Continuazione tra Reati: Quando la Distanza Temporale Spezza il Disegno Criminoso
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 4865/2025, offre importanti chiarimenti sui limiti di questo istituto, sottolineando come la distanza temporale e spaziale tra i delitti possa essere un indice decisivo per escludere l’esistenza di un piano unitario.
I Fatti del Caso
Il ricorrente aveva presentato istanza al Tribunale, in qualità di giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento della continuazione tra tre diversi episodi di furto, consumati o tentati. Per i primi due, commessi a breve distanza l’uno dall’altro nel 2014, la continuazione era già stata riconosciuta. La richiesta mirava a estendere tale beneficio anche a un terzo furto, commesso sei mesi dopo in un’altra provincia.
Il Tribunale aveva respinto la richiesta, motivando la sua decisione sulla base di tre elementi principali:
1. La mancanza di contiguità spazio-temporale tra i reati.
2. Le diverse modalità esecutive (l’ultimo furto era stato commesso da solo, a differenza dei precedenti).
3. L’assenza di prove concrete di un disegno criminoso unitario, che andasse oltre una generica scelta di vita dedita alla commissione di reati.
Il Ricorso in Cassazione e la nozione di continuazione tra reati
L’imputato, tramite il suo difensore, ha impugnato l’ordinanza del Tribunale davanti alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, un intervallo di sei mesi non sarebbe sufficiente a escludere la continuazione. Inoltre, il giudice di merito avrebbe trascurato altri elementi importanti, come l’omogeneità dei reati e l’identità del bene giuridico tutelato. La difesa sosteneva che il giudice avesse erroneamente dato peso a un brevissimo periodo di detenzione subito tra i reati, ritenuto irrilevante.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo in parte non consentito e in parte manifestamente infondato.
In primo luogo, la richiesta di riconoscere la continuazione tra i primi due reati del 2014 è stata giudicata inammissibile perché tale beneficio era già stato concesso con un precedente provvedimento, rendendo la questione già decisa.
Nel merito della richiesta principale, relativa al terzo reato, la Corte ha pienamente avallato la motivazione del Tribunale. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato: per aversi un disegno criminoso unitario, non basta la semplice ripetizione di reati dello stesso tipo. È necessario che l’autore, al momento della commissione del primo reato, abbia già programmato, almeno nelle linee essenziali, le successive condotte illecite.
Una distanza temporale e spaziale significativa, come nel caso di specie (sei mesi e un’altra provincia), rende “incredibile” che il terzo furto facesse parte di un piano originario. Tale scenario, secondo la Corte, suggerisce piuttosto che i reati siano frutto di decisioni estemporanee, dettate da circostanze occasionali e imprevedibili, e non di una strategia pianificata. Mancando elementi concreti a sostegno della tesi del ricorrente, la Corte ha concluso che il giudice dell’esecuzione avesse correttamente escluso la sussistenza di un disegno criminoso unitario.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma che la valutazione sulla continuazione tra reati deve essere condotta con grande rigore. La semplice omogeneità delle condotte non è sufficiente a dimostrare un disegno criminoso unitario. Elementi come il considerevole lasso di tempo trascorso tra i fatti, la distanza geografica e le diverse modalità esecutive sono fattori cruciali che il giudice deve considerare. La decisione rafforza l’idea che la continuazione sia un beneficio destinato a chi delinque seguendo un piano preordinato, e non a chi adotta la criminalità come uno stile di vita, agendo in maniera occasionale. Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione tra reati si applica quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Questo significa che l’autore deve aver pianificato, almeno nelle linee generali, la serie di crimini prima di commettere il primo.
La distanza di tempo tra un reato e l’altro impedisce la continuazione?
Non necessariamente, ma una notevole distanza temporale (in questo caso sei mesi), unita ad altri fattori come la distanza spaziale e le diverse modalità esecutive, può rendere “incredibile” l’esistenza di un piano unitario e portare il giudice a escludere la continuazione tra reati.
Cosa significa che un ricorso è “inammissibile”?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito dalla Corte. In questo caso, una parte del ricorso era inammissibile perché riguardava una questione già decisa, mentre la parte principale è stata ritenuta manifestamente infondata, ossia priva di argomenti validi a sostegno della richiesta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4865 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4865 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a PALERMO il 20/06/1970
avverso l’ordinanza del 19/06/2024 del TRIBUNALE di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza con cui il Tribunale di Firenze, quale giudice dell’esecuzione, in data 19 giugno 2024 ha respinto la sua richiesta di applicare l’istituto della continuazione tra i reati di furto, consumato o tentato, giudicati con tre diverse sentenze e commessi i primi due nel giugno e luglio 2014, per i quali la continuazione era stata già riconosciuta, e il terzo commesso in altra provincia e nel gennaio 2015, stante la mancanza di una contiguità spazio-temporale, ed essendo diverse anche le loro modalità esecutive, essendo l’ultimo delitto commesso non in concorso con complici, diversamente dai precedenti, ed infine mancando elementi che dimostrino l’esistenza di un preciso disegno criminoso unitario, diverso dalla mera scelta di vivere commettendo reati;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio della motivazione, per avere il giudice negato il riconoscimento della continuazione per la mancanza di una contiguità temporale, mentre tra l’ultimo dei reati commessi nel 2014 e quello commesso nel 2015 intercorrono solo sei mesi, ed avendo obliterato gli altri elementi sintomatici, quali l’identità delle modalità esecutive e del bene tutelato, l’omogeneità delle violazioni, la vicinanza spaziale, ed avendo il giudice dato rilievo alla custodia detentiva intervenuta tra i fatti del 2014 e quello del 2015, che è irrilevante essendo durata un solo giorno in cui il ricorrente venne arrestato, nonché avendo omesso di valutare la concedibilità della continuazione anche solo tra i due reati commessi nel 2014;
ritenuto che il ricorso sia inammissibile quanto alla richiesta finale, di riconoscere la continuazione tra i due delitti commessi nel giugno e nel luglio 2014, in quanto essa è stata già riconosciuta con altro provvedimento, e che sia manifestamente infondato quanto alla richiesta relativa al terzo delitto commesso, perché l’ordinanza impugnata ha ampiamente motivato l’insussistenza di una unicità di disegno criminoso quando, come in questo caso, i reati, benché omogenei, risultino distanti nel tempo e nello spazio, tanto da rendere incredibile che, nel commettere il primo reato, il ricorrente avesse programmato, almeno nelle linee essenziali, la successiva condotta di reato, commessa ad oltre sei mesi di distanza, trattandosi anche di condotte spesso dettate da circostanze occasionali e imprevedibili, e mancando, comunque, elementi dimostrativi della invocata unicità di disegno criminoso, non indicati neppure nel ricorso;
ritenuto inoltre che il ricorso sia inammissibile perché, di fatto, chiede a questa Corte una diversa valutazione dei medesimi elementi, già vagliati dal giudice dell’esecuzione con una motivazione sufficiente, logica, non apparente né contraddittoria, così soddisfacendo il grado di motivazione ritenuto necessario dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, .n. 28852 del 08/05/2013, Rv. 256464);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2024
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