Continuazione tra reati: non basta la serialità, serve un piano unico
Con l’ordinanza n. 22778/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui requisiti per il riconoscimento della continuazione tra reati, un istituto fondamentale del diritto penale che consente di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più illeciti in esecuzione di un unico piano. La Corte ha stabilito che la mera successione di crimini, anche della stessa natura, non è sufficiente a integrare questo beneficio se mancano prove concrete di un’originaria e unitaria programmazione. Analizziamo insieme la decisione.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un soggetto condannato con sentenze definitive per diversi reati di rapina. L’interessato aveva presentato un’istanza alla Corte d’Appello per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra questi reati, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, al fine di ottenere una rideterminazione della pena complessiva.
I reati in questione erano nettamente distinti:
1. Una rapina di ingente valore (oltre 68.000 euro) commessa in una sala bingo insieme a tre complici nel giugno 2019.
2. Due rapine di valore modesto ai danni di supermercati, avvenute otto mesi dopo, commesse insieme a un solo complice, diverso dai precedenti.
La Corte d’Appello aveva già respinto la richiesta, ma il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’illogica motivazione e un’errata applicazione della legge.
La Decisione della Corte e il concetto di continuazione tra reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. I giudici supremi hanno ribadito che il ricorso si limitava a proporre una lettura alternativa degli elementi già correttamente valutati, senza evidenziare vizi logici o giuridici nella motivazione del provvedimento impugnato.
Il punto centrale della decisione è la mancanza di prova dell’unicità del disegno criminoso. Per aversi continuazione tra reati, non è sufficiente che un soggetto commetta più crimini, ma è necessario dimostrare che tutti questi crimini fossero stati programmati ab origine, in un unico progetto deliberato prima della commissione del primo reato.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato in modo dettagliato perché, nel caso di specie, non fosse possibile riconoscere un unico disegno criminoso. Gli elementi di disomogeneità tra i fatti erano troppo marcati per essere ignorati:
* Distanza temporale: Un intervallo di otto mesi tra la prima rapina e le successive è stato ritenuto significativo e indicativo di una possibile interruzione o della nascita di nuove, distinte risoluzioni criminali.
* Diversità dei complici: La partecipazione di soggetti diversi nelle due serie di rapine è un forte indizio contro l’esistenza di un piano unitario iniziale.
* Modalità operative e obiettivi: La prima rapina, contro una sala bingo e per un bottino elevato, presentava caratteristiche di pianificazione e complessità esecutiva diverse dalle successive, più semplici e dirette a supermercati per importi modesti.
La Cassazione ha inoltre affrontato un importante principio di diritto: il favor rei. Sebbene questo principio imponga di scegliere l’interpretazione più favorevole all’imputato in caso di dubbio, non può essere invocato per creare la prova di un disegno criminoso che non esiste. Il riconoscimento della continuazione, infatti, incide sulla certezza del giudicato, e non può basarsi su una mera supposizione o su un dubbio. L’onere di dimostrare l’esistenza del piano unitario grava su chi lo invoca.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento rafforza un orientamento consolidato della giurisprudenza: la continuazione tra reati è un beneficio che richiede una prova rigorosa e non può essere concesso sulla base di semplici congetture. La decisione sottolinea che l’analisi deve essere concreta e basata su indicatori oggettivi come la prossimità temporale, l’omogeneità delle condotte, le modalità esecutive e il contesto. In assenza di elementi che dimostrino un’unica programmazione iniziale, i reati restano distinti e vengono sanzionati autonomamente, senza la mitigazione prevista dall’art. 81 c.p. La certezza del diritto e la stabilità del giudicato prevalgono su un’applicazione estensiva e non provata del favor rei.
Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione tra reati si applica quando è dimostrato che più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario programmato prima della commissione del primo reato.
Perché in questo caso specifico la Corte ha escluso la continuazione tra reati?
La Corte l’ha esclusa perché le rapine erano troppo diverse tra loro: la prima, di grande valore, fu commessa con tre complici; le altre, avvenute otto mesi dopo, erano di modesto valore e con un complice diverso. Questa disomogeneità nelle modalità, nei tempi e nei partecipanti ha reso impossibile ricondurle a un unico piano iniziale.
Il principio del “favor rei” (il favore verso l’imputato) può giustificare il riconoscimento della continuazione in caso di dubbio?
No. Secondo la Corte, il principio del “favor rei” non può essere utilizzato per presumere l’esistenza di un disegno criminoso unitario quando mancano le prove. Il riconoscimento della continuazione incide sulla certezza di una sentenza già definitiva e non può basarsi su un semplice dubbio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22778 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22778 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 19/12/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 19 dicembre 2023, con la quale la Corte di appello di Palermo rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai delitti giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato.
Ritenuto che, con due motivi strettamente connessi, il primo in ordine all’omessa o comunque illogica motivazione e il secondo relativo ad erronea applicazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., si formulano generiche censure, evocando principi e criteri valutativi generali, e si propone un’alternativa lettura degli elementi già compiutamente valutati dal giudice dell’esecuzione con adeguata motivazione, immune da fratture logiche e rispettosa delle risultanze;
che la Corte di appello di Palermo ha specificamente motivato sugli indicatori dell’unicità del disegno criminoso e soprattutto sul fatto che non vi erano elementi idonei a dimostrare che la rapina ai danni del Big Bingo del 10.06.2019, commessa con altre tre persone e per un importo di C 68.390,07, e le due rapine ai danni di due supermercati avvenute otto mesi dopo, commesse insieme ad un altro soggetto diverso dai complici de quella precedente, per importi assai modesti, così disomogenee nelle modalità di pianificazione e di esecuzioni e negli obiettivi, fossero state oggetto di preordinato disegno antecedente al giugno 2019;
che doveva quindi ritenersi indimostrata, alla luce della costante giurisprudenza, l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio (tra le altre, Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008) e l’accertamento dell’identità del disegno criminoso non può essere suffragato dal dubbio sulla sua esistenza, in ossequio al principio del “favor rei”, in quanto il riconoscimento della continuazione tra reati incide sulla certezza del giudicato in relazione al profilo della irrogazione della pena (Sez. 1, n. 30977 del 26/06/2019)
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 maggio 2024
Il nsigliere estensore