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Continuazione tra reati: quando non si applica?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati di spaccio. La richiesta è stata respinta a causa della notevole diversità tra i crimini commessi (una cessione di un ingente quantitativo di marijuana e reiterate vendite di cocaina), ritenuti non facenti parte di un medesimo disegno criminoso, elemento essenziale per l’applicazione del beneficio della continuazione tra reati.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando la Diversità degli Illeciti Esclude il Beneficio

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini di questo beneficio, negandolo in un caso di spaccio di sostanze stupefacenti diverse, a causa dell’assenza di un progetto unitario. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: Traffico di Marijuana e Cessioni di Cocaina

Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto condannato per diversi episodi di spaccio, avvenuti in un arco temporale compreso tra giugno 2019 e luglio 2020. In particolare, al ricorrente venivano contestati due distinti filoni di attività illecita: da un lato, la cessione di un ingente quantitativo di marijuana e, dall’altro, reiterate vendite di cocaina a terzi.

L’interessato aveva richiesto alla Corte d’Appello di Bologna di riconoscere il vincolo della continuazione tra reati, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale. L’obiettivo era unificare le pene inflitte per i diversi reati sotto un’unica valutazione, ottenendo così un trattamento sanzionatorio più mite. La Corte d’Appello, però, aveva rigettato la richiesta, spingendo il condannato a rivolgersi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni: Perché non si applica la continuazione tra reati?

La Corte ha basato la sua decisione su una valutazione rigorosa dei presupposti necessari per l’applicazione della continuazione. Il punto centrale del ragionamento è l’assenza di un “medesimo disegno criminoso”. Secondo i giudici, i comportamenti del ricorrente non erano riconducibili, neppure in astratto, a una singola “preordinazione”.

Gli elementi che hanno portato a questa conclusione sono principalmente due:

1. L’arco temporale: Sebbene non eccessivamente lungo (circa un anno), l’intervallo temporale è stato valutato insieme al secondo, e più decisivo, elemento.
2. La disomogeneità dei delitti: Questa è la chiave di volta della decisione. La Corte ha sottolineato la palese diversità tra le condotte: un’unica operazione per un grande quantitativo di marijuana contro una serie di piccole e ripetute cessioni di cocaina. Questa differenza sostanziale nelle modalità operative e nel tipo di sostanza stupefacente ha reso evidente, secondo la Corte, la mancanza di un piano unitario e preordinato.

La Cassazione ha inoltre precisato un principio fondamentale: la semplice reiterazione di condotte illecite non equivale a continuazione tra reati. La ripetizione di crimini può essere sintomo di altre condizioni, come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato, che sono disciplinate da istituti diversi e non comportano il beneficio del favor rei (principio di favore verso l’imputato) tipico della continuazione.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza ribadisce un concetto cruciale: per ottenere il riconoscimento della continuazione, non basta commettere più reati in un periodo di tempo ravvicinato. È indispensabile dimostrare l’esistenza di un’unica matrice ideativa, un programma criminoso concepito in anticipo che lega tutte le azioni illecite. La diversità nella natura e nelle modalità di esecuzione dei reati diventa un ostacolo insormontabile, poiché smentisce l’esistenza di tale piano unitario. La decisione serve quindi come monito: la valutazione sulla continuazione tra reati è un’analisi concreta e rigorosa dei fatti, dove la coerenza del progetto criminale prevale sulla mera sequenza temporale degli eventi.

È possibile ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati di spaccio se le droghe e le modalità di cessione sono diverse?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la “disomogeneità” dei delitti, come la cessione di un ingente quantitativo di marijuana in un caso e reiterate cessioni di cocaina in un altro, è un forte indicatore dell’assenza di un medesimo disegno criminoso, rendendo inapplicabile la continuazione.

La semplice ripetizione di reati nel tempo è sufficiente per configurare la continuazione?
No. La reiterazione delle condotte illecite non è di per sé espressione di un unico disegno criminoso. Può invece indicare una tendenza a delinquere o un’abitudine al crimine, concetti giuridici distinti (come la recidiva o l’abitualità) che non beneficiano del trattamento più favorevole previsto per la continuazione.

Cosa valuta il giudice per decidere sulla richiesta di continuazione tra reati?
Il giudice valuta se i diversi reati siano riconducibili a una “preordinazione”, ovvero a un piano unitario ideato prima di commettere il primo reato. Vengono considerati elementi come l’arco temporale, la natura dei reati e le modalità di esecuzione per verificare se esista un nesso psicologico e programmatico che li leghi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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