Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34646 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34646 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 03/10/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Eboli, il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 9/07/2024-8/05/2025 della Corte di appello di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha valutato l’istanza formulata da NOME COGNOME di applicazione della continuazione tra i reati accertati con la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania dell’11.03.1999, irrevocabile il 26.11.2004, con cui l’imputato era stato condannato alla pena di mesi sette, giorni tredici di reclusione, per il reato di resistenza a pubblico ufficiale, commesso il 12.07.1998, nello svolgimento del lavoro di addetto al servizio d’ordine nel locale Lanternone di Palinuro, e quelli accertati con la sentenza della Corte di appello di Salerno del 17.12.2010, irrevocabile il 17.01.2012, con cui l’imputato era stato condannato alla pena di anni quattro di reclusione per i delitti di lesioni personali, violenza privata e violenza per costringere altri a commettere reati, delitti, già uniti fra loro in continuazione, perpetrati tra il luglio e l’ottobre 2017.
Limitata l’analisi a tale prospettazione, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto mancante la prova dell’unitarietà progettuale fra i diversi reati, siccome le corrispondenti violazioni sono state considerate manifestamente non coordinate fra loro e caratterizzate da scaturigine estemporanea.
¨ stato proposto, nell’interesse di COGNOME, ricorso per cassazione avverso la citata ordinanza, ricorso caratterizzato da due atti di impugnazione.
2.1. Con il primo atto di impugnazione (a firma dell’AVV_NOTAIO) sono stati articolati due motivi.
2.1.1. Con il primo motivo viene prospettata la violazione degli artt. 125 e 178 cod. proc. pen. per nullità dell’atto, determinata da mancanza della motivazione.
Si deduce, in particolare, che, nel corso del procedimento, erano stati presentati ‘motivi aggiunti’ con i quali si era chiesta l’applicazione della continuazione anche tra i reati accertati da altre due sentenze, emesse rispettivamente dalla Corte di assise di appello di
Salerno e dalla Corte di appello di Salerno: in tali ulteriori sentenze era stata accertata la partecipazione di COGNOME all’associazione camorristica da lui capeggiata; e per acquisire tali sentenze era stato disposto anche il rinvio dell’udienza, con le conseguenti conclusioni del difensore dell’istante estese al corrispondente oggetto.
NØ, secondo la difesa, si Ł dato conto nel provvedimento impugnato delle udienze in cui si era articolato il procedimento, delle conclusioni delle parti e della data di emissione del provvedimento, in corrispondente violazione dell’art. 546 cod. proc. pen.
2.1.2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio della motivazione alla base dell’ordinanza impugnata.
Si fa rilevare che, se avesse considerato le condanne per reati associativi riportate da COGNOME con le altre due sentenze di cui era stata chiesta la valutazione, il giudice dell’esecuzione avrebbe preso atto che tali reati coprivano un lasso di tempo ampio, all’interno del quale era collocata la commissione dei reati oggetto delle uniche due sentenze in concreto considerate, dovendo, al riguardo, rammentarsi, che fra i reati oggetto dell’attività associativa capeggiata da COGNOME erano emersi anche quelli di imposizione della guardiania ai locali aperti al pubblico, nel quadro dell’estensione della sua egemonia criminale.
2.2. Con il secondo atto di impugnazione (a firma dell’AVV_NOTAIO) l’ordinanza della Corte di appello risulta criticata, con richiesta del suo annullamento, sulla scorta di due motivi.
2.2.1. Con il primo motivo si prospetta la mancanza della motivazione alla base del provvedimento.
Si lamenta il fatto che non Ł stato valutato il suindicato oggetto dei motivi aggiunti introdotti con la memoria depositata nei termini previsti.
Il ricorrente osserva che i reati per i quali si era ulteriormente chiesto l’accertamento della continuazione erano quelli di partecipazione ad associazione camorristica e, nonostante si fosse disposto il rinvio dell’udienza per acquisire le sentenze menzionate, sentenze poi depositate dalla difesa, nel provvedimento non si riscontra traccia della corrispondente valutazione.
Anche in tale atto si rileva che l’ordinanza impugnata non ha specificato nemmeno la data di svolgimento dell’udienza e la data della decisione.
2.2.2. Con il secondo motivo si evidenzia un ulteriore profilo di mancanza e illogicità della motivazione.
La difesa replica il contenuto del secondo motivo del primo atto di impugnazione, con la sottolineatura che nel procedimento era stata prodotta anche un’informativa dei Carabinieri con cui si confermava il fatto che già nel 1997 NOME aveva costituito un suo gruppo criminale con mire egemoniche nella provincia di Salerno, senza che il giudice dell’esecuzione ne abbia tenuto conto.
Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso rimarcando la manifesta infondatezza della dedotta violazione dell’art. 546 cod. proc. pen., osservando che l’ordinanza Ł connotata da motivazione effettiva e congrua, nonchØ specificando che, quanto alle deduzioni ulteriori rispetto a quelle formulate nell’originaria domanda di applicazione della continuazione, la loro mancata valutazione non può considerarsi un vulnus relativo alla decisione, in quanto tali ulteriori prospettazioni sono da considerarsi inammissibili in sede esecutiva, siccome volte all’ampliamento dell’ambito valutativo inizialmente sottoposto al vaglio giudiziale, laddove nel relativo procedimento non possono dedursi questioni diverse da quelle introdotte con la richiesta iniziale, questioni ulteriori su cui il giudice di merito non può ritenersi chiamato a decidere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte ritiene che il ricorso sia da accogliere parzialmente, nei limiti e nei sensi che seguono, mentre esso, per il resto, deve essere disatteso.
Si ritiene essenziale esaminare, in primo luogo, la complessiva doglianza inerente alla forma del provvedimento, nonchØ all’omessa pronuncia e alla mancanza di motivazione relativamente a una parte della domanda di applicazione della disciplina del reato continuato, formulata con memoria prodotta in corso di procedimento, doglianza espressa nel primo motivo di entrambi gli atti di impugnazione.
Attesa la natura anche processuale del motivo, Ł corrispondentemente consentita e, anzi, dovuta la consultazione degli atti del procedimento.
2.1. Da tale consultazione si evince che NOME COGNOME aveva proposto, con atto manoscritto personalmente redatto, una prima istanza di applicazione della continuazione riferita ai reati oggetto della sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania dell’11.03.1999, irrevocabile il 26.11.2004, e della sentenza della Corte di appello di Salerno del 17.12.2010, irrevocabile il 17.01.2012.
A sostegno dell’istanza si segnalava, fra l’altro, che entrambe le sentenze avevano accertato delitti, di tipologia omogenea, mediante i quali COGNOME, nel segno di un unico iter criminoso, dopo essersi posto alla testa di un gruppo volto al controllo del territorio nel mondo dello spaccio delle sostanze stupefacenti, aveva perseguito lo scopo di affermare e coltivare tale primato criminale anche mediante le aggressioni nei locali notturni, quali il Lanternone.
Fissata dal Presidente della Corte di appello l’udienza in camera di consiglio del 17.05.3024, il difensore di COGNOME (AVV_NOTAIO) aveva depositato la memoria datata 9.05.2024 con cui aveva formulato un’ulteriore istanza per l’applicazione del reato continuato avente ad oggetto i reati accertati con le sentenze identificate al n. 3 e al n. 8 del complessivo cumulo di cui al proc. SIGE n. 2023/1181, n. 982/2021, n. 331/2023, con particolare riguardo alle statuizioni di condanna per i delitti di cui all’art. 416bis cod. pen. inflitte al suddetto condannato.
Alla base di tale ulteriore istanza si prospettava la deduzione secondo cui i delitti di cui all’art. 416bis cod. pen. commessi da NOME COGNOME, da un lato, erano della stessa specie e, dall’altro, erano stati perpetrati nello stesso luogo (Battipaglia e comuni limitrofi), tendenzialmente dagli stessi soggetti e in un contesto spazio-temporale di unità, senza soluzione di continuità; elementi da cui l’istante, richiamato l’insieme dei dati caratterizzanti le indicate fattispecie, assumeva doversi evincere una serie adeguata di indici sintomatici della medesimezza del disegno criminoso fra i reati suindicati.
All’udienza del 17.05.2024, la difesa aveva chiesto breve termine per il deposito di ulteriore memoria e la Corte di appello, giudice dell’esecuzione, rilevato che mancavano il parere del Procuratore generale territoriale e le sentenze relative ai reati oggetto della chiesta continuazione, aveva rinviato la trattazione all’udienza del 9.07.2024 onerando la difesa della produzione delle sentenze mancanti.
Pervenuto nelle more il parere – di segno contrario – dell’Autorità requirente, la Corte di appello, all’udienza del 9.07.2024, aveva trattato il procedimento e la difesa si era riportata all’istanza.
La Corte di appello ha poi depositato in data 8.05.2025 l’ordinanza con cui ha rigettato l’istanza.
2.2. A fronte del descritto iter procedimentale, l’ordinanza oggetto di impugnazione, nel
ritenere assenti le condizioni per l’applicazione della continuazione, ha osservato che l’istanza andava ‘correttamente intesa’ come riferita ai reati oggetto della sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania dell’11.03.1999 e della sentenza della Corte di appello di Salerno del 17.12.2010, ossia al contenuto della sola istanza originaria.
Con riguardo all’oggetto di tale istanza, il giudice dell’esecuzione ha rimarcato l’assenza di un’adeguata serie di indici sintomatici dell’addotto progetto criminoso unitario e ha, invece, ritenuto rilevante in senso contrario il rilievo che la condanna emessa con la seconda delle indicate sentenze aveva sanzionato, con la pena di anni quattro di reclusione, una serie di lesioni personali commesse da COGNOME in Battipaglia il 20.07.1997, il 3.10.1997 e il 5.10.1997, nonchØ dei reati di tentata violenza privata e violenza per costringere altri a commettere un reato perpetrati in Battipaglia il 7.10.1997, tutti riuniti in continuazione, in quanto considerati fra loro coordinati secondo le metodiche un uso presso le gang dedite al bullismo e al teppismo, mentre la condanna resa con la prima sentenza aveva sanzionato il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, commesso da COGNOME in Palinuro, frazione del Comune di Centola, il 12.07.1998 per essersi il medesimo, in quel frangente addetto al servizio d’ordine del locale notturno il Lanternone, per essersi opposto – al verosimile fine di scongiurare l’interruzione della serata inaugurale in corso – all’intervento dei Carabinieri i quali si erano attivati per interrompere l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti messa in essere in quel luogo da altri soggetti (indicati in NOME COGNOME e NOME COGNOME).
Posti tali elementi di fatto e gli altri scaturiti dall’analisi – esplicitamente effettuata delle due decisioni, il giudice dell’esecuzione ha tratto l’argomentato convincimento della mancata emersione di una serie sufficiente di fattori indicativi dell’unitaria deliberazione criminosa della serie di delitti sanzionata con la seconda sentenza e di quello sanzionato con la prima decisione, in quanto, al di là della parziale omogeneità dei reati, tutti a base violenta, sono state considerate preminenti in senso ostativo la sostanziale diversità dei contesti spazio-temporali e la determinante eterogeneità delle spinte a delinquere: mentre i reati componenti la prima serie sono stati inquadrati nell’ambito di condotte aggressive poste in essere da COGNOME come componente di una banda che seminava il terrore nel territorio di Battipaglia per motivi per lo piø futili, il reato di resistenza a pubblico ufficiale perpetrato l’anno successivo in Palinuro era scaturito da un evento certamente non preventivabile, evidente frutto di una deliberazione criminosa estemporanea, che lo aveva indotto, stavolta quale addetto al servizio d’ordine del locale notturno, a intromettersi in modo oppositivo e deviante all’attività istituzionale delle Forze dell’ordine.
In definitiva, la valutazione espressa dalla Corte di appello ha fatto leva sulla sostanziale eterogeneità delle due vicende, sulla conseguente non riconducibilità delle violazioni integrate da COGNOME in quei diversi frangenti al medesimo contesto delinquenziale e sulla carenza di indici sintomatici di una programmazione unitaria di quelle violazioni per concludere nel senso dell’assenza fra i reati oggetto di quelle due sentenze del medesimo disegno criminoso, dovendo ascriversi la reiterata pulsione antigiuridica manifestata dall’agente quale il mero effetto della sua propensione a delinquere.
2.3. In tale ambito si Ł esaurita la parte motiva dell’ordinanza impugnata, la cui emissione non risulta indicata con data diversa da quella del deposito del provvedimento (8.05.2025), dopo che il procedimento aveva contemplato la sua ultima udienza il 9.07.2024.
2.4. Assodato quanto precede, quanto alla censura della mancanza, nel provvedimento, della data di deliberazione dello stesso, la deduzione – certa essendo la data del deposito e, quindi, della pubblicazione dello stesso – si rivela priva di fondamento lì dove prospetta la nullità dell’atto a cagione della rilevata omissione.
Si rammenta che, anche con riferimento alla sentenza (atto a cui fa espresso riferimento la disciplina di cui all’art. 546 cod. proc. pen., invocata dal ricorrente), la mancanza o l’evidente erroneità della data non Ł ritenuta causa di nullità, allorchØ questa si possa ricavare con esattezza dagli atti (Sez. 3, n. 19156 del 13/12/2017, dep. 2018, G., Rv. 273196 – 01; Sez. 4, n. 26387 del 07/05/2009, Giunta, Rv. 244402 – 01).
Nel caso di specie, nella mancanza dell’indicazione di un’autonoma data di deliberazione del provvedimento, esso risulta nondimeno deciso dal Collegio, che aveva assunto la corrispondente riserva, in data non successiva e quindi coincidente con quella di deposito (impregiudicato il rilievo di possibili errori materiali nell’indicazione dei dati identificativi dell’atto, a loro volta inidonei a vulnerarne la validità), in carenza di specifiche deduzioni inerenti all’evenienza di sopravvenienze impedienti l’emissione dell’ordinanza alla data del suo deposito, ossia all’8.05.2025.
Per tale aspetto il primo motivo di entrambi gli atti di impugnazione va disatteso.
2.5. In ordine, invece, alla lamentata mancanza di motivazione e inoltre all’omissione di risposta inerenti a una parte delle prospettazioni avanzate nell’interesse dell’istante, la Corte ritiene che occorra svolgere i rilievi che seguono.
Invero, come si desume dalle già svolte notazioni, la susseguente istanza di applicazione della continuazione introdotta con la memoria del 9.05.2024 aveva avuto ad oggetto due reati diversi e ulteriori rispetto a quelli considerati con l’istanza originaria, ossia i due delitti previsti e punito dall’art. 416bis cod. pen., di cui alle sentenze identificate nella memoria con riferimento a quelle indicate ai nn. 3 e 8 del provvedimento cumulo di cui al proc. SIGE n. 2023/1181, n. 982/2021, n. 331/2023.
3.1. Il riferimento ai reati oggetto di tali sentenze si profilava sufficientemente preciso, sulla base della consultazione dell’ora citato provvedimento, allegato alla memoria all’atto della sua presentazione.
La sentenza identificata con il n. 3 aveva riguardato il reato associativo di cui all’art. 416bis cod. pen. accertato, dalla Corte di assise di appello di Salerno, con sentenza del 18.12.2006, irrevocabile il 20.09.2007, come commesso da COGNOME dal 2001 al 2005.
La sentenza di cui al n. 8 aveva riguardato la condanna per un reato in materia di sostanze stupefacenti (accertato con la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Salerno in data 25.09.2019, irrevocabile il 27.12.2019), a sua volta, tuttavia, posto in continuazione con altri reati, oggetto della sentenza indicata con n. 2 nel medesimo cumulo, reati fra i quali era incluso il delitto di cui all’art. 416bis cod. pen. accertato come commesso da COGNOME in tempo antecedente a quello suindicato, fino al 2001, con sentenza della Corte di appello di Salerno del 29.06.2006, irrevocabile in data 11.11.2006.
Su questa parte del thema decidendum il giudice dell’esecuzione non ha fornito alcuna risposta.
