Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7422 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7422 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a COSENZA il 08/02/1967
avverso il decreto del 09/07/2024 del GIP TRIBUNALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, giudicando in sede di rinvio, ha rigettato l’istanza con cui NOME COGNOME ha chiesto il riconoscimento della continuazione con riguardo:
ai reati, giudicati dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 22 novembre 2017, definitiva il 7 aprile 2018 di associazione di tipo mafioso, estorsione, omicidio, detenzione illegale di armi ai sensi degli artt. 416-bis, 629, 575 cod. pen., art. 2 I. n. 895 del 1967, commessi da luglio 2012 a marzo 2015;
ai reati, giudicati dalla Corte di assise di appello di Catanzaro con sentenza del 18 dicembre 2017, definitiva il 5 dicembre 2018, di omicidio, occultamento di
cadavere e detenzione illegale di arma, ai sensi degli artt. 575, 412 cod. pen. e 2 legge n. 895 del 1967, commessi il 3 gennaio 2012;
3) ai reati, giudicati dalla Corte di appello di Bari con sentenza del 23 maggio 2005, definitiva il 19 febbraio 2009, di associazione per delinquere, ai sensi dell’art. 416, terzo comma, cod. pen., commesso fino al 13 marzo 2005 e più reati di rapina, ai sensi dell’art. 628 cod. pen., commessi 11 10 novembre 2004, il 23 e il 28 gennaio 2005 e al reato di ricettazione, ai sensi dell’art. 648 cod. pen., commesso il 23 gennaio 2005;
ai reati, giudicati dal G.i.p. del Tribunale di Catanzaro con sentenza del 16 novembre 2020, definitiva il 2 aprile 2021, di tentato omicidio, ai sensi degli artt. 56 e 575 cod. pen., commesso il 2 aprile 2005 e di estorsione, ai sensi dell’art. 629 cod. pen., commesso in data 10 gennaio 2011.
Avverso tale ordinanza il Bruzzese ha proposto ricorso, articolando un unico motivo di censura, con il quale deduce vizio di violazione di legge in relazione all’art. 81 cod. pen. e vizio di motivazione. Il giudice dell’esecuzione avrebbe disatteso il principio di diritto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza che aveva annullato con rinvio la precedente ordinanza del medesimo Tribunale, per non aver considerato i dati conoscitivi offerti dalle sentenze di condanna oggetto dell’istanza e che avevano già portato al riconoscimento della continuazione tra i reati di cui alle sentenze sub 1) e 2) e tra i singoli reati di cui alla sentenza sub 4). Deduce in particolare che in modo contraddittorio il giudice dell’esecuzione avrebbe escluso la riconducibilità delle rapine giudicate con la sentenza sub 3) e i reati di estorsione e tentato omicidio di cui alla sentenza sub 4) alla organizzazione mafiosa di cui il ricorrente faceva parte, disattendendo quanto accertato in sede di cognizione e quanto affermato con ordinanza in data 1.4.2019 dalla Corte d’assise di Cosenza, che aveva riconosciuto il vincolo della continuazione tra il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. di cui alla sentenza sub 1) e quello di omicidio di cui alla sentenza sub 2).
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento della continuazione postula, sia in fase di cognizione che in sede
di esecuzione, la programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte grossomodo delineate in vista di un unico fine. Ciò richiede pertanto la verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
Spetta al giudice, tenuto conto delle allegazioni difensive e attraverso l’approfondita disamina dei casi giudiziari oggetto delle sentenze acquisite anche di ufficio, individuare i dati sostanziali di possibile collegamento (cfr. Sez. 1, 14188 del 30/3/2010, Russo, Rv. 246840).
Con particolare riferimento alla continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione criminosa e i reati fine, questa Corte, con indirizzo condiviso dal Collegio, ha affermato che tale vincolo è ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che i reati fine siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio. Si è infatti ritenuto che, ragionando diversamente, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie associativa (Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 285369 – 01; Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430 – 01; conf.: Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271984 – 01). Conseguentemente, la commissione dei reati-fine nell’interesse o comunque in vista del consolidamento del sodalizio criminoso costituisce un elemento privo di univoca valenza, ben potendo la relativa deliberazione criminosa essere maturata successivamente alla adesione all’associazione.
3. L’ordinanza impugnata si è correttamente attenuta a tali parametri ermeneutici.
Il Tribunale, invero, con motivazione logica e coerente, ha spiegato le ragioni per cui ha escluso la sussistenza del medesimo disegno criminoso, fondando tale conclusione sul dato oggettivo – emergente dalle sentenze di condanna – costituito dalla risalenza dei reati di cui alla sentenza sub 4) ad una data antecedente alla partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa “RangoRAGIONE_SOCIALE“, di cui alla sentenza sub 1), accertata a far data dal luglio 2012, laddove il tentato omicidio in danno di NOME COGNOME risaliva al gennaio 2005 e l’estorsione al 2011. È
evidente, invero, che in tal caso deve escludersi che tali reati potessero essere stati già programmati al momento della commissione del reato associativo, così come necessario per ritenere sussistente un medesimo disegno criminoso.
Analoghe le ragioni che hanno portato correttamente ad escludere la continuazione rispetto ai reati di cui alla sentenza sub 4) trattandosi del reato di associazione a delinquere nonché dei reati-fine (rapine e ricettazioni) commessi tra il 2004 e il 2005, ed avendo il giudice dell’esecuzione precisato che in sede di cognizione era stato espressamente escluso il carattere mafioso dell’associazione.
Né a diversa conclusione può condurre il richiamo, operato dal ricorrente, all’ordinanza della Corte d’assise di Cosenza del 1/4/2019, atteso che il riconoscimento della continuazione da questa operato aveva ad oggetto il reato associativo (sentenza sub 1) e i reati di omicidio, porto d’armi e occultamento di cadavere commessi in ambiti temporali omogenei (tra il 2012 e il 2015).
Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 28 novembre 2024
Il Consigliere estensore