Continuazione tra Reati: La Cassazione Chiarisce i Limiti
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un importante strumento di mitigazione della pena, ma la sua applicazione è subordinata a requisiti rigorosi. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito che la semplice reiterazione di crimini, anche se numerosi, non è sufficiente per ottenere questo beneficio. È necessaria la prova di un’unica programmazione iniziale, un ‘medesimo disegno criminoso’ che leghi tutte le condotte illecite. Analizziamo insieme questa decisione per capire quando e perché questo istituto può essere negato.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un uomo avverso la decisione di una Corte d’Appello. Quest’ultima aveva respinto la sua richiesta di applicare la disciplina della continuazione tra reati a due diverse sentenze di condanna divenute irrevocabili. L’obiettivo del ricorrente era ottenere il ricalcolo della pena in senso più favorevole, unificando i diversi reati sotto un unico vincolo. La Corte territoriale, tuttavia, aveva già escluso la sussistenza dei presupposti per accogliere la richiesta, spingendo il condannato a rivolgersi alla Suprema Corte.
La Decisione della Cassazione sulla continuazione tra reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione dei giudici di merito. Secondo gli Ermellini, la richiesta del ricorrente era manifestamente infondata. La Corte ha stabilito che non vi erano gli elementi per considerare i reati, giudicati con sentenze separate, come parte di un unico progetto criminoso concepito in origine.
Le Motivazioni: Perché è stata negata la continuazione tra reati?
Il nucleo della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha smontato la tesi difensiva. I giudici hanno evidenziato due ostacoli insormontabili all’applicazione dell’istituto.
Eterogeneità e Arco Temporale
In primo luogo, è stata sottolineata l’eterogeneità esecutiva dei delitti commessi e, soprattutto, l’ampiezza dell’arco temporale in cui erano stati perpetrati, compreso tra il 2008 e il 2014. Un lasso di tempo così esteso, secondo la Corte, impedisce di ritenere provata un’originaria e unitaria progettazione dei comportamenti criminali. In altre parole, è irrealistico pensare che una persona possa pianificare in un unico momento una serie di reati così diversi da eseguire nell’arco di sei anni.
Distinzione con lo ‘Stile di Vita Criminale’
In secondo luogo, la Cassazione ha tracciato una distinzione fondamentale: la continuazione tra reati non deve essere confusa con un programma di vita improntato al crimine. La mera reiterazione delle condotte illecite non configura automaticamente un medesimo disegno criminoso. Al contrario, essa può essere sintomo di recidiva, abitualità o professionalità nel reato, fenomeni che il legislatore sanziona con istituti diversi e aggravanti, non con il beneficio del reato continuato. Quest’ultimo, infatti, è un istituto di favor rei (favore per il reo), pensato per chi delinque sulla base di un’unica risoluzione criminosa, e non per chi adotta il crimine come scelta di vita.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La pronuncia in esame riafferma un principio consolidato: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, non basta dimostrare di aver commesso più illeciti. È onere del condannato fornire la prova rigorosa di un’unica deliberazione iniziale che abbracci tutti gli episodi delittuosi. La notevole distanza temporale e la diversità delle modalità esecutive dei reati sono potenti indizi contrari, che rendono difficile, se non impossibile, dimostrare l’esistenza di un progetto unitario. Questa ordinanza serve da monito sulla necessità di argomentare in modo solido e circostanziato le istanze di questo tipo, per non incorrere in una declaratoria di inammissibilità e nella conseguente condanna alle spese processuali.
Quando è possibile riconoscere la continuazione tra reati?
È possibile quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un ‘medesimo disegno criminoso’, ovvero quando sono stati tutti programmati e deliberati in un unico momento, prima dell’inizio dell’esecuzione del primo reato.
Perché in questo caso la Cassazione ha negato la continuazione tra reati?
La Corte l’ha negata a causa della notevole ampiezza dell’arco temporale in cui i reati sono stati commessi (dal 2008 al 2014) e della loro eterogeneità esecutiva. Questi due elementi, secondo i giudici, escludevano la possibilità che i reati fossero frutto di un’unica progettazione iniziale.
La semplice ripetizione di reati nel tempo è sufficiente per ottenere la continuazione?
No. Secondo la Corte, la reiterazione di condotte illecite non è espressione di un medesimo disegno criminoso, ma piuttosto di un programma di vita improntato al crimine, una condizione che viene sanzionata da altri istituti giuridici come la recidiva o l’abitualità nel reato, e non dal beneficio della continuazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19915 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19915 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza dell’i febbraio 2024, con la quale la Corte di appello di Bari rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sens dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sen irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato.
Ritenuto che le ipotesi di reato di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione, tenuto conto dell’incontroversa eterogeneità esecutiva dei delitti commessi da COGNOME e della notevole ampiezza dell’arco temporale in cui i reati di cui si controverte erano st commessi, compreso tra il 2008 e il 2014, che impediva di ritenere dimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio (tra l altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
Ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite non può esser espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nel caso di COGNOME, venendo sanzionata da fattispecie quali la recidiva, l’abitualità, professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazion preordinato al favor rei (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 -01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, AVV_NOTAIO, Rv. 245833 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.