del codice di procedura penale, ritenendo la motivazione della sentenza illogica e contraddittoria, in quanto l’imputata non poteva essere considerata l’autrice materiale di uno dei reati contestati.
3. Carenza di prova: Si lamentava una violazione di legge e una carenza di motivazione riguardo al reato di furto, affermando che non vi fosse prova certa del coinvolgimento della ricorrente.
Continuità normativa: L’Analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Il punto centrale della decisione riguarda il primo motivo, relativo all’abrogazione della norma.
I giudici hanno chiarito che, sebbene l’art. 55 del d.lgs. n. 231/2007 sia stato effettivamente abrogato dal d.lgs. n. 21 del 1 marzo 2018, la condotta penalmente rilevante non è stata eliminata dall’ordinamento. Al contrario, la fattispecie è confluita nel nuovo articolo 493 ter del codice penale. Questo fenomeno è noto come continuità normativa.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte è lineare e precisa. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, viene spiegato che tra la vecchia e la nuova norma sussiste una continuità che non lascia spazi vuoti di tutela. L’intento del legislatore non era quello di depenalizzare la condotta, ma solo di riorganizzare la materia, spostando la previsione normativa dal decreto legislativo al codice penale. Di conseguenza, chi ha commesso il fatto sotto la vigenza della vecchia legge continua ad essere punibile in base alla nuova disposizione, senza che si verifichi alcuna abolizione del reato.
Per quanto concerne le altre censure, la Corte le ha ritenute manifestamente infondate. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la sentenza d’appello avesse fornito una motivazione logica e consequenziale per spiegare l’iter che aveva portato all’individuazione della ricorrente come autrice dei reati. Il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per chiedere una nuova valutazione dei fatti, ma solo per contestare vizi di legittimità, che in questo caso non sono stati riscontrati.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: l’abrogazione di una norma incriminatrice non comporta automaticamente l’impunità se la stessa condotta è punita da una nuova disposizione. La continuità normativa assicura che non vi siano interruzioni nella tutela penale di determinati beni giuridici. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, ciò significa che è essenziale non fermarsi alla mera abrogazione formale di una legge, ma verificare se il legislatore abbia provveduto a sostituirla con una nuova, mantenendo intatta la rilevanza penale del comportamento. La decisione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha inoltre condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Se una legge che prevede un reato viene abrogata, l’imputato viene sempre assolto?
No, non se la condotta è prevista come reato da una nuova norma. In tal caso, si applica il principio di continuità normativa e la responsabilità penale rimane.
Cosa significa che un ricorso è ‘manifestamente infondato’?
Significa che i motivi presentati sono così palesemente privi di fondamento giuridico da non meritare un esame approfondito. Ciò porta a una dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
In questo caso, perché il reato previsto dall’art. 55 d.lgs. 231/2007 non è stato considerato estinto?
Perché, sebbene la norma sia stata formalmente abrogata dal d.lgs. n. 21 del 2018, la stessa condotta illecita è stata trasferita e continua ad essere punita dal nuovo articolo 493 ter del codice penale, garantendo così la continuità normativa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21489 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21489 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
Con sentenza in data 10.10.2022 la Corte d’appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza emessa in data 11.12.2020 dal Tribunale di Terni che aveva ritenuto NOME colpevole dei reati di cui all’art. 624 bis cod.pen. (capo 1) e 55 comma 5 d.lgs. n. 231 del 2007 e, ritenuta la continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, ed operata la riduzione per il rito, la aveva condannata alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 900 di- multa con pena sospesa, ha revocato la sospensione condizionale della pena concessa con la sentenza appellata nonché con le sentenze della Corte d’appello 4.10.2016 (irrevocabile il 3.5.2017) e del 18.2.2020 (irrevocabile il 18.6.2021).
Avverso detta sentenza l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Con il primo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 55 comma 5 d.lgs. n. 231 del 2007 essendo stata l’imputata condannata in relazione al reato di cui all’art. 55 comma 5 d.Igs n. 231 del 2007 norma abrogata dal d.lgs. n. 21 del 2008 in data anteriore a quella della pronuncia della sentenza oggi impugnata.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 361 e 521 cod.proc.pen. nonché la motivazione illogica e contraddittoria atteso che la prevenuta non può essere ritenuta soggetto agente del reato di cui al capo 2).
Con il terzo motivo deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 624 bis cod.pen. e 521 cod.proc.pen. nonché la motivazione illogica e la carenza di motivazione in relazione al capo 1) non essendovi la prova che il fatto sia stato commesso dall’odierna ricorrente.
Ha depositato altresì memoria.
Il ricorso é manifestamente infondato.
Sul primo motivo, va rilevato che l’art. 55 d.lgs. n. 231 del 2007 é stato abrogato dal d.lgs. 1 marzo 2018 n. 21 ma la norma in questione confluisce nell’art. 493 ter cod.pen.sicchè tra le due fattispecie di reato sussiste continuità normativa.
Manifestamente infondate sono anche le restanti censure atteso che la sentenza impugnata con motivazione logica e conseguenziale ha dato atto dell’iter attraverso cui si é pervenuti all’individuazione dell’odierna imputata.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così decisi in Roma, il 17.4.2024