Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31698 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31698 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO COGNOME NOME nato a Palermo il 16/10/1962 nel procedimento a carico di quest’ultimo
avverso l’ordinanza del 10/03/2025 del TRIB. DEL RIESAME di Palermo Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto di entrambi i ricorsi; per del Procuratore Generale quanto alla richiesta di rigetto formulata per il ricorso u dito l’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha insistito l’accoglimento del ricorso depositato e si è associato alle conclusioni proposto dal pubblico ministero.
RITENUTO IN FATTO
L ‘ordinanza impugnata è stata deliberata il 10 marzo 2025 dal Tribunale del riesame di Palermo, che ha parzialmente accolto la richiesta di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, che gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere per i reati di cui agli artt. 416bis cod. pen. e 75 d.lgs 159 del 2011.
Le imputazioni provvisorie a carico di COGNOME lo vedono accusato di avere partecipato al mandamento mafioso palermitano di INDIRIZZO e di essersi associato abitualmente a NOME COGNOME, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, così concorrendo nella violazione della prescrizione imposta a COGNOME di non associarsi abitualmente a pregiudicati.
Il Tribunale del riesame ha respinto la richiesta di riesame quanto alla partecipazione di COGNOME al sodalizio mafioso, mentre l ‘ ha accolta per quanto concerne il reato in materia di misure di prevenzione.
Il ricorso presentato dal difensore dell’indagato si compone di tre motivi, di seguito sintetizzati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di legge e vizio di motivazione e, precisamente, lamenta la sostanziale pretermissione, da parte del Tribunale del riesame, della doglianza in punto di carenza di autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari, che si sarebbe riportato integralmente al decreto di fermo del pubblico ministero.
2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato di associazione mafiosa, che sarebbe errato sia per la cattiva esegesi di alcuni risultati investigativi, sia per la pretermissione di elementi aventi valore difensivo. In particolare ⎯ prosegue il ricorrente ⎯ la valutazione dei Giudici della cautela patirebbe un pregiudizio nei suoi confronti, legato alle precedenti condanne per associazione mafiosa, il che li aveva indotti ad interpretare ogni informazione rinveniente dalle investigazioni come eloquente di una ulteriore condotta partecipativa. Il Tribunale del riesame avrebbe trascurato la doglianza difensiva concernente il ‘vuoto’ investigativo che aveva caratterizzato il periodo di tempo intercorrente tra l’ultima condanna e i fatti sub iudice . Gli incontri che il Tribunale ⎯ tacendo su una specifica censura della difesa ⎯ ha ritenuto sintomatici di una ripresa dell’attività associativa non erano avvenuti in luoghi riservati e, comunque, non se ne conosce l’ oggetto, non essendo sufficiente, a ritenerli eloquenti di partecipazione alla compagine, la circostanza che alcuni degli interlocutori del ricorrente fossero soggetti pregiudicati. Lungi dal voler proporre una diversa lettura delle intercettazioni, il ricorrente lamenta che il Tribunale del riesame avrebbe trascurato il chiarimento fornito in udienza dal ricorrente quanto al significato della conversazione del 20 aprile 2022 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, conversazione che testimonierebbe, al contrario di quanto ritenuto dal Collegio della cautela, la volontà di COGNOME di tenersi fuori dalle vicende associative. Anche l’interpretazione degli incontri di COGNOME con altri
soggetti, reputati concernenti questioni associative, sarebbe del tutto congetturale; lo stesso dicasi quanto agli esatti contorni della vicenda oggetto della conversazione del 14 marzo 2024. Avuto riguardo alla conversazione del 20 aprile 2024, il Tribunale avrebbe errato nel ritenerla confermativa della perdurante affiliazione di COGNOME, mentre quella del 19 marzo 2024 riguarderebbe solo una divergenza di vedute tra i due interlocutori sulla qualità del ricorrente. Il Collegio de libertate avrebbe altresì glissato sulle deduzioni difensive concernenti l’esegesi delle intercettazioni riguardanti l ‘i ntervento di COGNOME nel contrasto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME‘ e nella contrapposizione tra il figlio del primo e NOME COGNOME nonché su quelle circa il coinvolgimento d ell’indagato nel contrasto scaturente dalle avances fatte alla moglie di NOME COGNOME Il ricorrente dissente altresì dalla motivazione del provvedimento impugnato ⎯ giudicata ipotetica ⎯ per quanto concerne l’interpretazione dell e dazioni di denaro come riferite ad attività illecite della compagine, senza che al prevenuto fosse contestato alcun reato-fine. Desta stupore nel ricorrente l’ affermazione del Tribunale secondo cui la difesa non avrebbe confutato la valenza indiziaria delle relazioni e dei contatti illeciti emersi, mentre sarebbe stato proprio il Collegio della cautela a tacere su diversi rilievi difensivi.
