Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38839 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38839 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa il 22/02/2024 dalla Corte di assise di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 febbraio 2024 la Corte di assise di appello di Catania, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione alle sentenze irrevocabili di cu ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato, emesse dalla stessa Corte nelle data del 23 marzo 1998 e del 6 ottobre 1998, ritenendo ostative all’applicazione della disciplina invocata l’eterogeneità esecutiva dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio.
Si ritenevano, in particolare, ostative all’applicazione della disciplina invocata nell’interesse di COGNOME l’ampiezza dell’arco temporale nel quale le condotte illecite presupposte erano state commesse e la parziale diversità dei titoli di reati giudicati dalle due decisioni irrevocabili, rispetto ai quali assumeva un rilievo unificante la circostanza che il ricorrente era un esponente di spicco dell’omonima RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, attiva nell’area etnea di RAGIONE_SOCIALE, per effetto della quale aveva riportato la condanna di cui al punto 2.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME, a mezzo degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, ricorreva per cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti all’omesso riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, che si imponeva tenuto conto della correlazione tra i fatti di reato giudicati dalle due decisioni irrevocabili presupposte.
Tale correlazione, secondo la difesa del ricorrente, era stata svalutata dal Giudice dell’esecuzione, che aveva omesso di considerare la valenza, altamente sintomatica del vincolo invocato, della condanna riportata dal ricorrente per la fattispecie di reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., pronunciata dalla Corte d assise di appello di Catania 6 ottobre 1998, quale esponente di spicco del RAGIONE_SOCIALE, riconducibile alle famiglie mafiose di RAGIONE_SOCIALE operanti nella Sicilia orientale.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
In via preliminare, deve rilevarsi che la giurisprudenza di legittimità consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME in riferimento ai titoli esecutivi presupposti, ha individuato gl elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai f dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati – nnonosoggettivi, plurisoggetti o associativi che siano – già concepiti almeno nelle loro caratteristiche strutturali essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 13/11/2012, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
La verifica di tale preordinazione criminosa, al contempo, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 81, comma secondo, e 671 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01; Sez. 1, n. 396 del 24/01/1994, COGNOME, Rv. 196678 – 01).
Tanto premesso, osserva il Collegio che il ricorso in esame, più che individuare singoli profili del provvedimento impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, tende a provocare una nuova valutazione di merito delle circostanze di fatto che risultano correttamente vagliate dalla Corte di assise di appello di Catania, tenuto conto dei fatti di reato presupposti, giudicati dalle sentenze irrevocabili emesse dalla stessa Corte nelle date del 23 marzo 1998 e del 6 ottobre 1998.
L’ordinanza impugnata, invero, ha correttamente valutato le condotte illecite presupposte, escludendo che i vari reati si connotassero per l’unitarietà del programma sottostante, che non deve essere confusa con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine, resa evidente, nel caso di specie, dalle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si concretizzavano i comportamenti illeciti di NOME COGNOME. Tali condotte, infatti, si concretizzavano in un arco temporale particolarmente ampio, compreso tra le date dell’ottobre del 1989 e
del 9 gennaio 1991, nelle quali venivano commessi i reati giudicati dalla sentenza irrevocabile del 23 marzo 1998, e la data del febbraio del 1995, nella quale venivano commessi i reati giudicati dalla sentenza irrevocabile del 6 ottobre 1998.
Ne discende che le ipotesi di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione criminosa, tenuto conto delle circostanze di tempo, di luogo e di persona in cui erano state commesse, rispetto alle quali non assume un rilievo unificante decisivo la condanna riportata da COGNOME, per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., quale appartenente all’omonima famiglia RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. Sul punto, appaiono condivisibili le considerazioni espresse a pagina 3 dell’ordinanza impugnata, in cui si affermava: «Risulta importante considerare, sempre nell’ottica della insussistenza asserita unicità del disegno criminoso tra le diverse violazioni per le quali i COGNOME ha riportato condanna , i diversi contesti operativi, soggettivi e finalità che hanno connotato la commissione dei reati giudicati con le sentenze, come si evince dalle contestazioni e dalle motivazioni delle relative decisioni».
D’altra parte, identificare l’unicità del disegno criminoso soltanto con la propensione del condannato ad agire come esponente del sodalizio mafioso – in questo caso riconducibile all’area etnea di RAGIONE_SOCIALE nel quale gravitava, porterebbe a ricondurre irragionevolmente tutte le condotte illecite di COGNOME alla sfera di operatività della stessa RAGIONE_SOCIALE, senza il compimento di alcuna verifica sulla genesi dei suoi comportamenti criminosi. Né può assumere rilievo in senso contrario, sic et simpliciter, la circostanza che il ricorrente era uno degli esponenti di spicco della RAGIONE_SOCIALE, in cui, da tempo, gravitava, alla quale non può attribuirsi alcun rilievo decisivo, anche tenuto conto del fatto che la condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., irrogata 6 ottobre 1998, copre un arco tempo notevolmente posteriore rispetto ai fatti di reato giudicati dall’ulteriore sentenza, emessa il 23 marzo 1998.
La verifica di tali condotte delittuose, del resto, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi o di mere congetture, essendo necessario acquisire la prova che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo invocato siano stati concepiti nell’ambito di un programma unitario. Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata al crimine, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tenden
delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al “favor rei”» (Sez. 5, n. 10917 de 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
Non può, per altro verso, non rilevarsi che, nel caso in cui l’applicazione del vincolo della continuazione venga invocata in sede esecutiva con riferimento a una pluralità di reati, collegati a un’organizzazione RAGIONE_SOCIALE, come nel caso di NOME COGNOME, non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato all’omogeneità delle condotte, peraltro solo parziale nel caso di specie, ma «occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità d momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione» (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271569 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 settembre 2024.