Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14778 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14778 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PETILIA POLICASTRO il 05/11/1966
avverso l’ordinanza del 05/11/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Comberati NOME ricorre avverso l’ordinanza del 5 novembre 2024 della Corte di appello di Catanzaro che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
al reato di tentato omicidio aggravato, commesso a marzo 2008, giudicato dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza dell’8 luglio 2011, definitiva il 18 aprile 2013;
al reato di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen., commesso dalla fine degli anni Ottanta al 2008 in Petilia Policastro e altrove, giudicato dalla Corte di assise di appello di Catanzaro con sentenza del 13 giugno 2019, definitiva il 4 gennaio 2020;
al reato di associazione di tipo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis cod. pen., commesso da marzo 2012 in Petilia Policastro, giudicato dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 18 dicembre 2017, definitiva il 29 aprile 2019.
La Corte di assise di appello di Catanzaro, quale precedente giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 12 maggio 2022, aveva già riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati sub b e c, rigettando la medesima istanza con riferimento al reato sub a.
Il giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza oggi impugnata, ha evidenziato che, anche superando il profilo d’inammissibilità dell’istanza (giacché reiterativa di altra già rigettata), gli elementi addotti dall’interessato dimostravano che il tentato omicidio di NOME COGNOME sub a non fosse stato programmato al momento dell’ingresso del condannato nella prima associazione alla fine degli anni ’80, atteso che i contrasti tra l’istante e NOME COGNOME (le due figure apicali del medesimo clan di Petilia Policastro) erano sorti solo sul finire degli anni ’90, allorché NOME COGNOME aveva iniziato a pretendere l’egemonia sul clan, e che il proposito di uccidere NOME COGNOME da parte di Cambierati si era manifestato solo successivamente, in seguito all’omicidio di NOME COGNOME, avvenuto nel 2002.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 81 cod. pen., e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di rilevare che, dalla lettura delle sentenze di condanna e delle dichiarazioni di COGNOME NOME e di COGNOME NOME NOME, era emerso che il contrasto tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché la programmazione dell’omicidio di COGNOME NOME, erano
elementi presenti già quando il condannato aveva deciso di aderire alla prima realtà associativa
In tal senso, nel ricorso si evidenzia che il giudice dell’esecuzione, pur ritenendo sussistente l’unicità dell’associazione di tipo mafioso e l’ininterrotta partecipazione alla stessa da parte del condannato, avrebbe poi – in maniera illogica – omesso di accertare che COGNOME si era trovato a compiere il tentato omicidio solo ed esclusivamente per il perseguimento dei fini dell’associazione.
Tale reato, pertanto, non poteva essere inteso come posto in essere in forza di elementi del tutto contingenti, poiché sintomatico della riconferma dell’originario programma associativo (inteso come prospettazione anticipata di ciò che costituisce il rapporto di interdipendenza funzionale tra i reati che sono commessi in vista del conseguimento di un unico fine).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Giova premettere che, con riferimento ai rapporti tra l’associazione per delinquere e i reati fine, la giurisprudenza, pur non escludendo in linea di principio la possibilità del riconoscimento del vincolo della continuazione tra gli stessi, richiede che i reati fine siano stati programmati nelle loro linee essenziali sin dal momento costitutivo del sodalizio criminoso (Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, Rv. 257253).
Non è configurabile, pertanto, la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (Sez. 5, n. 54509 del 08/10/2018, Lo Giudice, Rv. 275334-02).
Il principio affermato in giurisprudenza per l’accertamento del medesimo disegno criminoso fra reato associativo e reati fine, quindi, fa riferimento al momento genetico della deliberazione criminosa.
Il giudice dell’esecuzione, correttamente applicando i sopra indicati principi di diritto al caso di specie, ha motivato in maniera ineccepibile, facendo riferimento a dati informativi certi estratti dalla fase di cognizione, in relazione a evidenti elementi della concreta fattispecie di tentato omicidio che ne indicano la matrice occasionale e del tutto prossima al fatto, tali da non poter essere previsti, con la sufficiente specificità, al momento della costituzione del vincolo associativo in capo al condannato.
Il giudice dell’esecuzione, infatti, ha evidenziato in modo ineccepibile come il tentato omicidio di NOME COGNOME avesse avuto la sua origine negli attriti insorti
molti anni più tardi tra i due capi clan NOME COGNOME e NOME COGNOME per l’affermazione della supremazia del sodalizio, quindi in circostanze non prevedibili
al momento della costituzione del vincolo associativo.
Il giudice dell’esecuzione, di conseguenza, preso atto che medesima istanza era stata già rigettata, fornendo una decisione logica e coerente, ha ritenuto che i
nuovi elementi forniti dalla difesa non fossero idonei a rappresentare la sussistenza del medesimo disegno criminoso anche con riferimento al reato
sub a.
La Corte, in definitiva, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo
comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, abbia fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
2. In forza di quanto sopra, il ricorso deve essere rigettato. Ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi
dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 06/02/2025