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Continuazione tra reati: quando viene negata?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La decisione si fonda sulla mancanza di prova di un medesimo disegno criminoso e sulla notevole distanza temporale (oltre due anni) tra i reati, considerati espressione di autonome risoluzioni criminali piuttosto che di un unico progetto.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La Continuazione tra Reati: L’Importanza di un Progetto Unitario

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento di mitigazione della pena. Esso consente di unificare giuridicamente più reati, commessi in momenti diversi, considerandoli come un’unica violazione frutto di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede la presenza di requisiti specifici. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini di questo istituto, sottolineando come la distanza temporale e l’assenza di un piano unitario ne impediscano il riconoscimento.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per una serie di reati. L’imputato aveva richiesto al Giudice dell’esecuzione di applicare la disciplina della continuazione, sostenendo che tutti i reati commessi, incluso il primo risalente al 2008, fossero parte di un unico programma criminale. Il Tribunale di Catania, in funzione di GIP (Giudice per le Indagini Preliminari), aveva respinto tale richiesta con un’ordinanza del 21 dicembre 2023. Avverso questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte sulla Continuazione tra Reati

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione del giudice di primo grado. Secondo gli Ermellini, il ricorso era manifestamente infondato e le censure sollevate generiche, tese unicamente a ottenere una rilettura dei fatti già correttamente valutati.

La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisando elementi che potessero escludere la colpa nella proposizione di un’impugnazione priva di fondamento giuridico.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui i giudici hanno escluso la possibilità di applicare la continuazione tra reati. La Corte ha evidenziato due elementi decisivi:

1. L’assenza di un medesimo disegno criminoso: Il provvedimento impugnato aveva correttamente osservato la mancanza di circostanze da cui desumere che l’imputato, fin dal primo reato, avesse programmato anche i successivi. Un “disegno criminoso” unitario richiede una pianificazione iniziale di tutte le condotte illecite, cosa che non è emersa nel caso di specie.

2. La notevole distanza temporale: Tra il primo reato e quelli successivi era intercorso un lasso di tempo superiore a due anni. Tale distanza temporale, secondo la Corte, rafforza la tesi che i reati successivi non fossero parte del piano originale, ma piuttosto “autonome risoluzioni criminose”. In altre parole, si è trattato di nuove e distinte decisioni di delinquere, maturate nel tempo e non collegate da un unico progetto iniziale.

La Corte ha specificato che i reati commessi erano espressione di una “pervicace volontà criminale”, ovvero di una tendenza persistente a violare la legge, che però non è sufficiente a integrare i requisiti della continuazione. Inoltre, la difesa non ha fornito elementi concreti a sostegno della propria tesi, limitandosi a una richiesta generica.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale in materia di continuazione tra reati: per ottenere il beneficio, non basta la semplice ripetizione di condotte illecite nel tempo. È necessario dimostrare, con elementi concreti, che tutti i reati sono stati concepiti e programmati come parte di un unico piano fin dall’inizio. Una significativa distanza temporale tra i fatti e l’assenza di prove a sostegno di un progetto unitario sono ostacoli insormontabili per il riconoscimento di questo istituto di favore. La decisione serve da monito sulla necessità di formulare ricorsi ben argomentati e supportati da elementi probatori, per evitare una declaratoria di inammissibilità con le relative conseguenze economiche.

Quando può essere negato il riconoscimento della continuazione tra reati?
Il riconoscimento può essere negato quando mancano prove di un medesimo disegno criminoso concepito prima della commissione del primo reato. Una notevole distanza temporale tra le violazioni e la mancanza di elementi a sostegno della tesi difensiva sono fattori decisivi per il rigetto della richiesta.

Cosa intende la Corte per “autonome risoluzioni criminose”?
Si riferisce a reati che non facevano parte di un piano iniziale, ma che sono stati decisi e commessi in momenti diversi, come espressione di una volontà criminale che si rinnova nel tempo, piuttosto che di un unico progetto originario.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, poiché il ricorso è stato ritenuto privo dei presupposti legali per essere esaminato nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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