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Continuazione tra reati: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. I giudici hanno ritenuto irrilevante un errore materiale (l’indicazione di un nome errato) nell’ordinanza impugnata e hanno sottolineato che il ricorso si basava su presupposti di fatto errati, dato che i reati erano stati commessi in un arco temporale di quindici anni e in regioni diverse, non in un breve lasso di tempo e nello stesso luogo come sostenuto dal ricorrente.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando un Errore di Scrittura Non Invalida la Decisione

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un principio di favore per il reo, permettendo di unificare sotto un unico disegno criminoso più condotte illecite, con notevoli benefici sul trattamento sanzionatorio. Tuttavia, la sua applicazione richiede presupposti precisi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che un ricorso basato su presupposti di fatto errati e su un mero errore materiale è destinato all’inammissibilità.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Continuazione

Il caso ha origine dal ricorso presentato dal difensore di un condannato avverso un’ordinanza del Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione. Il ricorrente aveva chiesto l’applicazione della disciplina della continuazione tra reati in relazione a tre diverse sentenze di condanna divenute irrevocabili. Il giudice dell’esecuzione, però, aveva rigettato l’istanza.

Contro tale decisione, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando due specifici vizi del provvedimento.

I Motivi del Ricorso: Errore Materiale e Contesto Temporale

Il ricorrente ha fondato la sua impugnazione su due argomentazioni principali:

1. L’errore materiale: Nell’ordinanza impugnata, il giudice aveva menzionato per errore il nome di un’altra persona, totalmente estranea al procedimento. Secondo la difesa, questo errore rendeva incomprensibile la motivazione, non permettendo di individuare né il condannato né la vicenda processuale di riferimento.
2. L’errata valutazione dei fatti: La difesa sosteneva che il giudice non avesse considerato che i reati erano stati commessi nello stesso luogo e in un arco temporale molto ravvicinato, elementi che avrebbero dovuto favorire il riconoscimento della continuazione.

La Decisione della Cassazione sulla Continuazione tra Reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando entrambe le argomentazioni della difesa con un ragionamento chiaro e rigoroso.

L’Errore Materiale: Irrilevante ai Fini della Decisione

In merito al primo motivo, i giudici supremi hanno liquidato la questione come un palese “errore materiale”. Hanno osservato che, al di là della svista nel corpo della motivazione, il dispositivo dell’ordinanza indicava correttamente il nome del ricorrente. Non vi era, quindi, alcun dubbio sull’identità del destinatario del provvedimento. La prova più evidente dell’irrilevanza dell’errore, secondo la Corte, risiedeva nel fatto che lo stesso ricorrente era stato in grado di proporre un ricorso dettagliato, dimostrando di aver compreso perfettamente che la decisione lo riguardava direttamente. Nessun pregiudizio concreto era derivato dall’errore.

La Manifesta Infondatezza del Secondo Motivo

Ancora più netta è stata la valutazione sul secondo motivo. La Corte ha definito la critica “manifestamente infondata” perché basata su “dati di fatto errati”. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il giudice dell’esecuzione aveva correttamente evidenziato che:

* L’arco temporale in cui i reati erano stati commessi non era affatto ravvicinato, ma si estendeva per circa quindici anni.
* I reati non erano stati commessi nello stesso luogo, ma in luoghi diversi, addirittura in regioni diverse.

Di fronte a una tale discrepanza tra quanto affermato nel ricorso e quanto risultava dagli atti processuali, la Corte ha concluso che l’impugnazione non si confrontava con la reale motivazione della sentenza, ma si basava su una rappresentazione dei fatti palesemente contrastata dagli atti.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su due principi cardine della procedura penale. In primo luogo, un mero errore materiale, che non ingenera incertezze sull’identità delle parti o sul contenuto della decisione e non causa un pregiudizio effettivo, non può invalidare un provvedimento giudiziario. In secondo luogo, un ricorso è inammissibile quando le censure mosse al provvedimento impugnato si basano su presupposti fattuali smentiti dalla documentazione processuale. In questo caso, il ricorso non attacca la logicità del ragionamento del giudice, ma tenta di sostituire una realtà processuale con una versione dei fatti non veritiera. Questo comportamento processuale non è consentito e porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un importante principio: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, è necessario che i presupposti di fatto, come la prossimità temporale e il medesimo disegno criminoso, siano concretamente dimostrati. Un’impugnazione non può basarsi su affermazioni generiche o, peggio, su dati fattuali errati. La decisione della Corte di Cassazione serve da monito sulla necessità di fondare i ricorsi su elementi solidi e pertinenti, pena la condanna non solo all’inammissibilità, ma anche al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Un errore materiale, come l’indicazione di un nome sbagliato in un’ordinanza, la rende nulla?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se si tratta di un evidente errore materiale, il resto del documento indica correttamente la persona coinvolta e non ne deriva alcun pregiudizio concreto per la difesa, l’atto resta pienamente valido.

Per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati è sufficiente che i reati siano stati commessi a breve distanza di tempo?
La vicinanza temporale è un elemento importante, ma il ricorso deve basarsi su fatti veritieri. Nel caso esaminato, la Corte ha respinto il ricorso proprio perché il ricorrente affermava una vicinanza temporale che era smentita dagli atti, i quali dimostravano che i reati erano stati commessi in un arco di quindici anni e in regioni diverse.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si basa su presupposti di fatto palesemente errati?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte ha stabilito che un’impugnazione è manifestamente infondata se le sue critiche si basano su una ricostruzione dei fatti che è in palese contrasto con quanto emerge dagli atti processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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