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Continuità normativa: reato valido anche se abrogato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per furto e per un reato previsto da una norma poi abrogata. La Corte applica il principio di continuità normativa, chiarendo che il reato sussiste poiché la condotta è stata recepita in un nuovo articolo del codice penale (art. 493 ter c.p.), garantendo la prosecuzione della punibilità. Gli altri motivi di ricorso sono stati ritenuti manifestamente infondati.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuità Normativa: Quando l’Abrogazione di una Norma non Cancella il Reato

Il principio di continuità normativa è un concetto fondamentale nel diritto penale che spesso genera dubbi: cosa succede se una persona viene condannata per un reato previsto da una legge che, successivamente, viene abrogata? L’imputato viene automaticamente scagionato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre una risposta chiara, spiegando come la successione di leggi nel tempo non sempre porta all’estinzione del reato.

I Fatti del Processo

Il caso nasce dalla condanna di un’imputata da parte del Tribunale di Terni per i reati di furto in abitazione (art. 624 bis c.p.) e per la violazione dell’art. 55, comma 5, del d.lgs. n. 231/2007. La Corte d’Appello di Perugia, pur riformando parzialmente la sentenza, confermava la colpevolezza e revocava la sospensione condizionale della pena precedentemente concessa.

L’imputata, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, basando la sua difesa su tre motivi principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su tre punti chiave:

1. Violazione di legge per abrogazione: Si sosteneva che la condanna per il reato previsto dall’art. 55, comma 5, d.lgs. n. 231/2007 fosse illegittima, poiché tale norma era stata abrogata prima della pronuncia della sentenza impugnata.
2. Violazione procedurale e illogicità: Si contestava la violazione degli artt. 361 e 521 del codice di procedura penale, ritenendo la motivazione della sentenza illogica e contraddittoria, in quanto l’imputata non poteva essere considerata l’autrice materiale di uno dei reati contestati.
3. Carenza di prova: Si lamentava una violazione di legge e una carenza di motivazione riguardo al reato di furto, affermando che non vi fosse prova certa del coinvolgimento della ricorrente.

Continuità normativa: L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. Il punto centrale della decisione riguarda il primo motivo, relativo all’abrogazione della norma.

I giudici hanno chiarito che, sebbene l’art. 55 del d.lgs. n. 231/2007 sia stato effettivamente abrogato dal d.lgs. n. 21 del 1 marzo 2018, la condotta penalmente rilevante non è stata eliminata dall’ordinamento. Al contrario, la fattispecie è confluita nel nuovo articolo 493 ter del codice penale. Questo fenomeno è noto come continuità normativa.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte è lineare e precisa. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, viene spiegato che tra la vecchia e la nuova norma sussiste una continuità che non lascia spazi vuoti di tutela. L’intento del legislatore non era quello di depenalizzare la condotta, ma solo di riorganizzare la materia, spostando la previsione normativa dal decreto legislativo al codice penale. Di conseguenza, chi ha commesso il fatto sotto la vigenza della vecchia legge continua ad essere punibile in base alla nuova disposizione, senza che si verifichi alcuna abolizione del reato.

Per quanto concerne le altre censure, la Corte le ha ritenute manifestamente infondate. I giudici di legittimità hanno sottolineato come la sentenza d’appello avesse fornito una motivazione logica e consequenziale per spiegare l’iter che aveva portato all’individuazione della ricorrente come autrice dei reati. Il ricorso per cassazione non può essere utilizzato per chiedere una nuova valutazione dei fatti, ma solo per contestare vizi di legittimità, che in questo caso non sono stati riscontrati.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: l’abrogazione di una norma incriminatrice non comporta automaticamente l’impunità se la stessa condotta è punita da una nuova disposizione. La continuità normativa assicura che non vi siano interruzioni nella tutela penale di determinati beni giuridici. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, ciò significa che è essenziale non fermarsi alla mera abrogazione formale di una legge, ma verificare se il legislatore abbia provveduto a sostituirla con una nuova, mantenendo intatta la rilevanza penale del comportamento. La decisione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha inoltre condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Se una legge che prevede un reato viene abrogata, l’imputato viene sempre assolto?
No, non se la condotta è prevista come reato da una nuova norma. In tal caso, si applica il principio di continuità normativa e la responsabilità penale rimane.

Cosa significa che un ricorso è ‘manifestamente infondato’?
Significa che i motivi presentati sono così palesemente privi di fondamento giuridico da non meritare un esame approfondito. Ciò porta a una dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

In questo caso, perché il reato previsto dall’art. 55 d.lgs. 231/2007 non è stato considerato estinto?
Perché, sebbene la norma sia stata formalmente abrogata dal d.lgs. n. 21 del 2018, la stessa condotta illecita è stata trasferita e continua ad essere punita dal nuovo articolo 493 ter del codice penale, garantendo così la continuità normativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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