LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Continuità associazione mafiosa: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha confermato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.). La sentenza stabilisce che la prova della continuità di un’associazione mafiosa può fondarsi su precedenti sentenze definitive che ne hanno accertato l’esistenza, unite a nuovi elementi che dimostrano la persistente operatività del gruppo, come il sostegno ai latitanti e il controllo del territorio. Il ricorso dell’indagato, che contestava la mancanza di prove sull’attualità del sodalizio e sulla sua partecipazione, è stato rigettato.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuità Associazione Mafiosa: Come si Prova l’Operatività di un Clan?

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 33840 del 2025, offre chiarimenti fondamentali su come viene accertata la continuità di un’associazione mafiosa. Questo principio è cruciale nei processi contro la criminalità organizzata, dove spesso la difesa sostiene che un clan, pur essendo esistito in passato, non sia più operativo. La Corte spiega come le sentenze definitive precedenti possano costituire la base per dimostrare che il sodalizio non ha mai smesso di esistere.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un individuo, gravemente indiziato di far parte di un noto sodalizio mafioso, la ‘ndrangheta. L’accusa contestava la sua partecipazione attiva al clan, in particolare per aver contribuito a gestire un ammanco di stupefacenti e per aver favorito la latitanza di membri di spicco del sodalizio.

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, articolando tre motivi principali:
1. Mancanza di prova sull’esistenza e operatività attuale del clan: Secondo la difesa, l’accusa si basava erroneamente su sentenze passate senza dimostrare come il clan manifestasse oggi la sua forza intimidatrice.
2. Carenza di prova sulla partecipazione dell’indagato: La difesa sosteneva che non fosse stato chiarito il contributo effettivo dell’indagato al sodalizio.
3. Insussistenza del pericolo di recidiva: Si affermava che la condotta dell’indagato si fosse esaurita con l’arresto dei latitanti.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla continuità dell’associazione mafiosa

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendolo infondato e, per alcuni aspetti, inammissibile. La decisione si concentra sul principio della continuità dell’associazione mafiosa, chiarendo come questa possa essere provata anche in assenza di nuovi atti eclatanti.

Il fulcro della decisione risiede nell’applicazione dell’art. 238-bis del codice di procedura penale, che consente di utilizzare i ‘fatti storici’ accertati in sentenze definitive come prova in altri procedimenti. Se in passato è stata provata con sentenza irrevocabile l’esistenza di un’associazione criminale con determinate caratteristiche e un forte radicamento territoriale, questo dato diventa il punto di partenza per valutare la sua attuale operatività. Il tema di prova non è più dimostrare da zero l’esistenza del clan, ma accertare la continuità del suo agire.

Le Motivazioni della Sentenza

I giudici di legittimità hanno spiegato che un’associazione mafiosa ‘continua’ quando, anche a distanza di tempo, sfrutta la sua fama criminale e il suo ‘prestigio’ pregresso per operare. Non è necessario dimostrare una nuova e autonoma esteriorizzazione del metodo mafioso se il gruppo continua a operare nello stesso territorio, con una parziale coincidenza di soggetti e senza elementi di reale novità nei programmi criminali.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente collegato i risultati di precedenti procedimenti (come i processi ‘Appia’ e ‘Itaca’), che avevano accertato l’esistenza e l’operatività della cosca, con i fatti recenti. Le nuove evidenze, come la fitta rete di protezione garantita ai latitanti, il sostentamento alle famiglie dei detenuti e la gestione di conflitti interni o affari illeciti, non erano state interpretate come episodi isolati. Al contrario, sono state considerate attività rivelatrici della persistente operatività mafiosa del clan e del suo vertice.

La Corte ha sottolineato che tali condotte non avrebbero avuto senso se il sodalizio avesse cessato di esistere. Ad esempio, perché garantire il controllo del territorio o sostenere i detenuti se la cosca non fosse più attiva? Queste azioni dimostrano che il gruppo criminale è ancora vivo e funzionante, perpetuando il proprio potere attraverso il ‘capitale intimidatorio’ accumulato in passato.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata: la storia di un clan mafioso, accertata giudizialmente, ha un peso probatorio significativo per dimostrarne la sua attuale vitalità. La continuità di un’associazione mafiosa non richiede necessariamente nuove manifestazioni di violenza plateale, ma può essere desunta da una serie di attività che, lette nel loro insieme, confermano la persistenza del vincolo associativo e del controllo sul territorio. Per la giustizia, un clan non scompare semplicemente perché abbassa il suo profilo, ma continua a esistere finché il suo potere, anche se esercitato in modo meno visibile, rimane effettivo.

Come si può provare la continuità di un’associazione mafiosa se non ci sono nuovi atti criminali eclatanti?
La prova può basarsi su sentenze definitive precedenti che hanno accertato l’esistenza storica del clan, unite a nuovi elementi che dimostrano la sua persistente operatività. Queste attività possono includere il sostegno ai latitanti, il mantenimento economico delle famiglie dei detenuti e l’intervento per risolvere controversie, tutte azioni che presuppongono un’organizzazione ancora attiva.

Una sentenza definitiva sull’esistenza di un clan può essere usata come prova contro persone non coinvolte in quel processo?
Sì. L’art. 238-bis c.p.p. permette di utilizzare l’accertamento di un fatto contenuto in una sentenza irrevocabile nella sua portata oggettiva anche nei confronti di soggetti estranei a quel procedimento. Questo dato, tuttavia, deve essere valutato insieme ad altre prove per dimostrare il coinvolgimento del nuovo indagato.

Quali condotte sono state ritenute indicative della persistente operatività del clan nel caso di specie?
La Corte ha ritenuto significative diverse attività: la creazione di una rete di protezione per garantire la latitanza di esponenti di spicco, il sostentamento economico alle famiglie dei detenuti legati al clan, l’imposizione dell’assunzione di personale a un’impresa e la gestione di controversie legate a partite di stupefacenti. Questi atti sono stati visti come la manifestazione concreta della continuità del sodalizio mafioso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati