Continuazione tra Reati: La Cassazione Nega il Beneficio in Assenza di un Unico Disegno Criminoso
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema penale, volto a mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più illeciti sotto l’impulso di un medesimo progetto criminale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica dei presupposti. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce i confini di questo beneficio, chiarendo che una serie di condanne, anche numerose, non implica di per sé l’esistenza di un disegno unitario.
Il caso: Otto condanne e la richiesta di unificazione della pena
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava un soggetto condannato con ben otto sentenze definitive, pronunciate in separati processi. La difesa aveva presentato ricorso avverso l’ordinanza della Corte d’Appello che negava l’applicazione della continuazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge. Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato gli elementi che, a suo dire, provavano l’unicità del disegno criminoso alla base di tutte le condotte delittuose.
La richiesta mirava a ottenere il riconoscimento di un unico reato continuato, con l’effetto di rideterminare la pena complessiva in una misura più favorevole, applicando l’aumento previsto per la continuazione anziché il cumulo materiale delle pene inflitte con le singole sentenze.
La decisione della Corte: quando la continuazione tra reati non sussiste
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno pienamente condiviso le argomentazioni della Corte d’Appello, sottolineando come le censure del ricorrente si risolvessero in mere doglianze di fatto, non ammissibili in sede di legittimità.
L’analisi della distanza temporale e della diversità dei fatti
Un punto cruciale della decisione riguarda l’analisi del fattore tempo. I giudici hanno evidenziato che tra i reati oggetto delle prime due sentenze intercorreva un lasso temporale di oltre un anno e tre mesi. Analogamente, tra i reati delle ultime sentenze e quelli precedentemente unificati sotto il vincolo della continuazione vi era una distanza di oltre dieci mesi e di oltre un anno. Una tale distanza temporale, in assenza di specifici indicatori contrari, rende difficile ipotizzare una programmazione unitaria e preventiva.
Da disegno unitario a programma delinquenziale generico
La Corte ha distinto nettamente il ‘medesimo disegno criminoso’ richiesto dalla legge per la continuazione tra reati dal ‘generico programma delinquenziale’. Mentre il primo implica una deliberazione iniziale che abbraccia tutti gli episodi criminali futuri, il secondo si riferisce a una più generica scelta di vita orientata al crimine. Nel caso di specie, i reati sono stati considerati non come l’attuazione di un piano prestabilito, ma come il frutto di ‘estemporanee occasioni’ colte dal soggetto nell’ambito della sua inclinazione a delinquere, caratterizzata dal fine di trarre ingiusto profitto.
Le Motivazioni della Cassazione
La motivazione della Corte si fonda sulla carenza di prova di un’unica progettazione. Non basta che i reati siano accomunati dallo stesso scopo finale (ad esempio, il profitto illecito) per poterli considerare avvinti dal vincolo della continuazione. È necessario dimostrare che essi siano stati concepiti e deliberati sin dall’inizio come parte di un unico piano. La diversità dei soggetti coinvolti nei vari episodi e la significativa distanza temporale sono stati considerati elementi decisivi per escludere tale unicità di programmazione. Il ricorso, pertanto, è stato giudicato inammissibile perché basato su argomentazioni fattuali che non potevano mettere in discussione la logicità della decisione impugnata.
Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza offre un importante monito: la richiesta di applicazione della continuazione deve essere supportata da elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un’unica deliberazione criminosa originaria. La semplice serialità dei reati o l’omogeneità del fine perseguito non sono sufficienti. I giudici di merito hanno il compito di valutare attentamente tutti gli indici a disposizione, come la distanza temporale, le modalità di esecuzione, la natura dei beni violati e l’eventuale coinvolgimento di terzi. La decisione della Cassazione conferma che solo una prova rigorosa del ‘disegno criminoso’ può giustificare l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più favorevole, distinguendo così la programmazione criminale dalla mera reiterazione di condotte illecite dettata da scelte di vita delinquenziali.
Quando può essere esclusa la continuazione tra reati?
La continuazione può essere esclusa quando mancano prove di un unico e preventivo disegno criminoso che leghi le diverse condotte. Elementi come una notevole distanza temporale tra i reati e la diversità dei contesti o dei soggetti coinvolti possono indicare che i crimini sono frutto di decisioni estemporanee piuttosto che di un piano unitario.
La commissione di più reati con lo stesso scopo (es. profitto) è sufficiente per ottenere la continuazione?
No. Secondo la Corte, la sola comunanza del fine, come quello di trarre un ingiusto profitto, non è di per sé sufficiente a dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. È necessario che i reati siano stati programmati insieme sin dall’inizio.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
Comporta che la Corte non esamina il merito della questione. Inoltre, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20972 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20972 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a FRASCATI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/12/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME;—
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che sono inammissibili le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME – nel quale il difensore si duole del vizio di motivazione e della violazione di legge, lamentando che l’ordinanza emessa nei confronti del suddetto ha trascurato gli indici rivelatori dell’unicità del disegno criminoso a fondamento delle condotte delittuose poste in essere – come altresì supportate da successiva memoria, perché, oltre ad essere costituite da mere doglianze in punto di fatto, sono manifestamente infondate.
Invero, nell’ordinanza impugnata si evidenzia, con riguardo alla continuazione invocata tra reati oggetto di otto sentenze di condanna esecutive pronunciate a carico di COGNOME in separati processi, che: – i reati di cui alle prime due sentenze sono stati commessi a distanza di oltre un anno e tre mesi l’uno dall’altro e che, in assenza di uno specifico indicatore, non è possibile ritenere che i fatti, pur caratterizzati fine di trarre un ingiusto profitto, siano stati posti in essere sulla base di un’un progettazione, considerata anche la diversità dei soggetti coinvolti; – parimenti, i reat di cui alla settima e all’ottava sentenza (sub E ed F), commessi nell’arco temporale di oltre un anno l’uno dall’altro e a distanza di oltre 10 mesi dal reato di cui alla ses sentenza (sub D) con riferimento al quale è stata già riconosciuta la continuazione con i reati di cui alla terza, quarta e quinta sentenza (sub A, B e C) , risultano piuttosto che oggetto di una preventiva unitaria deliberazione, frutto di estemporanee occasioni colte nell’ambito di un generico programma delinquenziale cui il ricorrente ebbe, nel periodo in esame, ad improntare la propria vita.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. peri.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.