Continuazione tra Reati: Quando la Diversità degli Illeciti Esclude il Beneficio
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini di questo beneficio, negandolo in un caso di spaccio di sostanze stupefacenti diverse, a causa dell’assenza di un progetto unitario. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso: Traffico di Marijuana e Cessioni di Cocaina
Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto condannato per diversi episodi di spaccio, avvenuti in un arco temporale compreso tra giugno 2019 e luglio 2020. In particolare, al ricorrente venivano contestati due distinti filoni di attività illecita: da un lato, la cessione di un ingente quantitativo di marijuana e, dall’altro, reiterate vendite di cocaina a terzi.
L’interessato aveva richiesto alla Corte d’Appello di Bologna di riconoscere il vincolo della continuazione tra reati, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale. L’obiettivo era unificare le pene inflitte per i diversi reati sotto un’unica valutazione, ottenendo così un trattamento sanzionatorio più mite. La Corte d’Appello, però, aveva rigettato la richiesta, spingendo il condannato a rivolgersi alla Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Perché non si applica la continuazione tra reati?
La Corte ha basato la sua decisione su una valutazione rigorosa dei presupposti necessari per l’applicazione della continuazione. Il punto centrale del ragionamento è l’assenza di un “medesimo disegno criminoso”. Secondo i giudici, i comportamenti del ricorrente non erano riconducibili, neppure in astratto, a una singola “preordinazione”.
Gli elementi che hanno portato a questa conclusione sono principalmente due:
1. L’arco temporale: Sebbene non eccessivamente lungo (circa un anno), l’intervallo temporale è stato valutato insieme al secondo, e più decisivo, elemento.
2. La disomogeneità dei delitti: Questa è la chiave di volta della decisione. La Corte ha sottolineato la palese diversità tra le condotte: un’unica operazione per un grande quantitativo di marijuana contro una serie di piccole e ripetute cessioni di cocaina. Questa differenza sostanziale nelle modalità operative e nel tipo di sostanza stupefacente ha reso evidente, secondo la Corte, la mancanza di un piano unitario e preordinato.
La Cassazione ha inoltre precisato un principio fondamentale: la semplice reiterazione di condotte illecite non equivale a continuazione tra reati. La ripetizione di crimini può essere sintomo di altre condizioni, come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato, che sono disciplinate da istituti diversi e non comportano il beneficio del favor rei (principio di favore verso l’imputato) tipico della continuazione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
L’ordinanza ribadisce un concetto cruciale: per ottenere il riconoscimento della continuazione, non basta commettere più reati in un periodo di tempo ravvicinato. È indispensabile dimostrare l’esistenza di un’unica matrice ideativa, un programma criminoso concepito in anticipo che lega tutte le azioni illecite. La diversità nella natura e nelle modalità di esecuzione dei reati diventa un ostacolo insormontabile, poiché smentisce l’esistenza di tale piano unitario. La decisione serve quindi come monito: la valutazione sulla continuazione tra reati è un’analisi concreta e rigorosa dei fatti, dove la coerenza del progetto criminale prevale sulla mera sequenza temporale degli eventi.
È possibile ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati di spaccio se le droghe e le modalità di cessione sono diverse?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la “disomogeneità” dei delitti, come la cessione di un ingente quantitativo di marijuana in un caso e reiterate cessioni di cocaina in un altro, è un forte indicatore dell’assenza di un medesimo disegno criminoso, rendendo inapplicabile la continuazione.
La semplice ripetizione di reati nel tempo è sufficiente per configurare la continuazione?
No. La reiterazione delle condotte illecite non è di per sé espressione di un unico disegno criminoso. Può invece indicare una tendenza a delinquere o un’abitudine al crimine, concetti giuridici distinti (come la recidiva o l’abitualità) che non beneficiano del trattamento più favorevole previsto per la continuazione.
Cosa valuta il giudice per decidere sulla richiesta di continuazione tra reati?
Il giudice valuta se i diversi reati siano riconducibili a una “preordinazione”, ovvero a un piano unitario ideato prima di commettere il primo reato. Vengono considerati elementi come l’arco temporale, la natura dei reati e le modalità di esecuzione per verificare se esista un nesso psicologico e programmatico che li leghi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13490 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13490 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOMECUI 00ZKRT8) nato il 04/08/1981
avverso l’ordinanza del 30/12/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso, così come integrato dalle memorie difensive versate in atti, proposto avverso l’ordinanza del 3 dicembre 2024, con cui la Corte di appello di Bologna rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato.
Ritenuto che i comportamenti criminosi di cui si assumeva la continuazione non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione, tenuto conto dell’arco temporale in cui i reati di cui si controverte erano stati commessi – compreso tra il giugno del 2019 e il luglio del 2020 – e dell’incontroversa disomogeneità dei delitti commessi dal ricorrente, resa evidente dalle circostanze nelle quali le due cessioni di sostanza stupefacente si erano concretizzate. Basti, in proposito, considerare che, in un caso, si contestava a COGNOME la cessione di un ingente quantitativo di marijuana, nell’altro, le reiterate cessioni a terzi di cocaina.
Ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nel caso di Lecini, venendo disciplinata da istituti diversi, quali la recidiva, l’abitualità, professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso alla continuazione, preordinata al favor rei (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 marzo 2025.