Un’altra circostanza dotata di rilievo difensivo, pretermessa dal Tribunale, sarebbe quella del silenzio dei collaboratori di giustizia sullo COGNOME.
In conclusione, il ricorrente nega la ricorrenza di un grave quadro indiziario circa la sua partecipazione associativa, nei termini delineati dalla giurisprudenza di questa Corte, ampiamente citata.
2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto allo scrutinio circa le esigenze cautelari che, in particolare, non avrebbe considerato la mancata contestazione di reati-fine.
Il ricorso del pubblico ministero contro l’annullamento dell’ ordinanza genetica quanto alla gravità indiziaria del reato di cui all’art. 75 d.lgs 159 del 2011 lamenta vizio di motivazione e violazione di legge. La parte pubblica invoca l’applicazione ‘a parti invertite’ ⎯ con riferimento alla consapevolezza dell’ extraneus COGNOME circa lo status di sorvegliato speciale di Di Maio ⎯ della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’appartenenza ad un comune contesto territoriale e delinquenziale può far presumere, in capo al sorvegliato speciale, la consapevolezza che un soggetto sia pregiudicato e, quindi, che si tratti di una persona cui non associarsi abitualmente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi vanno rigettati in quanto infondati.
Venendo, per primo, al ricorso dell’indagato, il Collegio osserva quanto segue.
1.1. Il primo motivo di ricorso – che fa questione di carenza di autonoma valutazione in capo al Giudice per le indagini preliminari -è generico in quanto, a fronte della motivazione del Tribunale, il ricorrente si limita a riproporre nuovamente la questione già portata all’attenzione del Collegio della cautela, senza tuttavia evidenziare, con la dovuta specificità – perché le argomentazioni svolte dal Giudice del provvedimento genetico alle pagine indicate dal Tribunale non siano indicative di uno scrutinio effettivo rispetto alla richiesta del pubblico ministero.
1.2. E’, invece, infondato il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato di associazione mafiosa, che sarebbe errato sia per la cattiva esegesi di alcuni risultati investigativi, sia per la pretermissione di elementi aventi valore difensivo.
1.2.1. La motivazione del Tribunale del riesame muove da una base indiziaria di partenza costituita dalla duplice condanna per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. già riportata da COGNOME, base cui il Collegio ha collegato una serie di dati ulteriori, valorizzati nell’ordinanza genetica ed emersi dalle indagini, che hanno posto in luce la continuità della partecipazione associativa del ricorrente anche dopo la scarcerazione, sia pure con un ruolo volutamente e prudenzialmente defilato.
Ed è proprio questa base di partenza che assume un ruolo cruciale nell’economia dell’apparato argomentativo del provvedimento impugnato, perché l’intensità della sua rilevanza dimostrativa fornisce la chiave di lettura degli ulteriori elementi indiziari raccolti, quali indicatori della perdurante affiliazione del ricorrente.
Ruolo cruciale che fonda sulla condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di associazione mafiosa, la valutazione della prova della continuità dell’adesione al sodalizio di un soggetto già condannato per lo stesso reato può essere tratta da elementi di fatto che, autonomamente considerati, potrebbero anche non essere sufficienti a fondare un’accusa originaria di partecipazione (tra le altre, Sez. 6, n. 17863 del 17/3/25, non massimata; Sez. 5, n. 1848 del 1/10/2024, non massimata; Sez. 6, n. 3508 del 24/10/2019, dep.
2020, Ammendola, Rv. 278221 -01; Sez. 2, n. 43094 del 26/06/2013, COGNOME, Rv. 257427 -01).
Il principio va ribadito in questa sede, osservando che, di fronte all’accertamento, passato in cosa giudicata, circa l’appartenenza associativa mafiosa di un individuo, l’emersione di elementi di ulteriore collegamento di quest’ultimo con il contesto criminale di riferimento e di partecipazione, a qualsiasi titolo, del medesimo delle vicissitudini della compagine, fornisce concretizzazione all’idea del carattere tendenzialmente stabile dell’affiliazione mafiosa, destinata a sopravvivere nel tempo ed anche a periodi di detenzione.
Nel caso di specie, peraltro, l’indicazione esegetica acquista ancora più rilievo perché COGNOME è stato già condannato non una, ma per ben due volte, per associazione per delinquere di stampo mafioso, prima di essere implicato anche in questo ulteriore procedimento.
