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Continuazione tra reati: sì se c’è un piano unitario

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20264/2024, ha respinto il ricorso del Procuratore Generale, confermando la decisione di unificare più pene per reati di riciclaggio commessi a distanza di anni. Secondo la Corte, per riconoscere la continuazione tra reati, un piano criminoso unitario, desumibile dalla somiglianza delle condotte, del luogo e dell’oggetto, può prevalere sulla non contiguità temporale dei fatti, distinguendosi dalla mera professionalità criminale.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando il Piano Unitario Prevale sul Tempo

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, volto a mitigare la pena per chi commette più violazioni di legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20264/2024) torna su questo tema delicato, chiarendo i criteri per la sua applicazione anche quando i reati sono commessi a notevole distanza di tempo l’uno dall’altro.

I Fatti del Caso: Riciclaggio Seriale e Istanza in Esecuzione

Il caso riguarda un soggetto condannato con quattro sentenze diverse per reati di riciclaggio e tentato riciclaggio, commessi in un arco temporale che va dal 2015 al 2019. L’imputato, tramite il suo difensore, si è rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di applicare la disciplina della continuazione tra reati, sostenendo che tutte le condotte fossero parte di un unico progetto criminale. Gli elementi a supporto di questa tesi erano forti: tutti i reati erano della stessa natura (art. 648-bis c.p.), erano stati commessi nella stessa città e avevano come oggetto materiale sempre la stessa tipologia di veicoli commerciali di una specifica marca.

La Decisione della Corte d’Appello e il Ricorso del Procuratore Generale

La Corte d’Appello di Bari, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto la richiesta. I giudici hanno ritenuto che la costanza degli elementi (tipo di reato, luogo, oggetto) fosse sufficiente a dimostrare una “programmazione unitaria”, unificando le pene in un’unica condanna più mite. Contro questa decisione, il Procuratore Generale ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata applicazione della legge. Secondo la Procura, la Corte d’Appello aveva confuso l’unicità del disegno criminoso con la “professionalità nel reato”. La serialità delle condotte, secondo il ricorrente, dimostrava un’abitudine al crimine, che per legge costituisce un’aggravante e non un beneficio. Inoltre, la notevole distanza temporale tra i fatti avrebbe dovuto escludere l’esistenza di un piano unitario iniziale.

L’Analisi sulla Continuazione tra Reati della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. Pur riconoscendo la correttezza del principio di diritto esposto dal Procuratore – ossia che la professionalità criminale è concetto distinto e non sovrapponibile al disegno criminoso unico – i giudici di legittimità hanno ritenuto che l’analisi della Corte d’Appello fosse stata più ampia e non limitata alla sola “professionalità”.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha spiegato che il riconoscimento della continuazione tra reati, anche in fase esecutiva, richiede una verifica approfondita di concreti indicatori. Citando una precedente sentenza delle Sezioni Unite (n. 28659/2017), ha ribadito che il giudice deve valutare complessivamente: l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale, le modalità della condotta, la sistematicità e il fatto che, al momento del primo reato, i successivi fossero già programmati almeno nelle linee essenziali. Nel caso specifico, la Corte d’Appello ha correttamente fondato il suo giudizio su una pluralità di indici convergenti: identità del titolo di reato, del luogo, delle condotte e dell’oggetto materiale. Questi elementi, valutati insieme, sono stati ritenuti logicamente prevalenti rispetto al solo dato della distanza temporale. In altre parole, la mancanza di vicinanza nel tempo non è sufficiente, da sola, a smontare un quadro probatorio che punta chiaramente verso un’unica deliberazione criminosa iniziale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio importante: per accertare la continuazione tra reati, è necessario un giudizio complessivo che non si fermi a un singolo elemento, come la distanza temporale. Se indicatori forti come la ripetizione seriale di reati identici per modalità, luogo e oggetto materiale suggeriscono un piano unitario, il giudice può riconoscere il vincolo della continuazione. La decisione sottolinea la differenza tra un criminale “professionista”, che vive di espedienti illeciti estemporanei, e un soggetto che, pur agendo con professionalità, lo fa all’interno di un progetto criminoso unitario e preordinato.

La professionalità nel commettere reati è sufficiente per escludere la continuazione tra reati?
No. Sebbene la professionalità nel reato sia un concetto diverso dall’unicità del disegno criminoso, la sua presenza non esclude a priori la continuazione. La decisione si basa su una valutazione complessiva di tutti gli indicatori disponibili.

Una notevole distanza di tempo tra un reato e l’altro impedisce di riconoscere la continuazione?
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’assenza di contiguità temporale è un elemento da considerare, ma può essere superata dalla forte prevalenza di altri indici sintomatici di un piano unitario, come l’identità del tipo di reato, del luogo e delle modalità della condotta.

Quali elementi usa il giudice per riconoscere un “disegno criminoso unico”?
Il giudice deve fondare la sua decisione su un’analisi complessiva di concreti indicatori, quali: l’omogeneità dei reati e del bene protetto, la contiguità di tempo e luogo, l’identità delle modalità esecutive e dell’oggetto materiale, la sistematicità delle condotte e la prova che i reati successivi fossero già programmati, almeno nelle linee essenziali, al momento della commissione del primo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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