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Continuazione tra reati: quando non è applicabile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva l’unificazione di due pene per reati di riciclaggio. La Corte ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, stabilendo che la notevole distanza temporale, i luoghi diversi e le differenti modalità operative escludono l’esistenza di un unico disegno criminoso, requisito fondamentale per la continuazione tra reati. La somiglianza dei crimini commessi non è di per sé sufficiente.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: non basta commettere crimini simili

La continuazione tra reati, prevista dall’articolo 81 del codice penale, è un istituto fondamentale che consente di unificare più condanne sotto un’unica pena, a patto che i diversi crimini siano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Ma cosa succede quando i reati, sebbene dello stesso tipo, sono separati da un lungo lasso di tempo e commessi con modalità diverse? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 14988/2024) offre chiarimenti cruciali su questo punto, ribadendo i confini applicativi di questo istituto.

I Fatti del Caso

Il ricorrente aveva subito due distinte condanne definitive, entrambe per il reato di riciclaggio (art. 648-bis c.p.).

1. La prima condanna riguardava fatti commessi tra il 2011 e il 2012 in diverse località tra le province di Caserta e Napoli, con una pena di quattro anni di reclusione e 1.500 euro di multa.
2. La seconda condanna si riferiva a un episodio avvenuto in data prossima al 9 ottobre 2010 in un’altra località della provincia di Caserta, con una pena di tre anni di reclusione e 6.000 euro di multa.

L’interessato, tramite il suo difensore, aveva presentato un’istanza al Giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, chiedendo di unificare le pene in virtù di un presunto unico disegno criminoso. Il Tribunale, tuttavia, aveva respinto la richiesta.

L’analisi del Tribunale e i motivi del ricorso

Il Giudice dell’esecuzione aveva negato l’applicazione della continuazione, sottolineando che i fatti erano “slegati tra loro”. Secondo il giudice, gli elementi a disposizione non dimostravano un piano unitario, ma piuttosto indicavano “separate volizioni” e una “generale propensione alla delinquenza del condannato”. A sostegno di questa tesi, venivano evidenziati tre fattori principali:

* La notevole distanza temporale tra i fatti.
* La diversità dei luoghi in cui i reati erano stati commessi.
* Le differenti modalità operative adottate.

Insoddisfatto, il condannato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, il Tribunale aveva valorizzato eccessivamente la sola distanza temporale, trascurando la natura omogenea dei reati, che avrebbe dovuto essere un indice rivelatore dell’unicità del disegno criminoso.

La decisione della Cassazione sulla continuazione tra reati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del giudice di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che le argomentazioni della difesa costituivano “mere critiche versate in punto di fatto”, ovvero un tentativo di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione delle prove, cosa non consentita in sede di legittimità. Il ruolo della Cassazione, infatti, è limitato al controllo della corretta applicazione della legge e della logicità della motivazione, non a riesaminare i fatti.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale “logica, coerente e priva di spunti di contraddittorietà”. Il giudice dell’esecuzione aveva correttamente evidenziato che la semplice omogeneità dei reati non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Al contrario, la significativa distanza temporale, la diversità dei luoghi e delle modalità operative sono elementi fattuali che, logicamente, portano a concludere per l’esistenza di impulsi criminali separati e distinti nel tempo. La decisione impugnata, quindi, non presentava alcun vizio di legittimità e meritava di essere confermata.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato: per il riconoscimento della continuazione tra reati non basta che un soggetto commetta più volte lo stesso tipo di crimine. È necessario dimostrare, con elementi concreti, che tutte le condotte illecite erano parte di un unico programma deliberato ab origine. La distanza temporale, la diversità geografica e le differenti modalità di esecuzione sono indici potenti che possono, come in questo caso, smentire l’esistenza di un tale piano unitario, configurando piuttosto una generica tendenza a delinquere che si manifesta in episodi distinti e autonomi.

Quando è possibile applicare l’istituto della continuazione tra reati?
L’istituto si applica quando più reati sono commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario e deliberato fin dall’inizio. Non è sufficiente la semplice somiglianza o omogeneità dei reati commessi.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure mosse dal ricorrente erano critiche di fatto, che miravano a una nuova valutazione delle prove. Questo tipo di analisi è precluso in sede di legittimità, dove la Corte si limita a controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Quali elementi sono stati considerati decisivi per escludere il disegno criminoso unico?
Gli elementi decisivi, secondo la Corte, sono stati: la notevole distanza temporale tra i fatti, la diversità dei luoghi in cui i reati sono stati commessi e le differenti modalità operative. Questi fattori indicavano l’esistenza di separate volizioni criminali piuttosto che un unico piano.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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