Fatta questa premessa, si osserva che il Tribunale del riesame ha effettuato una valutazione ragionata dei dati investigativi emersi dopo la scarcerazione di COGNOME fornendo un quadro sinottico che li vede coerenti con la prova della condotta associativa già accertata; valutazione cui questa Corte accede convintamente, a prescindere dallo spessore della loro consistenza indiziaria, in virtù dei principi sopra evocati.
Ed è allora in questa direzione che vanno interpretati gli elementi emersi dall’indagine e posti a base del provvedimento restrittivo e della sua conferma da parte del Tribunale del riesame, che attestano di un ruolo svolto dal ricorrente e riconosciuto da terzi all’interno della compagine , che si salda con quello precedentemente rivestito: gli incontri riservati con pregiudicati mafiosi nell’officina di NOME COGNOME che provvedeva anche alla bonifica periodica dell’autovettura dello stesso COGNOME; l’affermazione dell’associato mafioso NOME COGNOME circa la necessità di interessare COGNOME per fronteggiare la richiesta di pagamento di 100.000 euro che il nuovo reggente del clan dopo l’arresto di COGNOME, NOME COGNOME, aveva avanzato al nipote; la conversazione con COGNOME, nella parte in cui COGNOME commentava il periodo di fibrillazione seguito all’insediamento del predetto neoreggente; la conversazione tra COGNOME e COGNOME, in cui il primo esaltava la portata strategica della riservatezza di COGNOME rispetto agli interessi del clan; la chiamata in causa, sempre da parte di COGNOME, di COGNOME nella controversia con ‘U giallanza, e nella questione della rissa a INDIRIZZO, episodio, quest’ultimo, che aveva coinvolto giovani di diversi mandamenti e che rischiava di alterare gli equilibri mafiosi.
Di non secondario rilievo, appare, infine, il ruolo di COGNOME quale collettore di somme di denaro a lui versate periodicamente da altri affiliati, condotta
organicamente inserita nella motivazione del provvedimento impugnato, con cui, in definitiva, il ricorrente non si confronta adeguatamente.
In conclusione, il complesso degli elementi sopra ricordati comprova l’esistenza di un quadro di gravità indiziaria circa la partecipazione del ricorrente al sodalizio, intesa (come precisato da Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 -01, in motivazione) quale « prestazione di un contributo di qualsivoglia genere, purché non occasionale e, in ogni caso, apprezzabile sotto il profilo della rilevanza causale, con riferimento all’esistenza o al rafforzamento dell’associazione ». Va ricordato, infatti, che la sentenza COGNOME, ribadendo gli insegnamenti di Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME Rv. 231670 – 01, ha sostenuto che « va considerato partecipe dell’organizzazione criminale l’affiliato che “prende parte” attiva al fenomeno associativo», intesa quale «un’attivazione fattiva a favore della consorteria che attribuisca dinamicità, concretezza e riconoscibilità alla condotta che si sostanzia nel “prendere parte”» fornendo un «contributo, anche in forme atipiche, ma effettivo, concreto e visibile reso dal partecipe alla vita dell’organizzazione criminosa: tale contributo, che può assumere carattere sia materiale che morale, ben potrà essere ricostruito anche in via indiziaria» valutando «un qualsivoglia “apporto concreto”, sia pur minimo, ma in ogni caso riconoscibile, alla vita dell’associazione, tale da far ritenere avvenuto il dato dell’inserimento attivo con carattere di stabilità e consapevolezza oggettiva ».
1.2.2. Una specifica notazione merita la pretesa lacunosità dell’ordinanza impugnata nell’affrontare le argomentazioni che la difesa aveva affidato alla memoria depositata al Tribunale del riesame.
Ebbene, il confronto tra l’ordinanza e lo scritto difensivo rende ragione dell’esaustività della risposta del Collegio della cautela, che ha ripercorso analiticamente gli elementi indiziari, fornendone un’esegesi dissenziente rispetto a quella difensiva ma effettiva e non manifestamente illogica, il che la sottrae allo scrutinio di questa Corte.
In particolare, quanto alle intercettazioni che deporrebbero per la ricercata estraneità di COGNOME ai contesti associativi dopo la sua scarcerazione, il Collegio de libertate le ha vagliate e ne ha tratto la convinzione, resa in termini non manifestamente illogici, che si trattasse di atteggiamenti studiati per sfuggire all’attenzione ulteriore degli inquirenti, dato il suo passato associativo; e che la sua affermazione di voler restare defilato riguardasse non già la volontà di non alimentare ulteriormente il vincolo associativo, ma quella di non assumere ruoli di rilievo, che lo avrebbero inevitabilmente esposto alle attenzioni investigative.
