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Continuazione tra reati: quando il ricorso è generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della continuazione tra reati. L’inammissibilità è stata motivata dalla genericità del ricorso, che si limitava a proporre una diversa valutazione dei fatti già esaminati dal giudice dell’esecuzione, senza evidenziare vizi di legge. La Corte ha ribadito che la prova di un medesimo disegno criminoso non può basarsi su indici generici, ma deve dimostrare una programmazione unitaria antecedente al primo reato.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un importante strumento di mitigazione della pena, ma la sua applicazione richiede una prova rigorosa. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini entro cui un ricorso volto a ottenerne il riconoscimento può essere esaminato, dichiarandolo inammissibile se si limita a una generica rilettura dei fatti senza contestare specifici errori di diritto. Analizziamo insieme questa decisione per capire meglio i requisiti richiesti.

I Fatti del Caso

Un soggetto, già condannato con due sentenze irrevocabili, presentava un’istanza al Tribunale, in qualità di giudice dell’esecuzione, per ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione tra reati. L’obiettivo era unificare le pene inflitte, sostenendo che i diversi reati commessi fossero parte di un unico progetto criminoso.

Il Tribunale rigettava la richiesta. Secondo il giudice, nonostante la parziale somiglianza delle norme violate e la vicinanza geografica dei luoghi dei delitti, non era stata fornita la prova di un “medesimo disegno criminoso”. Al contrario, la lunga storia criminale del ricorrente, con precedenti penali risalenti al 1995, indicava una generale propensione alla devianza piuttosto che un piano unitario e preordinato. I reati, quindi, apparivano come il frutto di decisioni estemporanee e contingenti.

Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende. La decisione del Tribunale è stata quindi confermata.

Le Motivazioni della Decisione e la Prova della Continuazione tra Reati

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su un principio cardine del processo penale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Non si può chiedere alla Suprema Corte di rivalutare i fatti e le prove già esaminati dai giudici precedenti.

Le motivazioni dell’ordinanza si concentrano su due aspetti fondamentali:

1. La necessità di un piano preordinato: La Corte, richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite, ha sottolineato che per riconoscere la continuazione tra reati non basta la presenza di alcuni indici (come la vicinanza temporale o la somiglianza dei reati). È indispensabile dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Una semplice inclinazione a delinquere non costituisce un “medesimo disegno criminoso”.

2. La genericità del ricorso: Il motivo principale dell’inammissibilità risiede nella natura del ricorso presentato. Secondo la Corte, l’atto era generico e apodittico. Invece di contestare specifici errori di diritto o vizi logici nella motivazione del Tribunale, il ricorrente si era limitato a indicare nuovamente gli stessi indici (o altri simili) chiedendo alla Cassazione di attribuirvi un significato diverso. Questo equivale a sollecitare una “non consentita rilettura degli elementi di fatto”, un’operazione preclusa al giudice di legittimità.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa pronuncia offre un’importante lezione pratica: chi intende impugnare in Cassazione un provvedimento che nega la continuazione tra reati deve strutturare il ricorso in modo rigoroso. Non è sufficiente esprimere disaccordo con la valutazione del giudice di merito. È necessario, invece, individuare e argomentare in modo specifico le eventuali violazioni di legge o i difetti manifesti di logica nella motivazione dell’ordinanza impugnata. In assenza di tali elementi, il ricorso è destinato a essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

Cosa si deve dimostrare per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati?
È necessario provare l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso”, ovvero che i reati successivi al primo fossero già stati programmati nelle loro linee essenziali prima della commissione del primo fatto, non essendo sufficiente una generica propensione a delinquere.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico. Invece di contestare specifici errori di diritto, si limitava a sollecitare una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati dal giudice dell’esecuzione, attività non consentita in sede di legittimità.

Una lunga storia criminale può impedire il riconoscimento della continuazione?
Sì, nel caso specifico, la Corte ha considerato i numerosi precedenti penali del ricorrente come un indice di una generale propensione alla devianza e di una commissione dei reati in modo contingente, piuttosto che come l’attuazione di un piano criminoso unitario e preordinato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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