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Continuazione tra reati: prova del disegno criminoso

Un soggetto condannato per reati commessi a più di dieci anni di distanza ha richiesto il riconoscimento della continuazione tra reati. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Secondo la Corte, l’enorme distanza temporale, la diversità dei gruppi criminali e delle competenze territoriali sono elementi che escludono la sussistenza di un medesimo disegno criminoso originario, necessario per applicare l’istituto.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: La Prova del Disegno Criminoso Unico

L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, consentendo di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22773/2024, è tornata a pronunciarsi sui rigidi criteri necessari per dimostrare tale unicità di progetto, soprattutto quando i reati sono separati da un lungo arco temporale. La decisione sottolinea come non basti un semplice collegamento logico, ma sia necessaria la prova di una programmazione iniziale che abbracci tutti gli illeciti.

I Fatti del Caso: Due Condanne a Dieci Anni di Distanza

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra due distinti gruppi di reati. La prima condanna riguardava fatti risalenti al biennio 2004/2005, mentre la seconda si riferiva a reati commessi tra il 2015 e il 2017. La richiesta, finalizzata a ottenere un trattamento sanzionatorio più mite, era stata già respinta dalla Corte di Appello, la quale aveva negato la sussistenza di un “medesimo disegno criminoso”. Il ricorrente, tuttavia, ha impugnato tale decisione, sostenendo un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione.

La Decisione della Corte sulla continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione dei giudici di merito. I magistrati hanno ritenuto che il ricorrente si fosse limitato a proporre una lettura alternativa degli elementi già vagliati, senza evidenziare reali fratture logiche nella motivazione della Corte di Appello. Quest’ultima, infatti, aveva adeguatamente giustificato il proprio diniego sulla base di una serie di indicatori oggettivi che contrastavano con l’idea di un piano criminoso unitario.

L’Assenza di un Progetto Iniziale come ostacolo alla continuazione tra reati

Il punto centrale della decisione della Cassazione risiede nella mancanza di prove circa un’originaria e unitaria progettazione dei comportamenti illeciti. I giudici hanno evidenziato come diversi fattori deponessero contro tale ipotesi:

* La distanza temporale: Oltre un decennio separava i due gruppi di reati.
* La diversa compagine associativa: I gruppi criminali con cui il soggetto aveva operato erano differenti.
* Il diverso volume d’affari e le competenze territoriali: Le attività illecite successive presentavano caratteristiche operative e geografiche diverse dalle prime.

La Corte ha sottolineato che non vi era alcun elemento per dimostrare che l’imputato, già nel 2004, avesse programmato di assumere, più di dieci anni dopo, un ruolo di tramite tra due gruppi criminali con cui, all’epoca, non aveva rapporti.

Il Principio del “Favor Rei” e i Limiti del Giudicato

Un altro aspetto interessante toccato dall’ordinanza riguarda il principio del “favor rei”. Sebbene l’accertamento dell’identità del disegno criminoso non possa essere basato sul mero dubbio, la Cassazione chiarisce che il riconoscimento della continuazione incide sulla certezza del giudicato. Pertanto, l’applicazione estensiva di questo istituto, in assenza di prove concrete, rischierebbe di minare la stabilità delle sentenze definitive. Il ricorso è stato quindi considerato un tentativo di rimettere in discussione il merito della valutazione, compito precluso al giudice di legittimità.

le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità affermando che il ricorrente non ha sollevato questioni di legittimità, ma ha cercato di ottenere una nuova valutazione dei fatti. La Corte di Appello aveva già offerto una motivazione logica e coerente, immune da vizi, per negare la continuazione. I giudici di merito avevano correttamente analizzato tutti gli indicatori rilevanti: la notevole distanza temporale tra i fatti, le diverse compagini criminali coinvolte, il differente volume d’affari e le diverse competenze territoriali. Secondo la Suprema Corte, questi elementi erano sufficienti a escludere che i reati commessi a distanza di oltre dieci anni potessero essere ricondotti a una programmazione criminosa concepita sin dall’inizio. Mancava, in sostanza, la prova che il piano del 2015-2017 fosse già stato ideato nel 2004, rendendo impossibile applicare l’istituto della continuazione.

le conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, è indispensabile fornire la prova rigorosa di un’unica programmazione iniziale. Un lungo intervallo di tempo, unito a significative differenze nelle modalità esecutive e nel contesto criminale, costituisce un forte indizio contrario. La decisione conferma che il dubbio sulla sussistenza del disegno criminoso non può risolversi a favore del reo in questa fase, poiché ciò comprometterebbe la certezza del giudicato. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando si può chiedere il riconoscimento della continuazione tra reati?
Si può chiedere quando si sono commessi più reati che, secondo chi avanza la richiesta, erano parte di un unico piano criminoso concepito sin dall’inizio. L’obiettivo è ottenere un calcolo della pena complessiva più favorevole, come previsto dall’art. 81 del codice penale.

Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude sempre la continuazione?
Non la esclude automaticamente, ma la rende molto difficile da provare. Come chiarito dalla Cassazione in questo caso, un lasso temporale di oltre dieci anni, unito ad altre differenze (come i complici o l’area di operatività), è un elemento molto forte per negare l’esistenza di un piano unitario iniziale.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava vizi di legge o di logica nella decisione della Corte di Appello, ma si limitava a proporre una diversa interpretazione degli stessi fatti. La Cassazione non può riesaminare il merito delle prove, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione, che in questo caso sono state ritenute adeguate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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