Continuazione tra Reati: No Senza un Unico Disegno Criminoso Iniziale
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento per mitigare il trattamento sanzionatorio quando più crimini sono legati da un unico progetto. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che i suoi presupposti sono rigorosi e non possono essere presunti. Il caso in esame chiarisce che la semplice contiguità temporale o spaziale dei reati non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.
I Fatti del Caso
Il ricorrente si era rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di applicare la disciplina della continuazione tra reati a tre diverse condanne definitive. Nello specifico, si trattava di una condanna per tentato omicidio e due condanne per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.), relative alla partecipazione a due distinti sodalizi criminali in periodi diversi. La Corte di Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato la richiesta, ritenendo che mancassero i presupposti per unificare i reati sotto un unico disegno criminoso.
Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato che i reati si inserivano nel medesimo contesto e che, di conseguenza, dovevano essere visti come l’attuazione di un unico progetto.
La Valutazione della Corte sulla Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno sottolineato che la decisione impugnata era correttamente motivata e in linea con i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. Il punto centrale del ragionamento della Corte risiede nella definizione e nella prova del “medesimo disegno criminoso”.
Perché si possa applicare la continuazione tra reati, non basta che i crimini siano commessi dalla stessa persona in un arco di tempo ravvicinato. È indispensabile dimostrare che l’agente abbia concepito, fin dalla commissione del primo reato, un piano unitario che prevedesse, almeno nelle sue linee generali, la commissione dei reati successivi. Si tratta di un’anticipata deliberazione che lega tutte le condotte illecite.
Le Motivazioni
Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha evidenziato diversi elementi che escludevano l’esistenza di un unico disegno criminoso:
1. Diversità delle Associazioni: Le due associazioni criminali a cui il ricorrente aveva partecipato erano completamente diverse, guidate da leader differenti. Questo elemento già di per sé suggerisce l’esistenza di due distinti pactum sceleris (patti criminali), anziché uno solo.
2. Interruzione della Condotta: La partecipazione del soggetto ai due sodalizi era stata intervallata da un periodo di detenzione. Questa interruzione fattuale e temporale ha ulteriormente indebolito la tesi di un piano criminoso unitario e ininterrotto.
3. Natura Imprevedibile dell’Omicidio: Il tentato omicidio non appariva come l’attuazione di un piano preordinato, ma piuttosto come una decisione estemporanea e non specificamente prevedibile all’interno del programma criminoso iniziale.
La Corte ha ribadito che l’identità del disegno criminoso deve essere rintracciabile sin dall’inizio e non può essere desunta a posteriori solo dalla contiguità dei fatti. Inoltre, il ricorso è stato giudicato inammissibile anche perché mirava a una rivalutazione dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità, dove la Corte può giudicare solo sulla corretta applicazione della legge e non sul merito delle prove.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di continuazione tra reati: la prova di un unico e preesistente disegno criminoso è un requisito imprescindibile. Non è sufficiente che i reati siano omogenei o commessi nello stesso ambiente criminale. È necessaria una deliberazione unitaria che preceda la prima azione e che abbracci le successive. In assenza di indicatori specifici che dimostrino tale programmazione iniziale, ogni reato deve essere considerato autonomo. Questa decisione serve da monito sulla necessità di una rigorosa prova dei presupposti per l’applicazione di un istituto di favore come quello del reato continuato.
Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione tra reati si può applicare solo quando è provato che esisteva un unico e medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario concepito prima della commissione del primo reato che prevedesse, almeno nelle linee generali, anche i reati successivi.
Perché in questo caso specifico è stata negata la continuazione?
È stata negata perché le due associazioni criminali erano distinte e guidate da persone diverse, la partecipazione era stata interrotta da un periodo di detenzione e il tentato omicidio è stato ritenuto una decisione non specificamente pianificata fin dall’inizio, ma scaturita da una decisione imprevedibile.
Cosa accade se un ricorso in Cassazione chiede una nuova valutazione dei fatti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non di merito, quindi non può riesaminare le prove o fornire una diversa interpretazione dei fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5408 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5408 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/04/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che con il provvedimento impugnato la Corte dì Appello di Messina, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di COGNOME NOME di ritenere ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. la continuazione tra i reati di cui alle sentenze della Corte di Appello di Messina del 26/3/2004 per tentato omicidio commesso il 18/19/2002, della Corte di Assise di Appello di Messina del 12/7/2011 per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. commesso fino al gennaio 2000 e della Corte di Appello di messina del 17/6/2021 per il reato di cui all’art. 416 bis cod. peAtCommesso dall’anno 1997 con condotta perdurante;
Rilevato che con il ricorso si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. evidenziando che la conclusione del giudice sarebbe errata in quanto non avrebbe adeguatamente valutato quanto emerge dalle sentenze e considerato che le due associazioni e l’omicidio si inseriscono nel medesimo contesto spaziale e temporale, anche sovrapponendosi;
Rilevato che il provvedimento impugnato ha adeguatamente motivato quanto alla necessità che l’identità del disegno criminoso debba essere rintracciabile sin dalla commissione del primo reato e come questo non sia desumibile dagli atti -dai quali risulta che le due associazioni erano completamente diverse (una diretta da NOME COGNOME e l’altra da NOME COGNOME), che la partecipazione alle stesse è intervallata da un periodo di detenzione (tanto che nella sostanza deve ritenersi che il pactum sceleris sia distinto) e che l’omicidio è scaturito da una decisione non specificamente prevedibile- non emerge alcuno specifico indicatore che consenta di applicare l’invocata disciplina di favore (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01; Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 28n375 – 01; Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, COGNOME, Rv. 271569 – 01; Sez. i, n. 13609 del 22/03/2011, COGNOME, Rv. 249930 – 01);
Ritenuto pertanto che il ricorso è inammissibile in quanto le doglianze sono manifestamente infondate e in parte tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura che non è consentita in questa sede (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 25/1/2024