3.2. Il fatto che la deduzione avente ad oggetto l’ulteriore applicazione della disciplina della continuazione fosse stata introdotta con la memoria depositata in corso di procedimento – peraltro rassegnata prima dell’udienza di comparizione del 17.05.2024 – non toglie che la corrispondente questione era entrata a pieno titolo nell’oggetto della trattazione, posto che all’esito della suindicata udienza era stato disposto il rinvio a quella del 9.07.2024 per consentire l’acquisizione delle sentenze relative all’istanza e si era registrata la completa instaurazione del contraddittorio anche sull’ulteriore questione, considerato che il differimento dell’udienza era stato motivato pure per acquisire il parere dell’Autorità requirente.
Di conseguenza, la compiuta e informata partecipazione delle parti era stata assicurata,
essendosi poi perfezionata mediante il deposito del parere – contrario all’applicazione della continuazione – rassegnato dal Procuratore generale territoriale nella successiva data del 3.07.2024.
3.3. Sulla base di tale accertata situazione, occorre osservare, come altre volte si Ł già precisato in sede di legittimità, che – non avendo natura di atto impugnatorio quello con cui si dà ingresso al procedimento di cui all’art. 666 cod. proc. pen. – esso non Ł sottoposto alle formalità previste per le impugnazioni e ai limiti del principio devolutivo, con l’effetto che si ritiene ammissibile la formulazione di una domanda nuova dalla parte privata nel corso del procedimento, impregiudicata, tuttavia, la necessità che, a salvaguardia del principio del contraddittorio, sia garantito alla parte pubblica e, in genere, alle altre parti un termine per controdedurre (fra le altre, Sez. 1, n. 51053 del 13/07/2017, COGNOME, Rv. 271457 01; Sez. 3, n. 47266 del 04/11/2005, Conversano, Rv. 233261 – 01).
Il procedimento esecutivo costituisce, invero, un procedimento di prima istanza che risponde all’essenziale funzione di stabilire, nell’interesse della giustizia, il concreto contenuto dell’esecuzione (Corte cost., sent. n. 45 del 10/02/1997).
Nello stesso ordine di idee, si Ł quindi condivisibilmente ribadito che, nel procedimento esecutivo, Ł ammissibile la precisazione o l’integrazione della domanda, che sia incompleta o carente nell’indicazione del petitum , effettuata dalla parte interessata, di iniziativa o su sollecitazione del giudice dell’esecuzione, in un momento successivo alla sua proposizione, atteso che siffatto procedimento, ancorchØ sottoposto alla disciplina del giudizio di impugnazione con il limite della compatibilità, secondo la previsione di cui all’art. 666, comma 6, cod. proc. pen., non ha intrinseca natura impugnatoria e, di conseguenza, non Ł improntato al rispetto del principio devolutivo e nemmeno delle specifiche formalità di proposizione dei mezzi d’impugnazione, trattandosi, come si Ł premesso, di un procedimento di prima istanza avente l’obiettivo di stabilire il contenuto dell’esecuzione (Sez. 1, n. 1229 del 11/11/2020, dep. 2021, Marseglia, Rv. 280217 – 01).
A tale orientamento il Collegio intende dare seguito, non potendo trasporsi alla presente vicenda le osservazioni svolte – ma in altro ambito esecutivo e con riferimento a peculiari connotazioni procedimentali in questa sede non ricorrenti – dall’arresto di legittimità segnalato dal Procuratore generale in sede nella requisitoria (il richiamo Ł a Sez. 3, n. 2785 del 12/10/2023, dep. 2024, De Simone, Rv. 285743 – 01, le cui riflessioni afferiscono, piuttosto, alle specifiche caratteristiche del procedimento finalizzato alla delibazione dell’istanza di revoca dell’ingiunzione a demolire un manufatto accertato come abusivo e alle scansioni stabilite dal rito per la produzione di memorie e documenti, anche in sede di impugnazione).
3.4. Esito coerente degli svolti rilievi Ł, in accoglimento della corrispondente parte del primo motivo di entrambi gli atti di impugnazione, la conclusione che il giudice dell’esecuzione – una volta formulata dalla difesa di COGNOME l’istanza di ulteriore applicazione della continuazione fra i reati giudicati con le due sentenze identificate mediante il richiamo del provvedimento di cumulo – ha errato nel non esaminare l’istanza stessa nel medesimo contesto provvedimentale; ciò, ovviamente, impregiudicato l’approdo che, svolte le debite valutazioni, avrebbe raggiunto nel merito della delibazione della domanda stessa.
Queste considerazioni conducono, pertanto, all’annullamento dell’ordinanza impugnata nella parte – e soltanto nella parte – in cui essa ha omesso, senza motivazione, di esaminare l’indicata domanda di ulteriore applicazione della continuazione, con rinvio al giudice dell’esecuzione, ossia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione (Corte cost., sent. n. 183 del 2013), per il corrispondente nuovo giudizio, nell’osservanza
dell’esposto principio di diritto.
4. Non merita di essere condivisa, al contrario, la doglianza insita nel secondo motivo di entrambi gli atti di impugnazione con cui il ricorrente ha criticato l’ordinanza impugnata per quanto concerne il rigetto dell’istanza avente ad oggetto la continuazione fra i reati accertati con la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania dell’11.03.1999 e con la sentenza della Corte di appello di Salerno del 17.12.2010, reati già analiticamente indicati in precedenza.
Come si Ł visto, dell’oggetto di questa istanza il giudice dell’esecuzione ha compiuto un vaglio analitico e argomentato concludendo per l’assenza delle condizioni legittimanti l’individuazione dell’unitarietà progettuale fra i reati considerati ed escludendo, in particolare, che l’avvenuto inserimento di COGNOME nel gruppo criminale che aveva dato luogo alle condotte violente – fra loro poste in continuazione – sanzionate con la sentenza della Corte di appello di Salerno del 17.12.2010 potesse, in concreto, considerarsi un fattore unificante in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale, accertato con la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania dell’11.03.1999, commesso dal medesimo soggetto in tempo diverso e in luogo diverso e, soprattutto, in un contesto connotato da sostanziale estemporaneità.
La complessiva doglianza svolta dal ricorrente con riferimento a tale statuizione non si profila idonea a destrutturarne la ratio decidendi .
Per un verso, con essa non risulta contrastata in modo specifico e, in ogni caso, persuasivo la rilevata inadeguatezza dei dedotti indici sintomatici del medesimo disegno criminoso fra i suddetti reati.
Per altro verso, la difesa – con il complessivo, per vero sintetico, motivo in esame – Ł parsa aver introdotto una prospettiva diversa da quella coltivata con la memoria con cui aveva avanzato l’istanza di ulteriore continuazione, adducendo ora che il legame fra i reati associativi dedotto con quella memoria avrebbe costituito un fattore unificante anche con riferimento ai reati oggetto della prima istanza.
E, però, si tratta di una prospettazione del tutto nuova rispetto all’oggetto della memoria del 9.05.2024, nell’ambito della quale risulta dedotta l’unitarietà del disegno criminoso fra i reati associativi, senza alcun riferimento all’eventuale legame fra tali reati e quelli oggetto della prima istanza.
Inoltre, la doglianza si Ł comunque arrestata al livello, del tutto insufficiente, della mera asserzione, non tale da confutare le precise argomentazioni svolte dal giudice dell’esecuzione in merito all’assenza di un adeguato legame progettale fra i reati commessi da COGNOME, rispettivamente, nel 1997 e nel 1998, unico ambito, afferente a tali violazioni, oggetto di deduzione nell’intera prima fase del procedimento.
Conclusivamente, questa doglianza, per quanto riferita ai reati accertati dalla Corte di appello di Salerno con la sentenza del 17.12.2010 e dal Tribunale di Vallo della Lucania con la sentenza dell’11.03.1999, si infrange sulla motivazione del provvedimento impugnato nella quale Ł stato fatto retto governo del principio di diritto – autorevolmente affermato (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074 – 01) e da ribadirsi – secondo cui il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e dell’accertamento del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea.
Per la corrispondente parte, quindi, l’impugnazione deve essere rigettata.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’istanza di riconoscimento della continuazione proposta con memoria del 9/5/2024, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Napoli.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così Ł deciso, 03/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME