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Continuazione tra reati: obbligo di motivazione

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza della Corte d’Appello che negava l’applicazione della continuazione tra reati. Il provvedimento è stato giudicato viziato da una motivazione carente e apparente, in quanto il giudice non si era confrontato con le specifiche argomentazioni difensive né con le direttive di una precedente sentenza di annullamento. La Suprema Corte ha quindi rinviato il caso per un nuovo esame, sottolineando l’importanza di una valutazione effettiva e non meramente formale.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: la Cassazione annulla per motivazione carente

La corretta applicazione dell’istituto della continuazione tra reati rappresenta un momento cruciale nella fase esecutiva della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: il giudice dell’esecuzione non può respingere un’istanza con una motivazione apparente o slegata dalle specifiche argomentazioni difensive. La decisione analizzata, infatti, annulla con rinvio un’ordinanza proprio per un palese vizio di motivazione, sottolineando l’obbligo di un esame approfondito e non meramente formale. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi di diritto espressi dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un condannato che aveva richiesto il riconoscimento della continuazione tra reati in fase esecutiva, con riferimento a due distinte sentenze definitive. La prima condanna riguardava la partecipazione a un’associazione di stampo mafioso dal 1983 al 2004, mentre la seconda si riferiva alla partecipazione a un’associazione finalizzata al narcotraffico e a un’altra associazione mafiosa tra il 2004 e il 2008.

In un primo momento, la Corte d’Appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva dichiarato l’istanza inammissibile. Tale provvedimento era stato però annullato dalla Corte di Cassazione, la quale aveva rilevato l’eccessiva brevità della motivazione, che non consentiva di verificare se il giudice avesse effettivamente valutato la novità della richiesta rispetto a una precedente.

A seguito dell’annullamento, la causa era tornata alla Corte d’Appello, la quale, con una nuova ordinanza, respingeva nuovamente la richiesta. È contro questo secondo provvedimento che il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali:

1. La totale inosservanza del contenuto della precedente sentenza di annullamento.
2. La mancanza di una motivazione effettiva, poiché l’ordinanza impugnata si limitava a riproporre il contenuto di una decisione ancora più vecchia (del 2018), relativa a una richiesta diversa che coinvolgeva ben cinque sentenze e non solo le due oggetto dell’ultima istanza.

L’obbligo di valutazione nella continuazione tra reati

Il ricorrente ha evidenziato come la Corte d’Appello non si fosse minimamente confrontata con le nuove deduzioni difensive, depositate con l’istanza e con una successiva memoria. La difesa invitava il giudice a considerare la connessione tra l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e quella mafiosa, oggetto della seconda condanna, per valutare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Invece di adempiere a tale compito, il giudice del rinvio ha ignorato le direttive della Cassazione e ha emesso un provvedimento la cui motivazione era meramente apparente, poiché non pertinente alla specifica richiesta formulata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando per un nuovo giudizio ad un’altra sezione della Corte d’Appello.

Le Motivazioni

Il punto centrale della decisione risiede nelle “carenze motivazionali” del provvedimento impugnato. La Cassazione ha stabilito che il giudice del rinvio, a seguito di un annullamento, ha il preciso dovere di conformarsi ai principi di diritto enunciati e di riesaminare il caso tenendo conto delle specifiche censure che hanno portato all’annullamento. Nel caso di specie, la Corte d’Appello non ha dimostrato di averlo fatto. Non ha analizzato le allegazioni difensive, né ha colto gli elementi di novità della richiesta rispetto alle precedenti. La motivazione addotta, che faceva leva sulla distanza temporale e sulla diversità delle compagini associative, era stata formulata senza un reale confronto con gli argomenti proposti dalla difesa, risultando così una formula stereotipata e non una risposta concreta al caso specifico.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza che il diritto alla difesa e il principio del giusto processo esigono che ogni provvedimento giurisdizionale sia supportato da una motivazione reale, logica e completa. Un giudice non può eludere il suo dovere di valutazione, specialmente quando la Cassazione ha già indicato la necessità di un approfondimento. La decisione di annullare nuovamente l’ordinanza e di rinviare la causa per un terzo esame serve da monito: la giustizia non può accontentarsi di risposte formali, ma deve entrare nel merito delle questioni per garantire che i diritti dei singoli siano tutelati in ogni fase del procedimento, compresa quella esecutiva.

Può un giudice rigettare una nuova istanza copiando la motivazione di un vecchio provvedimento?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la motivazione deve essere effettiva, pertinente e deve confrontarsi con le specifiche argomentazioni difensive presentate. Copiare una motivazione precedente, peraltro relativa a una richiesta diversa, costituisce un vizio di motivazione che rende illegittimo il provvedimento.

Cosa significa “annullamento con rinvio” in questo specifico caso?
Significa che la decisione della Corte d’Appello è stata cancellata. La Corte di Cassazione ha ordinato che un’altra sezione della stessa Corte d’Appello riesamini da capo la richiesta di continuazione, questa volta tenendo conto delle indicazioni fornite dalla Cassazione e valutando nel merito le argomentazioni della difesa.

Qual è il ruolo del giudice dopo un primo annullamento da parte della Cassazione?
Il giudice del rinvio (cioè quello a cui il caso viene rimandato) è vincolato a riesaminare la questione attenendosi ai principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento. Non può ignorare le censure mosse dalla Suprema Corte e deve fornire una nuova motivazione che superi i vizi precedentemente riscontrati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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