La Continuazione tra Reati: Quando la Distanza Temporale Esclude il Disegno Criminoso
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, volto a mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un unico piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri necessari per riconoscere un “medesimo disegno criminoso”, sottolineando come la distanza temporale e la diversità dei reati possano essere ostacoli insormontabili. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso in Analisi
Un soggetto, condannato con tre diverse sentenze, presentava un’istanza alla Corte d’appello per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati diversi. In particolare, i reati in questione erano:
1. Peculato, commesso in un arco temporale dal 2006 al 2013.
2. Associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), dal 2009 al 2018.
3. Un illecito elettorale (art. 86 d.P.R. 570/1960), commesso nel 2012.
La Corte d’appello accoglieva solo parzialmente la richiesta, unificando il reato associativo e quello elettorale, ma escludendo il delitto di peculato. La ragione del rigetto risiedeva nell’assenza di un unico disegno criminoso tra il peculato e gli altri reati, a causa della loro eterogeneità e della significativa distanza temporale: il peculato era iniziato nel 2006, ben prima che l’imputato risultasse stabilmente inserito nel sodalizio mafioso.
L’imputato proponeva quindi ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’appello avesse errato, non considerando altri elementi indicativi di un piano unitario, come il fatto che tutti i reati fossero emersi dalla stessa indagine e che il peculato fosse stato commesso per agevolare l’associazione criminale.
La Decisione della Corte di Cassazione sulla continuazione tra reati
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e manifestamente infondato, confermando la decisione della Corte d’appello. I giudici di legittimità hanno ribadito che il riconoscimento della continuazione tra reati, anche in fase esecutiva, richiede un’analisi approfondita e la sussistenza di concreti indicatori.
Le Motivazioni della Corte
La Corte ha fondato la sua decisione sui principi consolidati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite. Per poter affermare l’esistenza di un unico disegno criminoso, non è sufficiente individuare un generico collegamento tra i reati, ma è necessario provare che, al momento della commissione del primo illecito, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Gli indicatori da valutare sono molteplici:
* Omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* Contiguità spazio-temporale tra le condotte.
* Modalità della condotta e sistematicità delle abitudini di vita.
* Unicità delle causali che hanno spinto all’azione.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la valutazione dei giudici di merito fosse stata logica e corretta. L’eterogeneità tra il delitto di peculato (un reato contro la Pubblica Amministrazione) e quello di associazione mafiosa (un reato contro l’ordine pubblico) era palese. Inoltre, la notevole distanza temporale tra l’inizio del primo reato (2006) e l’inizio della partecipazione all’associazione (2009) rendeva “non credibile” l’ipotesi di una programmazione unitaria fin dall’origine.
Un passaggio cruciale della motivazione riguarda la distinzione tra la mera “agevolazione” di un’associazione mafiosa, compiuta rimanendo estranei ad essa, e la successiva decisione di “entrare a farne parte”. Queste due condotte, secondo la Corte, non possono essere ricondotte a una medesima causale, rappresentando scelte criminali distinte e autonome, che interrompono l’unicità del disegno criminoso.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale: la continuazione tra reati non è un beneficio concesso con leggerezza. La difesa deve fornire prove concrete e convincenti dell’esistenza di un piano criminoso unitario e preordinato. La semplice connessione investigativa o un generico fine di agevolazione non sono sufficienti a superare elementi contrari come la diversità della natura dei reati e una significativa distanza temporale. La decisione sottolinea la necessità di un’analisi rigorosa caso per caso, escludendo automatismi e valorizzando la logica e la credibilità della ricostruzione fattuale.
È sufficiente che più reati siano stati accertati nella stessa indagine per ottenere la continuazione?
No. Secondo la Corte, il fatto che i reati emergano dalla medesima indagine è solo uno degli indici da valutare, ma da solo non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso preordinato.
La continuazione tra reati può essere riconosciuta se c’è una grande distanza di tempo tra i crimini?
È molto difficile. La Corte ha ritenuto ‘non credibile’ che un reato iniziato nel 2006 fosse parte di un piano che includeva l’adesione a un’associazione criminale tre anni dopo. La distanza temporale è un forte indicatore contrario all’unicità del disegno criminoso.
Quali sono i criteri principali per riconoscere la continuazione tra reati?
I criteri fondamentali, come ribadito dalla Cassazione, includono: l’omogeneità delle violazioni, la contiguità di tempo e luogo, le modalità della condotta, le causali, e soprattutto la prova che al momento del primo reato i successivi fossero già stati programmati almeno nelle linee essenziali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9082 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9082 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il 03/02/1974
avverso l’ordinanza del 26/06/2024 della Corte d’appello di Palermo
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN . DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza con cui la Corte di appello di Brescia, in data 26 giugno 2024, ha accolto parzialmente la sua richiesta di applicare l’istituto della continuazione tra i reati giudicati con tre diverse sentenze, dichiarando uniti per continuazione il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso dal 2009 al 26/11/2018 e quello di cui all’art. 86 d.P.R. n. 570/1960 commesso nel maggio 2012, ricalcolando la pena complessiva in undici anni e due mesi di reclusione, e respingendo invece la richiesta in relazione al delitto di peculato commesso dal 23/01/2006 al 04/10/2013, ritenendo non ravvisabile per quest’ultimo una unicità di disegno criminoso rispetto agli altri reati, stante la sua eterogeneità e la sua commissione a partire da un’epoca in cui il COGNOME non era stabilmente inserito nella consorteria mafiosa;
rilevato che il ricorrente deduce, con due motivi, la violazione di legge e il vizio di motivazione, per avere il giudice negato il riconoscimento della continuazione in relazione al delitto di peculato sulla base della sua non omogeneità con gli altri reati e dell’asserita distanza temporale, senza tenere conto degli altri indici sintomatici della unicità di disegno criminoso, quali il fatto che tutti i reati sono stati accertati nell’ambito della medesima indagine, che il reato associativo e quello di peculato sono stati commessi in concorso con il medesimo complice, e che anche quest’ultimo reato è stato commesso al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Cosa Nostra, e in un’epoca temporalmente prossima al delitto associativo, non essendo richiesta la piena coincidenza temporale ai fini del riconoscimento della continuazione;
ritenuto che il ricorso sia manifestamente infondato, in quanto l’ordinanza impugnata si è conformata al principio stabilito da questa Corte, secondo cui «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea. » (Sez. U, n. 28659
del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), ed ha valutato approfonditamente la insussistenza degli indici rivelatori costituiti dalla omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità temporale, le modalità della condotta, deducendo logicamente, da tale insussistenza, la non configurabilità di un unico disegno criminoso, risultando non credibile che sin dalla commissione del primo reato, iniziata nel 2006, egli avesse programmato di commettere il reato associativo, ben tre anni più tardi, non potendo neppure ravvisarsi una medesima causale tra la mera agevolazione di un’associazione mafiosa, compiuta rimanendo estraneo ad essa, e la decisione di entrare a farne parte;
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 febbraio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente