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Continuazione tra reati: quando va esclusa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati commessi a distanza di anni. Secondo la Corte, per applicare l’istituto non basta l’appartenenza a un’associazione mafiosa, ma è necessaria la prova di un unico e preordinato disegno criminoso, assente nel caso di specie a causa del lungo arco temporale e della diversità dei contesti operativi dei crimini.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: Non Basta l’Appartenenza a un Clan

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 38839 del 2024, offre un’importante chiarificazione sui criteri per il riconoscimento della continuazione tra reati. Questo istituto, disciplinato dall’art. 81 del codice penale, permette di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. La Corte ha stabilito che l’appartenenza del reo a un’organizzazione mafiosa non è, di per sé, un elemento sufficiente a dimostrare l’esistenza di tale disegno unitario, soprattutto in presenza di reati commessi a grande distanza di tempo.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Unificazione delle Pene

Il caso esaminato riguarda la richiesta di un condannato, esponente di spicco di un’associazione mafiosa, di ottenere il riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati con due sentenze definitive, emesse entrambe nel 1998. La Corte d’assise di appello, in funzione di Giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta, sottolineando l’eterogeneità dei fatti, il notevole arco temporale intercorso tra le condotte (tra il 1989 e il 1995) e la parziale diversità dei titoli di reato. Contro tale decisione, l’interessato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua stabile appartenenza al clan mafioso avrebbe dovuto essere considerata come l’elemento unificante di tutte le sue azioni criminali.

La Decisione della Corte: i Requisiti della Continuazione tra Reati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del giudice di merito. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: per applicare la disciplina della continuazione tra reati, è necessario dimostrare che le diverse violazioni siano parte integrante di un unico programma criminoso, deliberato in origine per conseguire un determinato fine. La prova di questa preordinazione non può basarsi su semplici congetture o elementi presuntivi.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che identificare l’unicità del disegno criminoso con la mera propensione a delinquere o con la stabile appartenenza a un sodalizio mafioso sarebbe un errore. Un conto è un programma criminale specifico, unitario e deliberato in anticipo; un altro è una generica “concezione di vita improntata al crimine”. Quest’ultima, sottolinea la sentenza, non giustifica il trattamento di favore previsto per la continuazione, ma al contrario, viene sanzionata da istituti come la recidiva o l’abitualità nel reato. Nel caso di specie, il lungo lasso di tempo tra i fatti (reati commessi tra il 1989-1991 e un altro nel 1995) e i diversi contesti operativi rendevano impossibile ricondurre le condotte a un’unica programmazione iniziale. La condanna per associazione mafiosa, pur rilevante, non poteva fungere da elemento unificante per tutti i crimini commessi dal ricorrente, che devono essere invece analizzati singolarmente per verificarne la genesi.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma con forza che la valutazione sulla sussistenza della continuazione deve essere rigorosa e basata su prove concrete di un’ideazione unitaria. L’appartenenza a un’organizzazione criminale non crea una presunzione automatica di disegno criminoso per ogni reato commesso da un affiliato. Ogni richiesta deve essere vagliata nel merito, analizzando le circostanze di tempo, di luogo e le modalità delle singole condotte. Questa decisione fornisce un criterio chiaro per distinguere tra un piano criminale specifico, che merita il riconoscimento della continuazione, e uno stile di vita delinquenziale, che invece non può beneficiare di tale istituto.

È sufficiente l’appartenenza a un’associazione mafiosa per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati?
No. Secondo la Corte, l’appartenenza a un sodalizio mafioso non è di per sé sufficiente a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso, che deve essere provato concretamente per ogni reato per cui si chiede l’unificazione.

Cosa si intende per “medesimo disegno criminoso” ai fini della continuazione?
Si intende un programma criminoso unitario, deliberato in origine per conseguire un fine specifico, che preveda fin dall’inizio la commissione di una serie di reati già concepiti, almeno nelle loro linee essenziali. Non può essere confuso con una generica tendenza a delinquere.

Quali elementi ostacolano il riconoscimento della continuazione nel caso esaminato?
Gli elementi ostativi principali sono stati il notevole arco temporale tra i reati commessi (tra ottobre 1989 e febbraio 1995), la diversità dei titoli di reato e dei contesti operativi, che hanno reso impossibile ricondurre le diverse condotte a un’unica programmazione iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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