Continuazione tra Reati: L’Unicità del Disegno Criminoso è Decisiva
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di continuazione tra reati: l’appartenenza allo stesso contesto criminale non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Questo concetto è cruciale per comprendere quando più reati possono essere unificati ai fini della pena e quando, invece, devono essere considerati come episodi distinti e autonomi. L’analisi di questo caso offre spunti essenziali per capire la logica che guida i giudici in decisioni così complesse.
I Fatti del Caso
Il ricorrente, già condannato per due omicidi, aveva presentato un’istanza ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale per ottenere il riconoscimento della continuazione tra i due delitti. I fatti di sangue erano avvenuti a dieci anni di distanza l’uno dall’altro: il primo nel 1996 e il secondo nel 2006. In entrambi i casi, l’imputato agiva nell’ambito dello stesso clan camorristico.
Tuttavia, le circostanze dei due crimini erano profondamente diverse. Il primo omicidio fu commesso su ordine del vertice del proprio clan, ma nell’interesse di un’organizzazione alleata. Il secondo, invece, scaturì da ragioni interne al clan di appartenenza del ricorrente, emerse solo a ridosso dell’esecuzione materiale del delitto. La Corte d’Appello aveva già respinto la richiesta, sottolineando l’autonomia delle due determinazioni criminose. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione.
La Decisione sulla Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Secondo gli Ermellini, le censure presentate dal ricorrente erano generiche, si limitavano a contestare la ricostruzione dei fatti e risultavano manifestamente infondate. La Corte ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per applicare l’istituto della continuazione tra reati, in quanto mancava l’elemento essenziale: l’unicità del disegno criminoso.
L’Autonomia delle Decisioni Criminali
Il punto focale della decisione risiede nella netta separazione tra le due condotte omicidiarie. Nonostante fossero entrambe riconducibili all’adesione del condannato alla medesima organizzazione criminale, la Corte ha stabilito che non sono scaturite da una decisione comune e unitaria. Al contrario, sono state il frutto di “risoluzioni estemporanee originate da fattori scatenanti non solo diversi e tra loro non collegati”.
La distanza temporale di ben dieci anni tra i due eventi, unita alla diversità dei moventi, è stata considerata un elemento decisivo per escludere una programmazione unitaria. Il primo omicidio rispondeva a logiche di alleanze tra clan, mentre il secondo a dinamiche interne sorte molto tempo dopo.
Le Motivazioni
La Suprema Corte ha spiegato che, per riconoscere la continuazione, è necessario che i diversi reati siano stati concepiti e programmati come parte di un unico piano fin dall’inizio. In questo caso, mancava questa programmazione iniziale. I giudici hanno ritenuto che elementi come l’identità del bene giuridico protetto (la vita), il modus operandi e il contesto camorristico fossero recessivi e meno importanti rispetto alla dimostrata autonomia delle singole volontà criminali.
Il ricorso, secondo la Corte, si limitava a sollecitare una lettura alternativa delle prove, un’operazione che non rientra nei poteri della Cassazione, la quale giudica solo sulla corretta applicazione della legge e non sul merito dei fatti. La decisione impugnata è stata quindi considerata logica e priva di vizi motivazionali. A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
Questa ordinanza riafferma con chiarezza che la continuazione tra reati non è un automatismo derivante dal comune contesto criminale. È indispensabile provare che l’agente abbia deliberato, sin dall’inizio, un piano che prevedeva la commissione di più reati. La significativa distanza temporale e la diversità dei moventi sono indicatori potenti che possono smontare la tesi di un unico disegno criminoso, portando a considerare ogni reato come il prodotto di una decisione autonoma e, di conseguenza, a sanzionarlo separatamente.
Cosa si intende per continuazione tra reati?
È un istituto giuridico che permette di considerare più reati, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, come un’unica violazione di legge, portando all’applicazione di una pena più favorevole rispetto alla somma aritmetica delle pene previste per ogni singolo reato.
Perché la Corte ha negato la continuazione in questo caso specifico?
La Corte ha negato la continuazione perché ha ritenuto che i due omicidi, sebbene commessi nell’ambito dello stesso clan, non derivassero da un unico piano iniziale. I delitti sono stati originati da fattori scatenanti diversi, non collegati tra loro, e commessi a dieci anni di distanza, dimostrando l’assenza di un medesimo disegno criminoso.
L’appartenenza alla stessa organizzazione criminale è sufficiente per ottenere la continuazione tra reati?
No. Come chiarito dalla sentenza, l’appartenenza allo stesso contesto criminale è un elemento da considerare, ma non è di per sé sufficiente. È necessario dimostrare che i vari reati erano parte di un progetto unitario deliberato fin dall’inizio, cosa che nel caso di specie è stata esclusa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34616 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34616 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PORTICI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/03/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che le censure articolate da NOME COGNOME in tutti i motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente in ragione della connessione logica delle questioni poste, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perché costitute da mere doglianze in punto di fatto e, comunque, sono generiche e manifestamente infondate laddove denunzia vizi motivazionali.
Il provvedimento impugnato ha ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati giudicati dalle sentenze oggetto dell’istanza, con rilievo decisivo, la autonomia delle rispettive determinazioni criminose posto che le condotte omicidiarie ai danni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, in relazione alle quali è stata avanzata l’istanza ex art. 671 cod. proc. pen., per quanto entrambe riferibili all’adesione del condannato ad alla stessa organizzazione criminale, non sono scaturite da una decisione comune correlata alla specifica fase di vita ed operatività del sodalizio, bensì costituiscono il frutto risoluzioni estemporanee originate da fattori scatenanti non solo diversi e tra loro non collegati, per di più verificatisi a ben dieci anni di distanza l’un dall’altra (COGNOME nel 1996 aveva ucciso NOME COGNOME su ordine del vertice del can COGNOME ma nell’interesse del clan COGNOME;nel 2006 aveva partecipato all’omicidio di COGNOME per ragioni interne al clan COGNOME, manifestatesi soltanto a ridosso dell’esecuzione materiale).
Le censure del ricorrente, oltre a sollecitare una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice di merito, prospettano una rivalutazione di elementi già presi in esame, ma considerati giustificatamente recessivi e meno preganti (identità del bene giuridico protetto, del modus operandi, del contesto camorristico di riferimento).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrenté al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della casa delle ammende.
(
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna . 91 ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso, in Roma 1 luglio 2024.