Continuazione tra reati: la Cassazione chiarisce i limiti
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un importante strumento di favore per il condannato, ma la sua applicazione non è automatica. Con l’ordinanza n. 20272/2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la semplice reiterazione di condotte illecite non è sufficiente a integrare un medesimo disegno criminoso. È necessaria la prova di una programmazione unitaria e originaria, che mancherebbe in caso di reati eterogenei e commessi in un ampio arco temporale.
I fatti del caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Brindisi. Il ricorrente aveva richiesto, in fase esecutiva, il riconoscimento della continuazione tra reati per tre diverse sentenze irrevocabili. L’obiettivo era ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole, unificando le pene come se i diversi reati fossero espressione di un unico progetto criminale.
Il GIP aveva rigettato la richiesta, ritenendo che i reati in questione non fossero omogenei né riconducibili a una preordinazione comune. A pesare sulla decisione erano state l’eterogeneità esecutiva dei delitti e l’ampiezza dell’arco temporale in cui erano stati perpetrati, compreso tra il marzo 2015 e il giugno 2016. Tali elementi, secondo il giudice, impedivano di ravvisare un’originaria e unitaria progettazione criminale.
La decisione della Corte di Cassazione sulla continuazione tra reati
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, esaminato il ricorso, lo ha dichiarato inammissibile, confermando di fatto la linea del GIP. La Corte ha condiviso l’analisi del giudice di merito, sottolineando come le caratteristiche dei reati contestati escludessero la possibilità di applicare l’istituto della continuazione.
La decisione si fonda sulla distinzione tra una scelta di vita dedicata al crimine e la specifica programmazione di una serie di illeciti, che è il presupposto della continuazione. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende ha sigillato l’esito negativo del ricorso.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha articolato le sue motivazioni su due pilastri concettuali.
In primo luogo, ha evidenziato l’assenza dei requisiti per la continuazione tra reati. I giudici hanno specificato che la notevole distanza temporale tra i fatti e la diversità delle modalità esecutive dei reati impedivano di ritenere provata “l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi”. Un medesimo disegno criminoso, infatti, richiede un’unica deliberazione iniziale che abbracci tutti gli episodi delittuosi successivi. Quando i reati sono eterogenei e temporalmente distanti, è più plausibile che siano frutto di decisioni estemporanee piuttosto che di un piano unitario.
In secondo luogo, la Corte ha tracciato una netta linea di demarcazione tra la continuazione e altre figure giuridiche che sanzionano la persistenza nel crimine, come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato. Mentre queste ultime sanzionano una tendenza a delinquere o uno stile di vita, la continuazione è un istituto di favor rei, preordinato ad mitigare la pena per chi, pur compiendo più violazioni, lo fa nell’ambito di un unico impulso programmatico. Confondere la reiterazione di condotte illecite con un disegno criminoso unitario snaturerebbe la funzione stessa dell’art. 671 c.p.p.
Le conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso sui presupposti della continuazione tra reati. La decisione chiarisce che non è sufficiente dimostrare di aver commesso più reati in un certo periodo, ma è indispensabile provare che tali reati fossero stati programmati ab origine come parte di un unico piano. La diversità dei delitti e un lungo lasso di tempo tra le condotte sono indici forti che militano contro tale riconoscimento. Per gli operatori del diritto e per chi si trova ad affrontare un processo esecutivo, questa pronuncia funge da monito: la richiesta di continuazione deve essere supportata da elementi concreti che dimostrino un’autentica e preesistente unità di intenti, non una mera inclinazione a delinquere.
Cosa è necessario per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati?
È necessario dimostrare l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso”, ovvero una programmazione unitaria e originaria che leghi tutti i reati commessi. La semplice ripetizione di condotte illecite non è sufficiente.
Perché la diversità dei reati e l’ampio arco temporale ostacolano la continuazione?
Secondo la Corte, l’eterogeneità esecutiva dei delitti e una notevole distanza temporale tra di essi sono elementi che impediscono di ritenere provata un’unica e originaria progettazione dei comportamenti criminosi, suggerendo piuttosto decisioni criminali prese di volta in volta.
Qual è la differenza tra la continuazione e la recidiva o l’abitualità nel reato?
La continuazione è un istituto di favore (favor rei) che presuppone un unico piano criminoso e porta a una pena più mite. La recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato, invece, sanzionano la persistenza nel crimine come espressione di un programma di vita, secondo un parametro diverso e opposto a quello della continuazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20272 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20272 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TRAMACERE NOME NOME a MESAGNE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 02/02/2024 del GIP TRIBUNALE di BRINDISI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
EsamiNOME il ricorso, così come integrato dalle memorie difensive depositate nell’interesse del ricorrente, proposto avverso l’ordinanza del 2 febbraio 2024, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindis rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1, 2 e 3 provvedimento impugNOME.
Ritenuto che le ipotesi di reato di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee e non erano riconducibili a una preordinazione, tenuto conto dell’eterogeneità esecutiva dei delitti commessi da NOME COGNOME e della notevole ampiezza dell’arco temporale in cui tali reati erano stati commessi, compreso tra il marzo del 2015 e il giugno del 2016, che impedivano di ritenere dimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
Ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nel caso di COGNOME, venendo sanzionata da fattispecie differenti, quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordiNOME al favor rei (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, Abbassi, Rv. 252950 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 maggio 2024.