Continuazione tra Reati: La Prova del Disegno Criminoso Unico
L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, consentendo di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22773/2024, è tornata a pronunciarsi sui rigidi criteri necessari per dimostrare tale unicità di progetto, soprattutto quando i reati sono separati da un lungo arco temporale. La decisione sottolinea come non basti un semplice collegamento logico, ma sia necessaria la prova di una programmazione iniziale che abbracci tutti gli illeciti.
I Fatti del Caso: Due Condanne a Dieci Anni di Distanza
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra due distinti gruppi di reati. La prima condanna riguardava fatti risalenti al biennio 2004/2005, mentre la seconda si riferiva a reati commessi tra il 2015 e il 2017. La richiesta, finalizzata a ottenere un trattamento sanzionatorio più mite, era stata già respinta dalla Corte di Appello, la quale aveva negato la sussistenza di un “medesimo disegno criminoso”. Il ricorrente, tuttavia, ha impugnato tale decisione, sostenendo un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione.
La Decisione della Corte sulla continuazione tra reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione dei giudici di merito. I magistrati hanno ritenuto che il ricorrente si fosse limitato a proporre una lettura alternativa degli elementi già vagliati, senza evidenziare reali fratture logiche nella motivazione della Corte di Appello. Quest’ultima, infatti, aveva adeguatamente giustificato il proprio diniego sulla base di una serie di indicatori oggettivi che contrastavano con l’idea di un piano criminoso unitario.
L’Assenza di un Progetto Iniziale come ostacolo alla continuazione tra reati
Il punto centrale della decisione della Cassazione risiede nella mancanza di prove circa un’originaria e unitaria progettazione dei comportamenti illeciti. I giudici hanno evidenziato come diversi fattori deponessero contro tale ipotesi:
* La distanza temporale: Oltre un decennio separava i due gruppi di reati.
* La diversa compagine associativa: I gruppi criminali con cui il soggetto aveva operato erano differenti.
* Il diverso volume d’affari e le competenze territoriali: Le attività illecite successive presentavano caratteristiche operative e geografiche diverse dalle prime.
La Corte ha sottolineato che non vi era alcun elemento per dimostrare che l’imputato, già nel 2004, avesse programmato di assumere, più di dieci anni dopo, un ruolo di tramite tra due gruppi criminali con cui, all’epoca, non aveva rapporti.
Il Principio del “Favor Rei” e i Limiti del Giudicato
Un altro aspetto interessante toccato dall’ordinanza riguarda il principio del “favor rei”. Sebbene l’accertamento dell’identità del disegno criminoso non possa essere basato sul mero dubbio, la Cassazione chiarisce che il riconoscimento della continuazione incide sulla certezza del giudicato. Pertanto, l’applicazione estensiva di questo istituto, in assenza di prove concrete, rischierebbe di minare la stabilità delle sentenze definitive. Il ricorso è stato quindi considerato un tentativo di rimettere in discussione il merito della valutazione, compito precluso al giudice di legittimità.
le motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità affermando che il ricorrente non ha sollevato questioni di legittimità, ma ha cercato di ottenere una nuova valutazione dei fatti. La Corte di Appello aveva già offerto una motivazione logica e coerente, immune da vizi, per negare la continuazione. I giudici di merito avevano correttamente analizzato tutti gli indicatori rilevanti: la notevole distanza temporale tra i fatti, le diverse compagini criminali coinvolte, il differente volume d’affari e le diverse competenze territoriali. Secondo la Suprema Corte, questi elementi erano sufficienti a escludere che i reati commessi a distanza di oltre dieci anni potessero essere ricondotti a una programmazione criminosa concepita sin dall’inizio. Mancava, in sostanza, la prova che il piano del 2015-2017 fosse già stato ideato nel 2004, rendendo impossibile applicare l’istituto della continuazione.
le conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, è indispensabile fornire la prova rigorosa di un’unica programmazione iniziale. Un lungo intervallo di tempo, unito a significative differenze nelle modalità esecutive e nel contesto criminale, costituisce un forte indizio contrario. La decisione conferma che il dubbio sulla sussistenza del disegno criminoso non può risolversi a favore del reo in questa fase, poiché ciò comprometterebbe la certezza del giudicato. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando si può chiedere il riconoscimento della continuazione tra reati?
Si può chiedere quando si sono commessi più reati che, secondo chi avanza la richiesta, erano parte di un unico piano criminoso concepito sin dall’inizio. L’obiettivo è ottenere un calcolo della pena complessiva più favorevole, come previsto dall’art. 81 del codice penale.
Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude sempre la continuazione?
Non la esclude automaticamente, ma la rende molto difficile da provare. Come chiarito dalla Cassazione in questo caso, un lasso temporale di oltre dieci anni, unito ad altre differenze (come i complici o l’area di operatività), è un elemento molto forte per negare l’esistenza di un piano unitario iniziale.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non contestava vizi di legge o di logica nella decisione della Corte di Appello, ma si limitava a proporre una diversa interpretazione degli stessi fatti. La Cassazione non può riesaminare il merito delle prove, ma solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione, che in questo caso sono state ritenute adeguate.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22773 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22773 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN PIETRO IN LAMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 07/12/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; 7
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 7 dicembre 2023, con la quale la Corte di appella di Lecce rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai delitti giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato;
Esaminata la memoria difensiva con istanza ai sensi dell’art. 610 comma 1 cod. proc. pen.;
Ritenuto che, con unico articolato motivo relativo ad erronea applicazione degli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen. e a vizio di motivazione, si propone un’alternativa lettura degli elementi già compiutamente valutati dal giudice dell’esecuzione con adeguata motivazione, immune da fratture logiche e rispettosa delle risultanze;
che, asseverata l’assenza di una precedente condanna per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (non potendo valere come elemento succedaneo della partecipazione alla cosca il fatto che la sua militanza in un’associazione ex art. 74 d.P.R. 309/90, accertata con la prima condanna, era ricollegata agii interessi della RAGIONE_SOCIALE sulla base di elementi non utilizzati per elevare l’imputazione di associazione mafiosa), la Corte di appello ha specificamente motivato su tutti gli altri indicatori dell’unicità del disegno criminoso (la distanza temporale tra le militanze che si assumono in continuazione – 2004/2005 la prima, 2015/2017 la seconda – la differente compagine, il diverso volume d’affari, le diverse competenze territoriali), ma soprattutto sul fatto che non vi erano elementi idonei a dimostrare che egli nel 2004 abbia programmato di assumere oltre dieci anni dopo il ruolo di tramite tra due gruppi della RAGIONE_SOCIALE, con i quali non aveva avuto pregressi rapporti;
che doveva quindi ritenersi indimostrata, alla luce della costante giurisprudenza, l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio (tra le altre, Sez. 4, n. 3337 del 22/12/2016; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008) e l’accertamento dell’identità del disegno criminoso non può essere suffragato dal dubbio sulla sua esistenza, in ossequio al principio del “favor rei”, in quanto il riconoscimento della continuazione tra reati incide sulla certezza del giudicato in relazione al profilo della irrogazione della pena (Sez. 1, n. 30977 del 26/06/2019);
che anche nella memoria difensiva il ricorrente ripropone censura inerenti il merito della decisione, visto che si duole della lettura e dell’interpretazione dei contenuti e delle motivazioni delle sentenze di riferimento ai fini della valutazione della sussistenza del medesimo disegno criminoso;
Per queste ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 maggio 2024
Il Consigliere estensore
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