Continuazione tra Reati: La Cassazione Chiarisce i Limiti Temporali e Logici
Il concetto di continuazione tra reati rappresenta un pilastro del diritto penale, consentendo di considerare più azioni criminose come parte di un unico disegno, con importanti conseguenze sul trattamento sanzionatorio. Tuttavia, quando può essere applicato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri necessari, sottolineando come un lungo lasso di tempo e la mancanza di un collegamento logico tra i delitti possano escluderne il riconoscimento.
Il Caso in Esame: Due Reati, un Unico Disegno?
La vicenda sottoposta all’esame della Suprema Corte riguardava un individuo che aveva presentato ricorso avverso un’ordinanza del GIP del Tribunale di Milano. L’istante chiedeva che venisse riconosciuto il vincolo della continuazione tra due reati molto gravi per i quali era stato condannato:
1. Partecipazione a un sodalizio di stampo mafioso: un reato la cui commissione era stata accertata fino al novembre del 1993.
2. Associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti: un reato commesso oltre quindici anni dopo, in cui l’imputato rivestiva il ruolo di capo e promotore.
Il ricorrente sosteneva che entrambe le condotte facessero parte di un medesimo disegno criminoso. Il GIP, tuttavia, aveva respinto la richiesta, e la questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte e la Negata Continuazione tra Reati
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice di merito. La Corte ha basato la sua decisione su una serie di elementi chiari e distinti che, nel loro insieme, impedivano di configurare un’unica strategia criminale.
L’Assenza di Contiguità Cronologica
Il primo e più evidente ostacolo era il fattore tempo. Un intervallo di oltre quindici anni tra la cessazione della condotta mafiosa e l’inizio di quella legata al traffico di droga è stato ritenuto un elemento sufficiente a interrompere qualsiasi presunta contiguità. Secondo i giudici, un periodo così esteso rende inverosimile l’ipotesi di un piano criminoso unitario concepito fin dall’inizio.
Mancanza di Prova del Disegno Unitario
Oltre al dato temporale, la Corte ha evidenziato come l’imputato non avesse fornito alcun elemento concreto per dimostrare l’esistenza di un collegamento tra i due reati. Non è sufficiente che i reati siano stati commessi dalla stessa persona; è necessario provare che la seconda azione criminale fosse una conseguenza o uno sviluppo di un piano originario che comprendeva anche la prima. Nel caso specifico, mancava qualsiasi prova di un nesso teleologico o causale tra l’associazione mafiosa e quella dedita al narcotraffico. A ciò si aggiungeva la diversità dei luoghi in cui i reati erano stati consumati.
Le Motivazioni: Abitualità Criminale vs Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha offerto una motivazione cruciale, distinguendo nettamente la continuazione tra reati dalla professionalità e abitualità nel delitto. I giudici hanno affermato che la commissione di reati gravi a grande distanza di tempo non è indice di un unico disegno, ma piuttosto “sintomo di una professionalità e abitualità nel delitto”.
In altre parole, il comportamento dell’imputato non rivelava l’esecuzione di un piano preordinato, ma una persistente inclinazione a delinquere che si era manifestata in forme e tempi diversi. Questa distinzione è fondamentale: mentre la continuazione attenua il trattamento sanzionatorio, l’abitualità criminale può, al contrario, rappresentare un’aggravante o comunque un indice di maggiore pericolosità sociale.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento della continuazione, non basta una generica affermazione, ma è onere dell’imputato fornire elementi specifici che dimostrino l’esistenza di un’unica ideazione criminosa. La pronuncia chiarisce che un notevole divario temporale tra le condotte costituisce un forte indizio contrario, quasi una presunzione di interruzione del nesso. In assenza di prove concrete che superino tale presunzione, i reati rimangono distinti e autonomi, e la loro commissione nel tempo viene interpretata come espressione di una carriera criminale piuttosto che come l’attuazione di un singolo progetto.
Quando può essere esclusa la continuazione tra reati?
La continuazione tra reati può essere esclusa quando manca una contiguità cronologica tra i fatti (in questo caso, oltre quindici anni), non vengono forniti elementi specifici che provino un collegamento tra i reati e quando questi divergono anche per i luoghi di commissione.
Che differenza c’è tra continuazione e abitualità nel delitto secondo la Corte?
La Corte distingue nettamente i due concetti. La continuazione presuppone un unico disegno criminoso che lega diverse condotte. L’abitualità nel delitto, invece, è un sintomo di professionalità criminale, dove la commissione di reati diversi nel tempo non deriva da un piano unitario, ma da una tendenza a delinquere.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15522 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15522 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a LOCRI il 16/12/1965
avverso l’ordinanza del 07/01/2025 del GIP TRIBUNALE di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Rilevato che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il
difensore si duole della violazione di legge, lamentando che l’ordinanza emessa nei confronti del suddetto ha trascurato gli indici rivelatori dell’unicità del disegno
criminoso a fondamento delle condotte delittuose poste in essere – sono inammissibili perché costituite da mere doglianze in punto di fatto, oltre che manifestamente
infondate.
Invero, nel provvedimento impugnato si evidenzia, con riguardo alla richiesta continuazione, relativa ai reati di cui a due sentenze, che: – le fattispecie tutelano
bis beni giuridici in parte diversi, la prima (art. 416
cod. pen.) il solo ordine pubblico, mentre la seconda (art. 74 d.P.R. n. 309/1990), oltre alla tutela dell’ordine pubblico,
la salute individuale e collettiva contro la diffusione della droga; – non vi è identità
tra i partecipi al sodalizio mafioso, di cui il ricorrente è stato un affiliato, e qu dell’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, di cui è stato capo promotore; – non è ravvisabile una contiguità cronologica tra gli addebiti in quanto la partecipazione al sodalizio di stampo mafioso è stata accertata fino al novembre 1993, mentre quella al delitto di associazione finalizzato al traffico di stupefacenti risale a più di quindici anni dopo; – in mancanza di specifici elementi, non dedotti né provati dall’imputato, non vi è alcun collegamento tra i predetti fatti, divergendo anche sotto il profilo dei luoghi di consumazione; – la commissione di tali condotte costituisce piuttosto sintomo di una professionalità e abitualità nel delitto, da tenere ben distinta dalla continuazione.
Osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 3 aprile 2025.