Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38433 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38433 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nata a Milano l’DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona del 14/9/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATrO
Con ordinanza resa in data 14.9.2023, il Tribunale di Ancona, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato una richiesta, formulata nell’interesse di COGNOME NOME, di applicazione della disciplina della continuazione in ordine alle sentenze del Tribunale di Ancona del 15.7.2015 di condanna ad anni cinque e mesi otto di reclusione ed euro 1.200 di multa per i reati di cui agli artt. 648 e 629 cod. pen. (commessi in Osimo tra ottobre e novembre 2010; nel dicembre 2010;
nel gennaio 2011) e del Tribunale di Ancona del 6.2.2014 di condanna ad anni tre di reclusione ed euro 600 di multa per il reato di cui all’art. 628 cod. pen. (in Loreto il 9.12.2010).
Il tribunale ha ritenuto l’istanza non meritevole di accoglimento, in quanto non ha ravvisato l’unica programmazione criminosa: l’analisi delle sentenze di merito – si sostiene nell’ordinanza – restituisce il quadro di un soggetto incline alla commissione di condotte criminose contro il patrimonio, che, sebbene compiute nel medesimo arco temporale e spaziale, presentano una diversità strutturale e ideativa.
Infatti, in un caso, l’imputata è stata condannata per aver ricevuto polizze di deposito sottratte ad un’anziana e per essersi fatta consegnare in modo estorsivo dalla stessa anziana somme di denaro per la loro restituzione. Nell’altro, è stata condannata per una rapina impropria aggravata, commessa in un supermercato, in concorso con persona ignota, e avente ad oggetto giocattoli, per conseguire i quali aveva usato violenza nei confronti di un addetto all’esercizio commerciale.
I reati in questione – ad avviso del Tribunale – si caratterizzano per una diversa matrice ed essenza fattuale: le condotte non sono realmente omogenee e solo per i reati della prima sentenza si intravede una strutturazione della condotta, mentre il secondo è frutto di una determinazione improvvisa e non programmata.
Avverso tale ordinanza, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, articolando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. c), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen. e 6 comma 3 CEDU.
Lamenta che l’ordinanza del giudice dell’esecuzione sia nulla, in quanto l’udienza camerale è stata celebrata in assenza dell’interessata che aveva presentato richiesta di partecipare, rigettata in quanto detenuta fuori circondario. Di conseguenza, si è verificata una violazione dell’art. 666, comma 4, cod. proc. pen. perché il tribunale non ha ritenuto di disporre la traduzione, né di procedere all’audizione del detenuto mediante collegamento a distanza.
2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., erronea o falsa applicazione degli artt. 81 comma 2 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., nonché illogicità della motivazione.
Il ricorso rileva che gli indicatori prospettati dalla difesa – contiguità spaziotemporale, omogeneità delle violazioni e del bene protetto, modalità della condotta – escludevano l’occasionalità delle condotte, mentre il tribunale, invece, non ha proceduto ad una loro approfondita verifica, rilevando il solo dato temporale ritenuto insufficiente e non tenendo conto degli altri indicatori.
Con requisitoria scritta del 30.4.2024, il AVV_NOTAIO Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Sul primo motivo, ha rilevato che la condannata era detenuta fuori dal circondario e che non è risultato un consenso espresso all’attivazione del collegamento a distanza: in ogni caso, si tratterebbe di una nullità rimasta sanata, in quanto non dedotta dal difensore presente in udienza. Sul secondo motivo, ha osservato che le considerazioni del giudice dell’esecuzione sono esenti da errori logici e giuridici e che il ricorrente non si confronta realmente con le stesse, affermando apoditticamente che è da escludersi la estemporaneità dei reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono infondati per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che al ricorso è stata allegata la dichiarazione rilasciata in data 28.8.2023 da COGNOME COGNOME alla Direzione della RAGIONE_SOCIALE Circondariale di Pesaro ove era in quel momento detenuta, con la quale la predetta chiedeva che fosse disposta la sua traduzione all’udienza del 7.9.2023 alla quale intendeva presenziare.
Ora, ai sensi dell’art. 666, comma 4, c.p.p., l’interessato detenuto in luogo posto fuori dal circondario del giudice procedente ha diritto, non di essere tradotto in udienza, bensì di essere sentito se ne fa richiesta (mediante collegamento a distanza se vi consente oppure dal magistrato di sorveglianza del luogo in cui si trova).
In questo caso, la detenuta ha chiesto di partecipare, non di essere sentita, sicché correttamente il giudice dell’esecuzione ha disposto, in calce alla dichiarazione della COGNOME, che non si procedesse alla traduzione, “trattandosi di detenuta fuori dal Circondario del Tribunale”.
Di conseguenza, non viene in rilievo in questione alcuna questione di nullità, che peraltro nemmeno è stata eccepita nella successiva udienza camerale dinanzi al giudice dell’esecuzione dal difensore della COGNOME (si veda il verbale, allegato agli atti).
Quanto al secondo motivo, deve premettersi che, in tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Sez. 1, n. 12936 del 3/12/2018, dep. 2019, D’Andrea, Rv. 275222 – 01).
=
Ebbene, nel caso di specie il giudice dell’esecuzione ha adeguatamente valutato i fatti già giudicati e, in base alla considerazione della tipologia dei reati e delle loro singole causali, ha ritenuto di escludere che i reati fossero riconducibili ad una preordinazione di fondo, con una motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria fondata sul difetto di reale omogeneità delle condotte in esame (una delle quali frutto di una determinazione estemporanea e indicativa di una propensione personale al reato piuttosto che di una programmazione criminosa).
Peraltro, la circostanza, stigmatizzata nel ricorso, che il provvedimento impugnato, pur riconoscendo la contiguità spazio-temporale dei reati presi in considerazione, non abbia poi ravvisato il vincolo della continuazione tra loro, è invece del tutto conforme al principio secondo cui il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori (quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita) e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 dell’8.6.2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01).
La contiguità temporale delle violazioni, seppure indicativa di una scelta delinquenziale, non consente, da sola, di ritenere che i reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013, dep. 2014, P., Rv. 259094 – 01).
Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
O -11 GLYPH Così deciso il 7.6.2024