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Continuazione tra reati: quando non è riconosciuta

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati per una truffa. La decisione si fonda sulla distanza temporale e sulle diverse modalità di esecuzione rispetto ai crimini precedenti, elementi che hanno dimostrato l’assenza di un medesimo disegno criminoso. Secondo la Corte, l’uso della stessa carta prepagata non è sufficiente a provare una programmazione unitaria, ma può indicare solo uno stile delinquenziale.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: la Cassazione chiarisce i limiti

La continuazione tra reati, disciplinata dall’articolo 81 del codice penale, è un istituto fondamentale che consente di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge, quando queste sono state commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 322/2025, offre un’analisi dettagliata dei criteri necessari per tale riconoscimento, specificando come non sia sufficiente una generica somiglianza tra i crimini. Questo caso, riguardante una serie di truffe, dimostra che la distanza temporale e le differenze nel modus operandi possono essere decisive per escludere l’unicità del piano criminale.

I fatti del caso: la richiesta di continuazione

Un soggetto, già condannato per una serie di truffe unificate dal vincolo della continuazione con un’ordinanza del Tribunale di Monza, presentava un’istanza al Tribunale di Grosseto. L’obiettivo era ottenere il riconoscimento della continuazione anche per un’ulteriore truffa, giudicata separatamente. La difesa sosteneva che questo reato, commesso il 1° giugno 2018, fosse legato ad altri delitti ‘satellite’ del gruppo originario, come una truffa consumata a Livorno il 30 maggio 2018, evidenziando anche l’utilizzo della medesima carta prepagata per l’accredito dei proventi illeciti.

Il Tribunale di Grosseto, in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva la richiesta. La sua valutazione si concentrava su due aspetti principali: la distanza temporale tra la truffa in esame e il reato più grave del gruppo originario (commesso ad aprile 2018) e la diversa modalità esecutiva, caratterizzata dal cambio della carta prepagata rispetto a quella usata per i primi reati. Secondo il giudice, questi elementi indicavano che il reato non era stato programmato fin dall’inizio insieme agli altri.

L’analisi della Corte sulla continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale di Grosseto, dichiarando il ricorso infondato. I giudici di legittimità hanno ribadito che per il riconoscimento della continuazione tra reati, anche in sede esecutiva, è necessaria una verifica approfondita di indicatori concreti. Tra questi figurano l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale, le modalità della condotta e, soprattutto, la prova che i reati successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, al momento della commissione del primo.

La Corte ha specificato che non basta collegare il nuovo reato a uno qualsiasi dei crimini già unificati. Il collegamento deve essere stabilito con il momento sintomatico della maturazione della volontà criminale unitaria, che solitamente coincide con la commissione del reato più grave. La tesi difensiva, che puntava sulla vicinanza temporale con reati ‘satellite’, è stata ritenuta irrilevante perché non dimostrava che la truffa di Grosseto rientrasse nel piano originario.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su un principio cardine: non ogni successione di reati, per quanto simili, integra automaticamente un medesimo disegno criminoso. La Corte ha sottolineato che l’esistenza di alcuni indici, come l’uso della stessa carta prepagata, non è di per sé sufficiente a provare la continuazione. Tale elemento, infatti, può essere semplicemente indicativo di uno ‘stile delinquenziale’ e non di una programmazione unitaria e specifica. Nel caso di specie, le differenze nel modus operandi e la distanza temporale dal nucleo originario del piano criminale sono stati considerati elementi prevalenti, idonei a dimostrare che la truffa di Grosseto fosse frutto di una determinazione estemporanea e non parte del progetto iniziale.

I giudici hanno chiarito che il ricorso si limitava a prospettare una lettura alternativa degli indicatori, senza però evidenziare vizi logici o giuridici nella decisione impugnata. Questo tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito è stato respinto, poiché esula dalle competenze della Corte di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione, non riesaminare i fatti.

Le conclusioni

La sentenza in esame rafforza un orientamento consolidato, ribadendo la necessità di una prova rigorosa del medesimo disegno criminoso per l’applicazione della continuazione. La decisione evidenzia che indicatori come la vicinanza temporale o l’uso di strumenti simili devono essere valutati nel contesto complessivo, ma non possono prevalere su elementi contrari, come un significativo scarto temporale rispetto al reato principale o un cambiamento nel modus operandi. Per i professionisti del diritto e per chiunque si trovi ad affrontare questioni simili, questa pronuncia serve come monito: la continuità criminale non si presume, ma deve essere provata attraverso elementi concreti che dimostrino una programmazione unitaria e antecedente a tutta la sequenza dei reati.

Quando si può chiedere il riconoscimento della continuazione tra reati?
Si può chiedere quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un unico piano criminale, ideato nelle sue linee essenziali prima della commissione del primo reato. È necessario dimostrare l’esistenza di questo piano unitario attraverso indicatori concreti.

La commissione di più reati simili in un breve periodo è sufficiente per ottenere la continuazione?
No, non è sufficiente. La sentenza chiarisce che la contiguità temporale e l’omogeneità dei reati sono solo alcuni degli indici da valutare. Se altri elementi, come le diverse modalità di esecuzione, suggeriscono che un reato sia frutto di una decisione estemporanea, la continuazione può essere esclusa.

Usare lo stesso strumento, come una carta di pagamento, per commettere più truffe, dimostra l’esistenza di un medesimo disegno criminoso?
Non necessariamente. Secondo la Corte, l’uso dello stesso strumento può essere semplicemente indicativo di uno ‘stile delinquenziale’ dell’autore del reato e non costituisce, da solo, una prova sufficiente della programmazione unitaria, soprattutto se altri fattori depongono in senso contrario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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