Continuazione tra Reati: I Limiti del Ricorso in Cassazione
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un elemento cruciale nel diritto penale esecutivo, consentendo di unificare sotto un’unica pena più condotte criminose legate da un medesimo disegno. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda i rigorosi limiti procedurali per far valere tale istituto, soprattutto in sede di legittimità. La Suprema Corte ha infatti dichiarato inammissibile un ricorso che, di fatto, chiedeva una nuova valutazione delle prove, un’attività preclusa ai giudici di Cassazione.
Il Caso in Esame: La Richiesta Rigettata in Appello
La vicenda trae origine dalla richiesta di un condannato, presentata alla Corte di Appello in funzione di giudice dell’esecuzione. L’istanza mirava a ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra diversi reati per i quali era stata pronunciata condanna. L’obiettivo era, evidentemente, ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole, unificando le pene sotto la disciplina del reato più grave aumentato fino al triplo.
La Corte di Appello, dopo aver esaminato il caso, ha respinto la richiesta, non ravvisando gli elementi necessari per configurare un’unica ideazione criminosa alla base delle diverse condotte.
Il Ricorso in Cassazione e i Limiti di Valutazione
Contro l’ordinanza sfavorevole, il condannato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, il giudice dell’esecuzione non avrebbe valutato correttamente gli elementi a sostegno della richiesta di applicazione della continuazione tra reati.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una chiara lezione sui confini del proprio giudizio. I giudici supremi hanno sottolineato come il giudice dell’esecuzione avesse già esaminato in modo completo i profili dei fatti oggetto dei diversi giudizi. In tale analisi, non erano emersi “concreti indicatori di ricorrenza della comune ideazione”.
L’elemento centrale della decisione risiede nella natura delle critiche mosse dal ricorrente. Queste, secondo la Corte, non denunciavano un reale errore di diritto (come un’errata interpretazione della norma sulla continuazione) o un vizio logico manifesto della motivazione. Al contrario, si risolvevano in una “richiesta di rivalutazione in fatto”, ovvero un tentativo di ottenere dalla Cassazione un nuovo e diverso giudizio sulle prove e sugli elementi già vagliati dal giudice di merito. Tale attività è espressamente vietata in sede di legittimità, il cui compito è verificare la corretta applicazione del diritto, non ricostruire i fatti.
Le Conclusioni: Inammissibilità e Conseguenze
La conseguenza diretta della dichiarazione di inammissibilità è la condanna del ricorrente, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale. Egli è stato obbligato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione viene applicata in assenza di elementi che possano escludere la colpa del ricorrente nel proporre un ricorso palesemente infondato.
La pronuncia ribadisce un principio fondamentale: chi si rivolge alla Corte di Cassazione deve articolare censure specifiche sulla violazione di norme o sulla manifesta illogicità della motivazione, senza sperare in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, è indispensabile fornire al giudice dell’esecuzione prove concrete e univoche del medesimo disegno criminoso, poiché la valutazione di tali prove non potrà essere rimessa in discussione davanti alla Suprema Corte.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Pertanto, un ricorso che si limita a chiedere una nuova valutazione dei fatti, senza indicare specifici errori di diritto, è inammissibile.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Cosa deve dimostrare un ricorso per cassazione per contestare il diniego della continuazione tra reati?
Un ricorso per cassazione deve evidenziare un vizio di legge o un difetto di motivazione nell’ordinanza impugnata. Non può limitarsi a criticare la valutazione dei fatti compiuta dal giudice dell’esecuzione, ma deve dimostrare che il giudice ha applicato la legge in modo errato o che la sua motivazione era illogica o assente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5281 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5281 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MARINA DI GIOIOSA IONICA il 12/04/1966
avverso l’ordinanza del 09/05/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza emessa in data 9 maggio 2023 la Corte di Appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza introdott NOMECOGNOME tesa ad ottenere il riconoscimento della continuazione.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – NOME NOME deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti.
Ed invero, il giudice della esecuzione ha compiutamente esaminato i profili dei f oggetto dei diversi giudizi, non ravvisando concreti indicatori di ricorrenza comune ideazione tra le diverse condotte e la critica si risolve in una richie rivalutazione in fatto, non consentita in sede di legittimità
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue di diritto la condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibili al versamento a favore della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. pr pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 14 novembre 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente