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Continuazione tra reati: quando non è applicabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La Corte ha stabilito che la disomogeneità nell’esecuzione dei delitti e l’ampio arco temporale (2002-2006) in cui sono stati commessi escludono l’esistenza di un unico disegno criminoso, elemento essenziale per l’applicazione dell’istituto. La reiterazione dei crimini, in questo caso, è stata interpretata non come continuazione, ma come espressione di una tendenza a delinquere.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la semplice ripetizione non basta

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un’importante applicazione del principio del favor rei. Esso consente di unificare, ai fini della pena, più condotte criminose commesse in esecuzione di un medesimo disegno, evitando così un cumulo di pene eccessivamente gravoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di questo istituto, sottolineando come la semplice reiterazione di condotte illecite, seppur ripetute nel tempo, non sia sufficiente a integrare la continuazione.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte trae origine dal ricorso di un individuo condannato con sentenze definitive per reati commessi in un arco temporale compreso tra il 2002 e il 2006. L’interessato aveva richiesto alla Corte d’Appello di riconoscere il vincolo della continuazione tra i diversi reati per cui era stato giudicato, al fine di ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole. La Corte d’Appello aveva però respinto la richiesta, ritenendo che mancasse il presupposto fondamentale dell’unico disegno criminoso. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla Continuazione tra Reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Secondo gli Ermellini, i reati oggetto delle diverse condanne non potevano essere ricondotti a una programmazione unitaria. Gli elementi che hanno portato a questa conclusione sono stati principalmente due: l’ampiezza dell’arco temporale in cui i reati sono stati commessi (quattro anni) e la ‘disomogeneità esecutiva’ delle condotte, ovvero le differenze nelle modalità di commissione dei delitti. Questi fattori impedivano di ritenere dimostrata un’originaria e unica progettazione dei comportamenti criminosi.

Le Motivazioni: Differenza tra Continuazione e Stile di Vita Criminoso

Il cuore della motivazione della Corte risiede nella netta distinzione tra il concetto di continuazione tra reati e quello di una generica propensione al crimine. I giudici hanno chiarito che la reiterazione di condotte illecite non può essere automaticamente interpretata come espressione di un unico programma di vita improntato al crimine. Anzi, proprio questa tendenza a delinquere viene sanzionata da altri istituti del diritto penale, come la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato. Questi istituti operano secondo un parametro opposto a quello della continuazione: mentre quest’ultima si basa sul favor rei, gli altri mirano a sanzionare più aspramente la persistenza nel comportamento criminale. La Corte ha evidenziato come le sentenze in esame si riferissero a ‘tre distinti programmi autoconclusivi’, escludendo così la possibilità di unificarli sotto un unico disegno criminoso.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento della continuazione, non è sufficiente dimostrare di aver commesso più reati. È necessario provare l’esistenza di un’unica ideazione originaria che leghi tutte le condotte illecite. In assenza di tale prova, specialmente di fronte a reati commessi in un lungo periodo e con modalità diverse, la richiesta di applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen. è destinata a essere respinta. La semplice ripetizione di atti criminali, infatti, delinea piuttosto un profilo di pericolosità sociale che il legislatore ha scelto di affrontare con strumenti diversi e più severi rispetto al beneficio della continuazione.

Quando può essere esclusa l’applicazione della continuazione tra reati?
La continuazione può essere esclusa quando manca la prova di un medesimo disegno criminoso. Indici di questa mancanza sono, come nel caso di specie, un ampio arco temporale tra i reati e una significativa differenza nelle modalità di esecuzione (disomogeneità esecutiva).

La ripetizione di più reati nel tempo è sufficiente per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera reiterazione delle condotte illecite non è di per sé sufficiente. Anzi, può essere considerata espressione di una tendenza a delinquere, sanzionata da istituti diversi e più afflittivi come la recidiva o l’abitualità nel reato.

Qual è la differenza fondamentale tra ‘continuazione’ e ‘abitualità’ nel reato?
La continuazione presuppone un’unica programmazione iniziale che lega tutti i reati commessi, ed è un istituto basato sul favore per il reo (favor rei). L’abitualità, la recidiva e la professionalità nel reato, invece, sanzionano uno stile di vita orientato al crimine e rappresentano una circostanza aggravante, operando secondo una logica opposta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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