Continuazione tra reati: oltre il tempo, contano modus operandi e occasione
La continuazione tra reati è un istituto fondamentale del nostro diritto penale, che consente di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più illeciti in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito quali sono gli elementi chiave, oltre alla distanza temporale, per escludere la sussistenza di un’unitaria ideazione criminosa.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto condannato per diversi reati in separati procedimenti. L’interessato si era rivolto al Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Palermo chiedendo il riconoscimento della continuazione tra reati, al fine di ottenere una pena complessiva più favorevole. Il Tribunale aveva rigettato l’istanza, ritenendo insussistente un unico disegno criminoso a collegare i vari episodi delittuosi. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il giudice di merito avesse errato nel considerare la sola distanza temporale tra i fatti come elemento decisivo per escludere l’unicità del piano criminale.
La Decisione della Corte di Cassazione e i Limiti alla Continuazione tra Reati
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici supremi hanno confermato la correttezza del ragionamento del Tribunale, sottolineando come la decisione fosse in linea con la consolidata giurisprudenza. La Corte ha ricordato un principio fondamentale: nel caso di reati commessi a notevole distanza temporale l’uno dall’altro, si presume, fino a prova contraria, l’assenza di un’unica programmazione iniziale. Spetta quindi alla difesa fornire elementi concreti per superare tale presunzione.
Le Motivazioni: I Criteri per Escludere il Disegno Criminoso
La Corte ha evidenziato che il Giudice dell’esecuzione non si è limitato a considerare il solo fattore tempo, ma ha fondato la sua decisione su un’analisi complessiva basata su tre pilastri argomentativi decisivi.
La Distanza Temporale
Il primo elemento valorizzato è stato il considerevole lasso di tempo intercorso tra i gruppi di reati, superiore a un anno e sei mesi. Un intervallo così ampio rende poco plausibile che tutti i delitti fossero stati programmati sin dall’inizio in un unico piano deliberato. Come affermato dalla giurisprudenza, è difficile presumere che una persona possa progettare specificamente reati da compiere a così lunga distanza.
La Diversità del Modus Operandi
Un secondo fattore cruciale è stata la differenza nelle modalità di esecuzione dei reati. I primi episodi di ricettazione erano stati commessi in concorso con un complice, il quale era però risultato completamente estraneo ai fatti oggetto della seconda sentenza. Questa variazione nel modus operandi è stata interpretata come un forte indicatore della mancanza di un piano unitario e prestabilito.
La Natura Occasionale e Contingente del Reato
Infine, il Tribunale ha correttamente osservato che l’ultimo reato giudicato non appariva come l’attuazione di un piano preordinato, ma piuttosto come l’espressione di una ‘pulsione contingente’. In altre parole, il reato era sorto da circostanze occasionali ed estemporanee. In assenza di prove specifiche fornite dalla difesa, queste condotte sono state ricondotte a una generica tendenza del soggetto a delinquere, che è un concetto ben distinto dal ‘medesimo disegno criminoso’ richiesto per la continuazione tra reati.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. Anzitutto, riafferma che la notevole distanza temporale tra i reati genera una presunzione di assenza di continuazione, che deve essere superata con prove concrete. In secondo luogo, chiarisce che elementi come la diversità dei complici e delle modalità esecutive sono indizi forti contro l’esistenza di un piano unitario. Infine, distingue nettamente la generica propensione a delinquere, che si manifesta in reati occasionali, dalla specifica e premeditata programmazione di una serie di illeciti, unica condizione che legittima l’applicazione del più favorevole istituto della continuazione.
La sola distanza temporale tra due reati è sufficiente per escludere la continuazione?
No, non da sola, ma secondo la Corte crea una presunzione contraria alla continuazione. In caso di reati commessi a notevole distanza temporale, si presume, salvo prova contraria, che non vi fosse un unico disegno criminoso. L’onere di dimostrare l’esistenza del piano unitario ricade quindi sulla difesa.
Quali altri elementi, oltre al tempo, ha considerato la Corte per negare il disegno criminoso?
La Corte ha ritenuto decisivi altri due elementi: la diversità del modus operandi (i primi reati erano stati commessi con un complice, assente nel secondo episodio) e la natura occasionale e contingente dell’ultimo reato, considerato frutto di una pulsione estemporanea e non parte di un piano preordinato.
Una generica tendenza a delinquere può essere considerata un ‘disegno criminoso’ ai fini della continuazione?
No. La Corte ha specificato che, in assenza di prove concrete, le condotte sono state correttamente attribuite a una generica tendenza del ricorrente a commettere reati, concetto che non va confuso con l’unitaria e anticipata ideazione criminosa richiesta per l’applicazione dell’istituto della continuazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34224 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34224 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2025
SETTIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Palermo il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 04/04/2025 del Tribunale di Palermo dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo, con la quale il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la sua istanza, intesa al riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione a reati separatamente giudicati in sede di cognizione e, nell’unico motivo deduce che il giudice a quo avrebbe reso una motivazione insoddisfacente in punto di insussistenza dell’unicità di disegno criminoso, trascurando che la distanza temporale tra i fatti oggetto delle sentenze non Ł da sola sufficiente a escludere l’unitaria anticipata ideazione criminosa;
rilevato che il ricorso Ł manifestamente infondato poichØ deduce enunciati ermeneutici in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel «caso di reati commessi adistanzatemporalel’uno dell’altro, si deve presumere, salvo prova contraria, che la commissione d’ulteriori fatti, anche analoghi per modalità e nomen juris, non poteva essere progettata specificamente al momento di commissione del fatto originario, e deve quindi negarsi la sussistenza dellacontinuazione» (Cass. Sez. 4, n. 34756 del 17/052012, Madonia, Rv. 253664; Sez. 1, 3747 del 16/01/2009, Gargiulo Rv. 242537);
rilevato che, nel caso di specie, il Giudice dell’esecuzione ha fatto buon governo di tale principio e, pur rilevando che si tratta di reati omogenei, ha utilizzato, quali elementi decisivi per escludere la continuazione, la distanza temporale (di oltre un anno e sei mesi), la diversità del modus operandi (nei reati di cui alla prima sentenza le ricettazioni sono state commesse in concorso con un complice, invece estraneo ai fatti della seconda sentenza) e la circostanza che il reato da ultimo giudicato costituiva espressione di una pulsione contingente, insorta in circostanze occasionali ed estemporanee, sicchØ in assenza di specifiche allegazioni della difesa,le condotte dovevano essere ascritte a una generica tendenza del ricorrente a porre in essere reati;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una
– Relatore –
Ord. n. sez. 13215/2025
CC – 25/09/2025
R.G.N. 17424/2025
somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così Ł deciso, 25/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME