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Continuazione tra reati: quando è esclusa?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La richiesta è stata respinta perché le rapine, commesse a distanza di otto mesi, con complici diversi e modalità operative disomogenee, non potevano essere ricondotte a un unico disegno criminoso iniziale, requisito fondamentale per l’applicazione del beneficio.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: non basta la serialità, serve un piano unico

Con l’ordinanza n. 22778/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui requisiti per il riconoscimento della continuazione tra reati, un istituto fondamentale del diritto penale che consente di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più illeciti in esecuzione di un unico piano. La Corte ha stabilito che la mera successione di crimini, anche della stessa natura, non è sufficiente a integrare questo beneficio se mancano prove concrete di un’originaria e unitaria programmazione. Analizziamo insieme la decisione.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un soggetto condannato con sentenze definitive per diversi reati di rapina. L’interessato aveva presentato un’istanza alla Corte d’Appello per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra questi reati, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, al fine di ottenere una rideterminazione della pena complessiva.

I reati in questione erano nettamente distinti:
1. Una rapina di ingente valore (oltre 68.000 euro) commessa in una sala bingo insieme a tre complici nel giugno 2019.
2. Due rapine di valore modesto ai danni di supermercati, avvenute otto mesi dopo, commesse insieme a un solo complice, diverso dai precedenti.

La Corte d’Appello aveva già respinto la richiesta, ma il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’illogica motivazione e un’errata applicazione della legge.

La Decisione della Corte e il concetto di continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno ribadito che il ricorso si limitava a proporre una lettura alternativa degli elementi già correttamente valutati, senza evidenziare vizi logici o giuridici nella motivazione del provvedimento impugnato.

Il punto centrale della decisione è la mancanza di prova dell’unicità del disegno criminoso. Per aversi continuazione tra reati, non è sufficiente che un soggetto commetta più crimini, ma è necessario dimostrare che tutti questi crimini fossero stati programmati ab origine, in un unico progetto deliberato prima della commissione del primo reato.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato in modo dettagliato perché, nel caso di specie, non fosse possibile riconoscere un unico disegno criminoso. Gli elementi di disomogeneità tra i fatti erano troppo marcati per essere ignorati:

* Distanza temporale: Un intervallo di otto mesi tra la prima rapina e le successive è stato ritenuto significativo e indicativo di una possibile interruzione o della nascita di nuove, distinte risoluzioni criminali.
* Diversità dei complici: La partecipazione di soggetti diversi nelle due serie di rapine è un forte indizio contro l’esistenza di un piano unitario iniziale.
* Modalità operative e obiettivi: La prima rapina, contro una sala bingo e per un bottino elevato, presentava caratteristiche di pianificazione e complessità esecutiva diverse dalle successive, più semplici e dirette a supermercati per importi modesti.

La Cassazione ha inoltre affrontato un importante principio di diritto: il favor rei. Sebbene questo principio imponga di scegliere l’interpretazione più favorevole all’imputato in caso di dubbio, non può essere invocato per creare la prova di un disegno criminoso che non esiste. Il riconoscimento della continuazione, infatti, incide sulla certezza del giudicato, e non può basarsi su una mera supposizione o su un dubbio. L’onere di dimostrare l’esistenza del piano unitario grava su chi lo invoca.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza un orientamento consolidato della giurisprudenza: la continuazione tra reati è un beneficio che richiede una prova rigorosa e non può essere concesso sulla base di semplici congetture. La decisione sottolinea che l’analisi deve essere concreta e basata su indicatori oggettivi come la prossimità temporale, l’omogeneità delle condotte, le modalità esecutive e il contesto. In assenza di elementi che dimostrino un’unica programmazione iniziale, i reati restano distinti e vengono sanzionati autonomamente, senza la mitigazione prevista dall’art. 81 c.p. La certezza del diritto e la stabilità del giudicato prevalgono su un’applicazione estensiva e non provata del favor rei.

Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione tra reati si applica quando è dimostrato che più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario programmato prima della commissione del primo reato.

Perché in questo caso specifico la Corte ha escluso la continuazione tra reati?
La Corte l’ha esclusa perché le rapine erano troppo diverse tra loro: la prima, di grande valore, fu commessa con tre complici; le altre, avvenute otto mesi dopo, erano di modesto valore e con un complice diverso. Questa disomogeneità nelle modalità, nei tempi e nei partecipanti ha reso impossibile ricondurle a un unico piano iniziale.

Il principio del “favor rei” (il favore verso l’imputato) può giustificare il riconoscimento della continuazione in caso di dubbio?
No. Secondo la Corte, il principio del “favor rei” non può essere utilizzato per presumere l’esistenza di un disegno criminoso unitario quando mancano le prove. Il riconoscimento della continuazione incide sulla certezza di una sentenza già definitiva e non può basarsi su un semplice dubbio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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