Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5232 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5232 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/06/2023 del TRIBUNALE di SAVONA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo, con la quale il Tribunale di Savona, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la sua istanza, intesa al riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione a reati separatamente giudicati in sede di cognizione;
considerato altresì che con un unico, articolato motivo di ricorso deduce che il giudice a quo avrebbe disatteso le indicazioni della giurisprudenza di legittimità in materia di criteri identificativi dell’unicità di disegno criminoso, sicurament ravvisabile nella specie, attesa la non eccessiva distanza temporale e le ragioni sottese alla commissione dei reati, identificabili nella condizione di soggetto irregolare sul territorio dello Stato, con conseguente impossibilità di avere fissa dimora e lavoro stabile;
ritenuto che il ricorso risulta manifestamente infondato, in quanto generico e non correlato con la motivazione posta a fondamento del provvedimento di diniego;
ribadito il principio secondo cui, il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita e rigorosa verifica, onde riscontrare se effettivamente, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074-01) e che l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, nonché la contiguità spazio-temporale degli illeciti, rappresentano solo alcuni degli indici in tal senso rivelatori, i quali, seppure indicativi di una determinata scelta delinquenziale, non consentono, di per sé soli, di ritenere che gli illeciti stessi siano frutto di determinazioni vol risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094-01). Da quest’ultima non si può infatti prescindere, giacché la ratio della disciplina va ravvisata, con riferimento all’aspetto intellettivo, nella iniziale previsione della ricorrenza di più azioni crimino rispondenti a determinate finalità dell’agente e, in relazione al profilo dell volontà, nell’elaborazione di un programma di massima, ancorché richiedente, di volta in volta, in sede attuativa, ulteriori specifiche volizioni (Sez. 1, n. 34502 d 02/07/2015, Bordoni, Rv. 264294-01);
rilevato che, nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha fatto buon governo degli anzidetti principi e ha dato argomentato conto della loro applicazione al caso concreto, evidenziando, in maniera esente da illogicità ed incongruenze, che i reati erano di natura eterogenea (lesioni personali, resistenza, violenza
sessuale, sequrstro di persona, rapina, falsità ideologica, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, violazione della disciplina sulle armi), eseguiti con modalità affatto differenti, distanti tra loro e commessi in località differenti e che in assenza di specifiche allegazioni della difesa, gli stessi dovevano essere ascritti a una generica tendenza del ricorrente a porre in essere reati;
rilevato che il Giudice dell’esecuzione si è altresì fatto carico di escludere il riconoscimento dell’invocato vincolo della continuazione limitatamente alle sentenze aventi ad oggetto i reati di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, chiarendo – con motivazione non manifestamente illogica – che, oltre alla distanza temporale, le condotte sono state perpetrate con peculiarità ontologicamente incompatibili con l’anticipata, unitaria deliberazione (p. 3 del provvedimento impugnato);
ritenuto dunque che, a cospetto di tali logiche argomentazioni, con cui il ricorrente non si confronta in modo adeguatamente specifico, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) — di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 novembre 2023