D’altra parte, la tesi difensiva circa la portata scardinante delle osservazioni difensive della memoria in tesi pretermessa avrebbe richiesto un’illustrazione
ben più specifica, dal momento che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può solo influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 5, n. 11579 del 22/02/2022, Adiletta, Rv. 282972 -01; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600 -01 quanto all’omessa valutazione di memorie da parte del Tribunale del riesame; Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, COGNOME, Rv. 279578 -01; Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 276511 -01; Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea e altri, Rv. 272542 -01; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, COGNOME e altro, Rv. 272739 – 01; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267561 -01; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME e altri, Rv. 252713, in ordine al giudizio di cognizione).
Nell’ambito di detto filone, si è altresì condivisibilmente opinato che tale capacità di incidere sulla tenuta del provvedimento che definisce il grado nel quale la memoria è stata prodotta non è incondizionata. Come puntualizzato nella sentenza Tropea sopra citata, infatti, « quando siffatte memorie contengano la mera ripetizione di difese già svolte, oppure siano inconferenti rispetto all’oggetto del giudizio, non può ritenersi che il loro mancato esame invalidi il percorso logico-motivazionale del provvedimento decisorio, perché, altrimenti si costringerebbe il giudice a rispondere a tutti i rilievi avanzati dalle parti, anche se del tutto incongrui e sinanco formulati con scopi diversivi ».
Tale esegesi non trova sbarramenti applicativi ⎯ ma solo adattamenti ⎯ nel procedimento cautelare, rispetto al quale si è condivisibilmente sostenuto che la disposizione di cui all’art. 292, comma 2ter , cod. proc. pen. ⎯ in base alla quale l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato ⎯ non impone al giudice l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, né tantomeno gli prescrive, in sede di riesame, la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori: invero, nella nozione di “elementi di favore” rientrano solo i dati di natura oggettiva aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie e gli assunti chiaramente defatigatori o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, le quali restano assorbite nell’apprezzamento complessivo cui procede il giudice de libertate (Sez. 5, n. 44150 del 13/06/2018, M., Rv. 274119 -01, in motivazione; Sez. 2, n. 13500 del 13/03/2008, Rv. 239760; Sez. 6, n. 12442 del 09/03/2011, Rv. 249641). Anche la sentenza Adiletta di questa sezione, pur sottolineando la rilevanza
difensiva delle memorie nel giudizio di riesame, caratterizzato dall’effetto interamente devolutivo e dalla facoltà della parte di illustrare i motivi a sostegno fino all’udienza di discussione, ha attributo rilievo ai contenuti degli scritti e alla loro specificità censoria, cui corrisponde, da una parte, in misura direttamente proporzionale, il dovere del Tribunale del riesame di affrontarli e, dall’altra, l’effetto di compromissione della tenuta del provvedimento ex art. 309 cod. proc. pen. legato all’eventuale silenzio del Collegio della cautela.
Ispirandosi a detto fronte interpretativo, il Collegio ritiene, dunque, che il Giudice di legittimità non sia legato al dato ‘secco’ e formale della mancata menzione ed espressa considerazione di questa o quella argomentazione presente nella memoria, ma che debba operare un apprezzamento concreto. Tale accertamento deve avere ad oggetto, da una parte, la capacità del dato esaltato nella memoria e trascurato dal Giudice di mettere in discussione la completezza, la tenuta logica o l’univocità del percorso argomentativo del provvedimento impugnato; dall’altro, deve soppesare la consistenza intrinseca della memoria, onde neutralizzare la portata scardinante di enunciati difensivi ripetitivi ovvero privi di uno specifico ancoraggio al thema decidendum ovvero, ancora, sforniti della capacità di incidere sulla regiudicanda.
Un corollario di queste affermazioni ⎯ legato al dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione ribadito da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823 ⎯ è che la concreta idoneità dei temi della memoria pretermessa a minare la pronunzia avversata deve essere oggetto di una specifica rappresentazione del ricorrente, che ⎯ con precipuo riferimento al vizio di motivazione ⎯ ponga in risalto il collegamento tra le difese della memoria in tesi pretermesse e questo o quel profilo di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa del provvedimento. Non basta, cioè, che nel ricorso ci si dolga della circostanza che il Giudice di merito abbia trascurato uno o più enunciati della memoria prodotta, ma occorre che detta omissione venga tradotta, nell’impostazione del ricorso, in specifiche doglianze che ne esaltino l’idoneità a mettere in discussione la completezza, univocità e razionalità del costrutto argomentativo del Giudice di merito.
Ebbene, il ricorso ha mancato di accedere a questa impostazione, limitandosi a lamentare la pretermissione di questo o di quel segmento censorio, ma senza indicare come questo pregiudicasse la motivazione del provvedimento impugnato; anche per questa ragione e considerato il complesso delle doglianze condensate nel motivo in esame, esso, in parte qua , va respinto.
1.3. Il terzo motivo di ricorso -che concerne l’ an delle esigenze cautelari -è generico e assertivo rispetto alla presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari che, ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen., riguarda il soggetto
gravemente indiziato del reato di cui all’art. 416 -bis cod. proc. pen. Il ricorso, infatti, si risolve in poche affermazioni, che si limitano ad evocare vagamente la pretesa debolezza del quadro indiziario, senza tuttavia evidenziare vizi argomentativi o errori in diritto del Tribunale del riesame nel vaglio di elementi addotti dalla difesa suscettibili di vincere la presunzione relativa di sussistenza dei pericula libertatis .
Come anticipato, è infondato anche il ricorso del pubblico ministero, che si dirige contro l’annullamento parziale dell’ordinanza genetica per quanto concerne il concorso di COGNOME, quale extraneus , al reato di cui all’art. 75, d.lgs. 159 del 2011, commesso da NOME COGNOME, sorvegliato speciale con cui il ricorrente si era ripetutamente incontrato.
Il Tribunale del riesame ha annullato il provvedimento genetico, con motivazione obiettivamente ridotta, assumendo che difettasse la gravità indiziaria circa « la consapevole volontà, anche indiretta, dello COGNOME, di concorrere, ab externo, nella violazione, da parte del pregiudicato mafioso COGNOME NOME della misura di prevenzione ».
Ebbene, il ricorso del pubblico ministero è infondato e, per certi aspetti, lambisce l’inammissibilità per due ragioni.
Innanzitutto non può avere seguito la, pur suggestiva, sollecitazione della parte pubblica ad applicare all’odierna regiudicanda, sia pure ‘a parti invertite’, la giurisprudenza di questa Corte che attribuisce rilievo al comune contesto socio-ambientale quale elemento da cui desumere la consapevolezza di un sorvegliato speciale dei pregiudizi gravanti sui soggetti con cui si incontra (Sez. 1, n. 37163 del 19/07/2019, Giordano, Rv. 276945 -01; Sez. 1, n. 44586 del 03/05/2018, P., Rv. 273978 -01). E’ opinione del Collegio che si tratti di un ampliamento esegetico che trova un ostacolo nella differenza che corre tra l’atteggiamento che può e deve pretendersi da un soggetto sottoposto alla misura di prevenzione rispetto a quello di un terzo, sia pur pregiudicato. Se, infatti, dal primo può e deve esigersi un grado di attenzione particolare e anche una certa diligenza informativa rispetto ad eventuali pregiudizi di coloro con i quali si incontra abitualmente, vista la prescrizione di non frequentare abitualmente pregiudicati, analogo dovere non può incombere sul pregiudicato frequentatore, su cui non grava analoga prescrizione. Detto altrimenti, di fronte a questo differente atteggiarsi del livello di attenzione esigibile in capo all’uno o all’altro e di fronte all’assenza di altri elementi indiziari indicativi di una precisa conoscenza della misura di prevenzione in esecuzione, il mero dato della comunanza socio-ambientale tra sorvegliato speciale e pregiudicato -di per sé potenzialmente rilevante -viene neutralizzato nella sua eloquenza indiziaria se si
riguarda la posizione del secondo, che non è tenuto ad effettuare verifiche nei confronti dei suoi interlocutori.
Esclusa la praticabilità dell’esegesi proposta dal pubblico ministero ricorrente, resta un vuoto che la parte pubblica non ha contestato nella sua essenza, ma che ha tentato di colmare proponendo l’interpretazione appena vagliata. Resta, infatti, la mancanza di prova circa la consapevolezza di COGNOME che COGNOME fosse sottoposto alla misura di prevenzione e che, quindi, avesse il dovere di non frequentare abitualmente pregiudicati, consapevolezza necessaria per imputargli il concorso nel reato di cui all’art. 75 cit. commesso dal sorvegliato speciale.
Il ricorso va, quindi, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Giacché dal presente provvedimento non discende la rimessione in libertà del detenuto, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento delle spese processuali. Rigetta il ricorso del P.M.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così è deciso, 05/09/2025
Il Consigliere estensore il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME