Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5041 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5041 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARI il 03/03/1958
avverso l’ordinanza del 30/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG Givoyft s’ gcovt – o GLYPH HA ( 1//b -S”-ro Pl DieglAgaaf peAniiiss – ) J3)tr GLYPH Ric,2c.
RITENUTO IN FATTO
1. La ricostruzione della vicenda processuale.
1.1. NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, ricorre avverso l’ordinanza n. 1141 del 30 ottobre 2024 (depositata il 4 novembre 2024 e notific al difensore il 5 novembre 2024), con la quale la Corte di appello di Roma, ne veste di giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., ha rigettato motivata dalla sopravvenuta abrogazione dell’art. 323 c.p., di revoca parziale d sentenza di condanna alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione emessa il febbraio 2022 dalla Corte di appello di Roma (divenuta definitiva il 18 novembr 2022) per due delitti commessi durante il suo mandato di Sindaco di Roma Capitale, ritenendo che le condotte ascritte ad NOME costituissero interv quantomeno indebiti, in quanto comportanti violazione della normativa su pagamenti della pubblica amministrazione, essendo pubbliche le società destinatarie dell’intervento illecito. I comportamenti dell’NOME sono ritenuti posti in essere in relazione all’esercizio delle sue funzioni di Si quindi rientranti nella forma aggravata del reato, prevista ora dal quarto co dell’art. 346-bis cod. pen.
Nel processo di cognizione, con la sentenza del 23 ottobre 2020, la Corte appello di Roma aveva confermato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Roma del 25 febbraio 2019, che aveva ritenuto l’imputato NOME responsabile per i reati allo stesso ascritti ai capi 1) e 2) della rubric continuazione tra loro.
Al capo 1) erano stati attribuiti all’Alemanno fatti corruttivi, che ve esaminati nel prosieguo, ai limitati fini necessari alla delibazione dell’o ricorso, considerato che, per alcune delle condotte, è intervenuta assoluzione
Al capo 2) era stato altresì contestato all’imputato il reato di cui agli commi 2 e 3, I. n. 195 del 1974, 4, comma 1, I. n. 659 del 1981, 110 cod. pe perché in concorso tra loro, COGNOME, quale amministratore di fatto della coopera RAGIONE_SOCIALE, in accordo con Carminati, erogava nel 2014 ad NOME, consigliere comunale presso il Comune di Roma, la somma di almeno 10.000 euro, che riceveva tramite la Fondazione RAGIONE_SOCIALE, con bonifico senza deliberazione dell’organo sociale competente per finanziare una cena elettor per le elezioni europee, mascherando la elargizione come finanziamento all Fondazione, che per statuto, non poteva finanziare campagne elettorali.
1.2. La Corte di appello di Roma, con l’ordinanza impugnata, ha ritenuto che condotta di NOME continui oggi a rivestire il carattere della illiceità p rientri pienamente nella previsione del primo comma del novellato art. 346-b cod. pen., ed ha così rigettato l’istanza di revoca della condanna irrevocabile
1.3. La difesa ha censurato il provvedimento impugnato sulla base del fatto che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, sarebbe stato abrogato il delitto di abuso di ufficio (art. 323 cod. pen., depenalizzato con la legge 9 agosto 2024 a decorrere dal 25 agosto 2024), che costituiva, per come è stato spiegato a pag. 21 della sentenza della Corte di legittimità intervenuta nella vicenda (Sez. 6, n. 40518 dell’8/07/2021) il “fatto di reato” idoneo a produrre vantaggi per le cooperative riconducibili al privato committente (COGNOME, le quali sarebbero state soddisfatte nei loro crediti prima di altri creditori.
Con la sentenza n. 40518 del 08/07/2021, per quanto rileva in questa sede, la sesta Sezione di questa Corte, qualificate le condotte ascritte al capo 1, nel diverso reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis, comma terzo, cod. pe ha evidenziato che «l’attività di mediazione onerosa, oggetto dell’accordo intercorso tra COGNOME e il ricorrente, si è caratterizzata infatti dalla illecita final far ottenere alle cooperative di Buzzi un trattamento di favore per i pagamenti dei crediti pregressi, in violazione della normativa che disciplina la materia del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione (normativa espressamente richiamata a pag. 57 della sentenza di primo grado)».
Per il ricorrente, infatti, il reato di cui al capo 1 non sussiste, perc mancherebbe la finalità di ottenere dalle società pubbliche interessate (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, atteso che i crediti delle cooperative erano reali e il loro pagamento costituiva atto dovuto.
La Corte di cassazione (Sez. 6, n. 40518 dell’8/07/2021), a questo proposito, alle pagg. 20 e 21 ha precisato che di per sé la finalità illecita della mediazione consisteva, rispetto ai crediti vantati verso le società pubbliche, nello scopo di “far ottenere alle cooperative di Buzzi un trattamento di favore per i pagamenti dei crediti pregressi, in violazione della normativa che disciplina la materia del pagamento dei debiti della p.a.” e che agli effetti dell’art. 346-bis cod. pen. è sufficiente la finalità illecita dell’accordo, sicché è irrilevante stabilir effettivamente i pagamenti effettuati dai pubblici agenti siano stati commessi in violazione di regole specifiche di condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato e come tale vada rigettato.
1.1. Con la sentenza n. 40518 del 08/07/2021, come si è detto, la sesta Sezione di questa Corte, qualificate le condotte ascritte al capo 1, nel diverso reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346-bis, comma terzo, cod. pen., evidenziato che «l’attività di mediazione onerosa, oggetto dell’accordo intercorso tra COGNOME e il ricorrente, si è caratterizzata infatti dalla illecita finalità di far o
alle cooperative di Buzzi un trattamento di favore per i pagamenti dei crediti pregressi, in violazione della normativa che disciplina la materia del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione (normativa espressamente richiamata a pag. 57 della sentenza di primo grado)».
La sentenza n. 40518 del 2021 ha aggiunto:
che non costituiscono «oggetto di specifica censura le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito sulla finalità illecita della mediazione, ovvero che essa mirava a realizzare, nell’interesse del gruppo RAGIONE_SOCIALE, il compimento da parte di pubblici agenti di atti contrari ai doveri di ufficio (in ragione della violazione de normativa sopra richiamata), ovvero la realizzazione di condotte qualificabili oggettivamente come fatti di abuso di ufficio (art. 323 cod. pen.)»;
«che nel caso in esame siamo in presenza dell’ipotesi aggravata prevista dal terzo comma dell’art. 346-bis cod. pen. della “mediazione qualificata” ovvero del traffico influenze illecite che vede protagonista, come trafficante, un pubblico agente».
La Corte di legittimità ha precisato al riguardo che «il carattere illecito dell mediazione c.d. onerosa realizzata dal ricorrente discende, ancor prima e indipendentemente dal risultato illecito che le parti intendevano perseguire, dalla vendita da parte di un pubblico ufficiale della sua influenza su altri pubblici agenti.
In tale evenienza, la stessa mediazione (farsi promettere o ricevere denaro in cambio della propria interferenza) costituisce per il pubblico ufficiale un atto contrario ai doveri di ufficio e, quindi, sufficiente a costituire il disva apprezzabile penalmente tutelato dalla norma».
La Corte di legittimità quindi:
ha annullato senza rinvio la sentenza di merito impugnata, in relazione alla vicenda dello sblocco dei pagamenti da parte di RAGIONE_SOCIALE per essere il reato estinto per prescrizione, confermando le statuizioni civili;
ha rinviato ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, in relazione al residuo reato di cui allo stesso capo 1 e di quello indicato nel capo 2, nonché per le decisioni in tema di confisca con riguardo alla vicenda dello sblocco dei pagamenti da parte di RAGIONE_SOCIALE
A tale sentenza di annullamento è seguito il giudizio di rinvio conclusosi con la suddetta sentenza di condanna del 18 febbraio 2022 emessa dalla Corte di appello di Roma (divenuta definitiva il 18 novembre 2022).
1.2. Giova precisare che, alle pag. 26 e 27, la sentenza n. 40518/21 della Corte di legittimità aveva richiamato le risultanze evidenziate nelle sentenze di merito, nelle quali era stato esposto che da dicembre 2012 al 30 aprile 2013 vi erano stati contatti tra COGNOME e il segretario del sindaco, quindi tra COGNOME, COGNOME e
NOME, per ottenere tramite quest’ultimo lo sblocco dei crediti delle coopera di Buzzi verso Eur s.p.a., mediante il trasferimento di fondi d’a parte del Co di Roma a Eur s.p.a.
Altro incontro doveva essere effettuato con COGNOME di RAGIONE_SOCIALE promesso da Alemanno dopo il 21 gennaio 2013, anche se poi l’incontro non era avvenuto, tanto che COGNOME aveva cercato di organizzarne un secondo, tenutos all’uscita dal Campidoglio la sera del 29 gennaio 2013.
Quindi, fino alla fine di aprile 2013, si erano verificati incontri con Bu risolvere il problema dei pagamenti.
In tale contesto, a febbraio 2013 COGNOME aveva dato atto che COGNOME aveva chiamato il nuovo vertice di Eur s.p.aRAGIONE_SOCIALE, COGNOME per sbloccare la situaz creditoria della cooperativa “29 giugno”.
La Corte di appello nella sentenza di condanna aveva precisato che l’interven di NOME (come risulta a pag. 28 della sentenza della Cassazione n. 40518-21 era stato remunerato da COGNOME con un versamento di 25.000 euro per la cen elettorale del 19.4.2013.
La riqualificazione dell’originario capo di imputazione di corruzione propria ( 318 cod. pen.) nel reato di cui all’art. 346-bis c.p., nella forma della med onerosa per NOME, è avvenuta, come detto, in virtù della citata sentenza 40518 della Cassazione dell’8.7.2021.
Per quanto ancora rileva, i giudici di legittimità hanno precisato altresì 17) che non era stata prospettata alcuna ipotesi di corruzione dei soggetti ri ai quali era stata offerta l’attività di mediazione illecita e che (pag. sentenza 40518/21) era stata definitivamente accertata (capo 17) la corruzi ex art. 318 cod. pen. di NOME COGNOME, dirigente di RAGIONE_SOCIALE, ad opera di COGNOME con riferimento al recupero dei crediti delle cooperative verso società, vicenda che i giudici di quel processo non hanno collegato (né tantom la sentenza impugnata) ai fatti in esame e che non ha visto il coinvolgimento ricorrente COGNOME e di COGNOME (pag. 18).
Quanto allo sblocco dei crediti delle cooperative vantati verso la soci partecipazione pubblica, la medesima sentenza di questa Corte, ha osservato ch l’influenza sulle decisioni «avuta di mira dalle parti era quella di far ott gruppo Buzzi un trattamento di favore, in violazione della normativa sui pagamen della pubblica amministrazione, e quindi implicante la commissione di fatti di ab di ufficio. Si è trattata inoltre di mediazione onerosa realizzata dal pu ufficiale».
Siffatte conclusioni sono state raggiunte dalla sesta Sezione, alla dell’orientamento che muove dalla premessa per la quale l’art. 346-bis cod. p nel testo applicabile all’epoca non chiariva quale fosse l’influenza illecita c
tipizzare la mediazione e non era possibile, allo stato della normativa vigent riferimento ai presupposti e alle procedure di una mediazione legittima con pubblica amministrazione (la c.d. lobbying), attualmente non ancor regolamentata.
È stato, pertanto, ritenuto necessario «ancorare la fattispecie ad un elem certo che connoti tipizzandola la mediazione illecita e che costituisca una g sicura per gli operatori e per l’interprete della norma».
A tal fine, si è concluso nel senso che l’unica lettura della norma che soddi principio di legalità è quella che fa leva sulla particolare finalità per attraverso la mediazione: la mediazione è illecita quando è finalizzata commissione di un “fatto di reato” idoneo a produrre vantaggi per il priv committente (e, infatti, in tal senso si esprime il secondo comma dell’art. 346 quale introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e) della I. 9 agosto 2024, n appunto, nel caso di specie, l’abuso d’ufficio.
1.3. La richiesta al giudice dell’esecuzione di annullamento della condanna si concentrata proprio su tale profilo, traendo dall’intervenuta abrogazione dell 323 cod. pen. la premessa per sostenere che è venuto meno quel profilo di illiceità penale del fine della mediazione che solo giustificava, nella prospettiva d sentenza di condanna, e che giustifica oggi, alla luce del nuovo tenore dell 346-bis cod. pen., la penale rilevanza della condotta dell’Alemanno.
2. La cornice giurisprudenziale di riferimento.
Secondo Sez. U, n. 2451 del 27/09/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238197 01, in tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapen richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del precedentemente commesso, se tale norma è integratrice di quella penale oppure ha essa stessa efficacia retroattiva.
Ad ogni modo, come si è appena detto, è lo stesso secondo comma dell’art. 346-bis cod. pen. attualmente vigente a richiedere esplicitamente che, ai fin cui al primo comma dello stesso art. 346-bis, per “altra mediazione illecit intende la mediazione per indurre il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pub servizio o uno degli altri soggetti di cui all’art. 322-bis cod. pen. a compi atto contrario ai doveri d’ufficio costituente reato, dal quale possa deriv vantaggio indebito.
Tuttavia, le specifiche condotte attribuite al ricorrente hanno avuto la fi di indurre il soggetto pubblico, che nella specie era legittimato ad impegnar società (il cui carattere pubblicistico è stato accertato nel procedimen commettere un reato che tale rimane, nonostante il fenomeno di aboliti° parziale descritto nel paragrafo che segue.
3. Lo stato della giurisprudenza con riguardo al rapporto tra abuso d’ufficio e peculato.
Prima degli interventi riformatori dei quali si dirà in fra, con la legge 26 aprile 1990, n. 86, nel riscrivere la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 314 il legislatore aveva eliminato dalla previsione normativa la condotta d “distrazione”, lasciando – quale condotta tipica esclusiva – la sola “appropriaz
Costituisce tuttavia principio di diritto acquisito dalla giurisprude legittimità (v., ad es., Sez. 6, n. 36496 del 30/09/2020, COGNOME, Rv. 280295 sulla scia di Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, COGNOME, in motivazio che, nel delitto di peculato, il concetto di “appropriazione” comprende anch condotta di “distrazione”, in quanto imprimere alla cosa una destinazione dive da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (Sez. 6, n. 25258 04/06/2014, Pg in proc. COGNOME e altro, Rv. 260070-01).
Cionondimeno, affinché possa essere ravvisata la condotta distrattiva dan luogo al peculato, è necessario che il pubblico agente abbia impiegato le riso di cui aveva la disponibilità per le finalità pubbliche istituzionalmente previ fini del soddisfacimento di finalità private, individuali, traendo cioè un van personale.
Non è difatti configurabile l’appropriazione – necessaria ad integrare il deli peculato – nell’ipotesi in cui la disposizione di risorse pubbliche avvenga per f diverse da quelle specificamente previste, ma pur sempre nell’ambito del attribuzioni del ruolo istituzionale svolto dall’agente pubblico in virtù delle organizzative dell’ente, perché in questa situazione permane la connessione fra res ed il dominus e, quindi, la legittimità del possesso (Sez. 6, n. 699 20/06/2013 – dep. 2014, COGNOME, Rv. 257766 – 01).
In altri termini, la destinazione del denaro pubblico al soddisfacime sincronico degli interessi privati dell’agente e istituzionali de contemporaneamente sussistenti, impedisce di ravvisare la diversione del denar dalla destinazione pubblica ad esso immanente, che dà luogo all’appropriazion sanzionata dall’art. 314 cod. pen.
In tale situazione avrebbe potuto, se del caso e naturalmente pri dell’abrogazione della relativa norma incriminatrice da parte dell’art. 1 del agosto 2024, n. 114, ravvisarsi la diversa fattispecie dell’abuso d’ufficio.
Sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, formatasi prima dell’abrogazione dell’art. 323 cod. pen., infatti, ferma la ravvisabilità del d peculato nel caso in cui il denaro o altri beni siano sottratti alla dest pubblica ed impiegati per il soddisfacimento di interessi essenzialmente privati
dell’agente, era invece configurabile l’abuso d’ufficio in presenza di una distrazione a profitto proprio che, tuttavia, si fosse concretizzata in un uso indebito del bene che non ne avesse comportato la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’ente di appartenenza (Sez. 6, n. 12658 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 26687101; Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, COGNOME e altri, Rv. 27378301) ovvero qualora l’utilizzo di denaro pubblico fosse avvenuto in violazione delle regole contabili e fosse funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti (Sez. 6, n. 41768 del 22/06/2017 – dep. 13/09/2017, P.G., P.C. in proc. COGNOME e altri, Rv. 27128301; Sez. 6, n. 27910 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 27967701).
4. Cronologia degli interventi di riforma del 2024.
4.1. Con l’art. 9 del d.l. 4 luglio 2024, n. 92, poi convertito dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, è stato inserito nel codice penale l’art. 314-bis, che introduce il reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili, a decorrere dal 5 luglio 2024 (art. 15, comma 1, d.l. n. 92 del 2024).
Tale disposizione stabilisce che «Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».
In questa sede non è rilevante soffermarsi sul fatto che, con la legge di conversione n. 112 del 2024 (dunque, con effetto solo dal 10 agosto 2024) è stato introdotto un secondo comma nel corpo dell’art. 314-bis cod. pen., a mente del quale «a pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e l’ingiusto vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto sono superiori ad euro 100.000».
Nel preambolo del decreto-legge vi è l’espressa attestazione che l’intervento è giustificato per «la straordinaria necessità e urgenza di definire, anche in relazione agli obblighi euro-unitari, il reato di indebita destinazione di beni ad opera del pubblico agente».
Secondo una condivisibile puntualizzazione dottrinaria, il riferimento si correla agli obblighi di incriminazione derivanti dal diritto dall’Unione europea per effetto del disposto dell’art. 4, par. 3, della Direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unio mediante il diritto penale (c.d. Direttiva PIF).
Va, al riguardo, aggiunto che il citato art. 4, par. 3, stabilisce che «gli Sta membri adottano le misure necessarie affinché, se intenzionale, l’appropriazione indebita costituisca reato» e precisa subito che «ai fini della presente direttiva, s’intende per “appropriazione indebita” l’azione del funzionario pubblico, incaricato direttamente o indirettamente della gestione di fondi o beni, tesa a impegnare o erogare fondi o ad appropriarsi di beni o utilizzarli per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, che leda gli interessi finanziari dell’Unione».
Il successivo paragrafo 4 dell’art. 4 precisa poi che ai fini della direttiva s’intend per «funzionario pubblico» un funzionario dell’Unione o un funzionario nazionale, compresi i funzionari nazionali di un altro Stato membro e i funzionari nazionali di un paese terzo».
Nella Relazione governativa di accompagnamento del decreto-legge è stato specificato che lo scopo dell’intervento traeva origine dagli effetti prodotti dalla legge n. 86 del 1990 che, nel ridisegnare l’intera disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione, aveva formalmente ristretto la portata applicativa dell’art. 314 cod. pen., limitandone l’applicazione alle sole forme di peculato per appropriazione, escludendo il riferimento alle forme di peculato per distrazione che la giurisprudenza aveva poi fatto rientrare nello spettro operativo del reato di abuso di ufficio di cui all’art. 323 cod. pen.
Da qui, si legge in quella relazione la necessità «di chiarire definitivamente i termini di punibilità di tali condotte non appropriative, anche in ragione della necessità di preciso adeguamento alla normativa euro-unitaria».
Ancora va osservato che l’introduzione della nuova figura dell’art. 314-bis cod. pen. ha anticipato di pochi giorni l’adozione della legge 9 agosto 2024, n. 114, che (con effetti a partire dal 25 agosto 2024, posto che è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 187 del 10 agosto 2024), ha abrogato l’art. 323 cod. pen.
La preoccupazione del legislatore nazionale, dunque, è stata evidentemente quella di evitare che l’abrogazione del reato di abuso di ufficio determinasse l’apertura in sede UE di una procedura di infrazione per violazione della suddetta direttiva, posta – in particolare – a presidio degli interessi finanziari dell’EU.
4.2. La nuova fattispecie incriminatrice di cui all’art. 314-bís cit. presenta, per un verso, chiare analogie con il reato di peculato:
il soggetto attivo è lo stesso (trattandosi di reato proprio che può essere commesso dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio);
l’oggetto materiale della condotta è il medesimo (il possesso o comunque la disponibilità del denaro o di altra cosa mobile altrui);
è uguale il relativo presupposto dell’azione (possesso o disponibilità per ragione dell’ufficio o del servizio);
muta invece la condotta, perché invece dell’appropriazione è punita la indebita destinazione.
Per altro verso, la fattispecie riprende alcuni dei tratti dell’abuso d’ufficio: – la condotta (destinazione ad uso diverso) deve contrastare, così come avveniva sotto l’art. 323 cod. pen. con specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità; – in termini identici è descritto l’evento del reato (l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all’altrui danno ingiusto); – uguale è la descrizione dell’elemento soggettivo in termini di dolo intenzionale.
4.3. Ai fini che rilevano nel presente procedimento, occorre considerare se si versi in presenza di una innovativa fattispecie di reato o se sia ravvisabile una sostanziale continuità normativa con il reato di abuso di ufficio, sì che risultino in parte limitati gli effetti dell’aboliti° criminis attuato con l’altro provvedimento legislativo, rimanendo punibili (sia pur con un trattamento sanzionatorio più lieve) alcune condotte distrattive già sanzionate ai sensi dell’art. 323 cod. pen.
La soluzione che risulta recepita dall’unico precedente che allo stato risulta intervenuto (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, Felicita) è nel senso che l’introduzione dell’art. 314-bis cod. pen. non ha comportato l’aboliti° criminis delle condotte di peculato per distrazione poste in essere senza la violazione di specifiche disposizioni di legge, ma soprattutto che la fattispecie di cui all’art. 314bis cod. pen. sanziona le condotte “distrattive” che la giurisprudenza di legittimità riferiva all’abrogata fattispecie di abuso di ufficio; resta fermo che l’ambito applicativo del peculato di cui all’art. 314 cod. pen. non risulta modificato.
4.4. Tale soluzione appare persuasiva, innanzi tutto alla luce della clausola di salvaguardia contenuta nell’incipit del nuovo art. 314-bis cod. pen. (“Fuori dei casi previsti dall’art. 314”), la quale rivela che il delitto di peculato mantiene i su contenuti e che l’art. 314-bis va a operare sulle condotte finora sussunte all’interno dell’art. 323, ossia le distrazioni compatibili con i fini istituzionali dell’ente».
Ne discende che le distrazioni già qualificabili prima delle riforme del 2024 come peculato per appropriazione distrattiva, con le quali l’autore ha destinato i beni a finalità esclusivamente private, sottraendoli definitivamente dalla finalità pubblica, non sono, pertanto, suscettibili di diversa qualificazione e, pertanto, restano punibili ai sensi dell’art. 314 cod. pen.
Al contrario, i casi di indebita distrazione di beni che risultino soddisfare, comunque, interessi pubblici coesistenti con il perseguimento di interessi privati, ovvero che non ne comportano la perdita per la pubblica amministrazione, già punite come forme di abuso di ufficio, restano punibili ai sensi del nuovo art. 314bis cod. pen., fermo restando che quest’ultima previsione realizza una parziale abolitio criminis, rendendo non più punibili, tra l’altro, le condotte distrattive che
non comportino violazione di specifiche disposizioni di legge, da cui non residui margini di discrezionalità.
Ulteriori forme di aboliti() parziale (in questa sede non rilevanti, alla luce delle peculiarità della condotta, quali rilevate supra) scaturiscono dal fatto che l’art. 314-bis richiede che la destinazione ad uso diverso riguardi beni di cui il pubb agente ha il possesso o la disponibilità “per ragioni del suo ufficio o serv mentre l’art. 323 cod. pen. richiedeva solo che la condotta fosse realizzata ” svolgimento delle funzioni o del servizio”.
