Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28013 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28013 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Bologna NOME, nato a Palermo il 02/01/1966
avverso l’ordinanza emessa il 04/04/2025 dal Tribunale di Palermo lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 4 aprile 2025 il Tribunale di Palermo, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi degli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., tra i fatti di reato giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 della decisione censurata, ritenendo ostative all’applicazione della disciplina richiesta l’eterogeneità dei comportamenti criminosi e l’ampiezza dell’arco temporale nel quale tali condotte illecite si erano concretizzate.
Le pronunzie irrevocabili presupposte, in particolare, riguardavano la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Palermo il 21 luglio 2021, riguardante il reato di tentato furto aggravato, commesso a Palermo il 22 gennaio 2015, nonché la sentenza deliberata dalla Corte di appello di Palermo il 26 giugno 2019 relativa al reato di calunnia, commesso a Palermo il 28 aprile 2016.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, articolando un’unica censura difensiva.
Con questa doglianza si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., conseguenti al fatto che il Tribunale di Palermo, nel respingere l’istanza di applicazione della continuazione invocata nell’interesse di Bologna, non aveva tenuto conto della correlazione esistente tra i delitti giudicati dalle decisioni presupposte, attestata dalla vicenda criminosa da cui traeva origine. Tale vicenda riguardava il tentato furto aggravato, commesso dal ricorrente a Palermo il 22 gennaio 2015 – in un’abitazione ubicata tra la INDIRIZZO e la INDIRIZZO, su cui si innestava la calunnia, commessa a Palermo il 28 aprile 2016, in danno del sovr. NOME COGNOME e dell’ass. NOME COGNOME.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile, risultando incentrato su motivi manifestamente infondati.
2. Osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche essenziali (tra l altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulle attività illecite del condannato, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alla posizione di Bologna, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al “favor rei”» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
La verifica di tale preordinazione criminosa, infine, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 81, secondo comma, e 671 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596 – 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
3. In questa cornice, deve rilevarsi, in linea con quanto correttamente affermato dal Tribunale di Palermo, che ostava all’applicazione della disciplina della continuazione invocata da NOME COGNOME, ex artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671 cod. proc. pen., l’eterogeneità delle modalità esecutive con cui le condotte criminose giudicate dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato, per le quali si invocava la preordinazione, si erano concretizzate.
Secondo il Giudice dell’esecuzione, ostavano all’applicazione della disciplina della continuazione richiesta da NOME COGNOME le modalità con cui le condotte illecite presupposte erano state eseguite, riguardanti il tentato furto aggravato, commesso dal ricorrente a Palermo il 22 gennaio 2015 – in un’abitazione ubicata tra la INDIRIZZO e la INDIRIZZO, su cui si innestava la calunnia, commessa a Palermo il 28 aprile 2016, in danno del sovr. NOME COGNOME e dell’ass. NOME COGNOME. I due ufficiali di polizia giudiziaria, in particolare, la mattina del 22 gennaio 2025, avevano redatto il verbale che attestava che l’imputato era stato controllato alla guida della sua autovettura Mitsubishi Pajero, targata TARGA_VEICOLO corroborando l’ipotesi secondo cui il ricorrente, a bordo dello stesso veicolo, qualche ora prima, aveva commesso il tentato furto aggravato di cui si controverte.
Si rappresentava, in particolare, a pagina 3 del provvedimento impugnato, con argomenti ineccepibili, che, nel caso di specie, il «reato di calunnia non può reputarsi frutto dell’originaria deliberazione e criminosa, essendo stato piuttosto determinato dall’esigenza (sorta in seguito ed estemporanea) di tentare di ostacolare la propria identificazione quale autore del reato, che avrebbe semmai giustificato la contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 c.p.».
Non può, per altro verso, non rilevarsi che la reiterazione di condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dallo stesso intende trarre sostentamento, come nel caso di NOME COGNOME i cui comportamenti, finalizzati a eludere le indagini per il tentato furto aggravato del 22 gennaio 2015, appaiono rivelatori di un atteggiamento aduso ad attività illecite, come correttamente evidenziato nelle pagine 2 e 3 del provvedimento impugnato.
In ipotesi di questo genere, infatti, la proclività al crimine del condannato deve ritenersi disciplinata da istituti differenti dalla continuazione, quali l recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro normativo rispetto a quello sotteso all’istituto in esame, che, viceversa, appare orientato a favorire il soggetto attivo dei vari reati, applicandogli un trattamento sanzionatorio mitigato dagli effetti del combinato disposto degli artt. 81, comma secondo, cod. pen., e 671 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, cit.)
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 15 luglio 2025.