Inoltre, l’art. 314-bis indica come oggetti materiali solo il “denaro o altr mobile altrui”, lasciando fuori dalla portata applicativa della nuova disposiz altri beni, quali gli immobili o le prestazioni lavorative, che invece pote considerarsi contemplati dal “vecchio” art. 323 cod. pen.
5.1. Tirando le fila delle suesposte considerazioni, si osserva che la fin illecita perseguita attraverso la condotta dell’Alemanno e avente ad ogget l’utilizzazione di risorse pubbliche per pagare debiti in violazione, secondo qu rilevato dalla sentenza n. 40518 del 2021, della normativa sui pagamenti dell pubblica amministrazione, già sussumibile nella fattispecie incriminatri dell’abuso d’ufficio, continua oggi ad assumere rilievo penale nella misura in pur in presenza di un oggettivo, concorrente interesse della pubbli amministrazione (ciò che esclude la qualificazione come peculato di cui all’art. 3 cod. pen.), esprimeva l’intento di realizzare una destinazione dei beni ad un diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità, intenzionalmen procurando a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un da ingiusto.
Il tema già emerge dagli accertamenti in fatto che avevano condotto a ritener configurabile l’abuso d’ufficio; infatti, il Tribunale di Roma nella sentenz 25.2.2019 alla pag. 57 richiamata a pag. 20 dalla suddetta sentenza della Sez n. 40518 dell’8.7.2021 aveva precisato:
“A tal proposito deve evidenziarsi che in base alla normativa che disciplina i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione e, più in generale, l’agire della P.A., gli organi competenti per i provvedimenti adottati, nello specifico la Giunta Comunale e il Consiglio comunale, devono assumere le decisioni relative ai pagamenti di crediti liquidi ed esigibili in sede di programmazione e, pertanto, prima dell’anno di esercizio cui si riferiscono rispettando un ordine temporale.
Proprio con riferimento al principio generale del rispetto dell’ordine cronologico, il giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 159, com 2, 3 e 4 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n 267 (Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali), nella parte in cui non prevede che la impignorabilità delle somme destinate ai fini indicati alle lettere a), b) e c) del comma 2 non operi qualora, dopo la adozione da parte dell’organo esecutivo della deliberazione semestrale di preventiva quantificazione degli importi delle somme destinate alle suddette finalità e la notificazione di essa al soggetto tesoriere dell’ente locale, siano emessi mandati a titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l’ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prescritta fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell’ente stesso (v. sentenza della Corte costituzionale n. 211 del 18.06.2003). Quanto appena affermato non è altro che l’applicazione del generale principio informatore dell’attività della P.A. di cui all’art. 1, comma 1 della legge n. 241 del 1990 che nello stabilire principi generali dell’attività amministrativa, stabilisce che l’attiv amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retata da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.
5.2. Orbene, si deve in questa sede prendere atto che la sentenza della Sez. 6 n. 40518/2021, nel qualificare la condotta di NOME come finalizzata alla consumazione da parte dei soggetti operanti nel Comune di Roma e nelle società pubbliche interessate (nei cui confronti si era impegnato ad intervenire ed è intervenuto) di un delitto di abuso di ufficio, secondo l’ultima formulazione dell’art. 323 cod. pen., ha esplicitamente qualificato le norme destinate ad essere violate come regole di condotta previste dalla legge sugli enti locali dalle quali non residuano margini di discrezionalità, sicché tale punto non può essere rimesso in discussione in questa sede. Identiche conclusioni valgono in relazione all’elemento soggettivo e ai restanti elementi rispetto ai quali, alla stregua delle superiori considerazioni, si è giustificata la conclusione della continuità normativa.
Pertanto, agli effetti dell’art. 314-bis cod. pen., inserito dall’art. 9, comma 1, del d.l. 4 luglio 2024 n. 92 convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 2024 n. 112, si deve affermare la puntuale continuità normativa con l’abrogato art. 323 cod pen. quale norma incriminatrice nella quale è sussumibile l’obiettivo perseguito dall’imputato.
Ne discende la conferma dell’infondatezza della pretesa esercitata dal ricorrente.
Stante l’infondatezza del ricorso, lo stesso va rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. /
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 10/01/2025