Continuazione tra Reati: Quando la Cassazione Dice No
L’istituto della continuazione tra reati è un meccanismo fondamentale del nostro ordinamento penale, che permette di mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge in esecuzione di un unico piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede la prova rigorosa di un elemento chiave: il ‘medesimo disegno criminoso’. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini di questo istituto, chiarendo che la semplice ripetizione di delitti, anche se ravvicinati nel tempo, non è sufficiente a integrare la continuazione.
Il Caso in Esame: Una Richiesta Respinta
Il caso trae origine dal ricorso di un individuo condannato con sentenze irrevocabili per diversi reati commessi in un arco temporale di circa tre anni (tra ottobre 2017 e ottobre 2020). L’interessato si era rivolto alla Corte d’Appello chiedendo, in fase di esecuzione, il riconoscimento della continuazione tra reati, al fine di ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole.
La Corte d’Appello aveva rigettato la richiesta, spingendo il ricorrente a rivolgersi alla Corte di Cassazione. I motivi del ricorso si basavano sia su presunti vizi procedurali (mancata notifica dell’avviso di udienza) sia, nel merito, sulla sussistenza di un legame tra i vari reati commessi.
La Decisione della Cassazione sulla Continuazione tra Reati
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici d’appello. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa dei presupposti necessari per l’applicazione dell’articolo 671 del codice di procedura penale. I giudici hanno inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Perché Non C’è Continuazione?
L’ordinanza offre spunti cruciali per comprendere la logica dietro il diniego del beneficio. Le motivazioni della Corte possono essere suddivise in due punti principali.
L’Assenza di un Disegno Criminoso Unitario
Il cuore della decisione risiede nella mancanza di prova di un ‘medesimo disegno criminoso’. La Corte ha osservato che i reati contestati non erano omogenei e presentavano una notevole ‘eterogeneità esecutiva’. In altre parole, le modalità con cui i crimini erano stati commessi erano diverse e non riconducibili a un unico schema operativo preordinato.
Inoltre, l’ampio arco temporale in cui si sono svolti i fatti (tre anni) è stato considerato un elemento decisivo per escludere una progettazione originaria e unitaria. Secondo la giurisprudenza consolidata, il disegno criminoso deve essere unico e deliberato prima dell’inizio della commissione dei reati, come un piano generale che prevede le diverse tappe criminose. In questo caso, la distanza temporale e la diversità dei delitti rendevano inverosimile tale pianificazione iniziale.
La Differenza tra Reiterazione e Programma di Vita
La Corte ha tracciato una distinzione fondamentale: la reiterazione di condotte illecite non equivale automaticamente alla continuazione tra reati. Al contrario, essa può essere l’espressione di un ‘programma di vita improntato al crimine’.
Questa tendenza a delinquere, che si manifesta con la ripetizione di reati, trova la sua sanzione in altri istituti giuridici specifici, come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato. Confondere questa inclinazione criminale con il medesimo disegno criminoso significherebbe applicare l’istituto della continuazione al di fuori dei suoi confini, concedendo un beneficio non meritato.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza della Cassazione ribadisce un principio cardine: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, non basta aver commesso più illeciti. È indispensabile dimostrare che tutti i reati erano parte di un unico piano, concepito a monte, con uno scopo finale ben preciso. La diversità nelle modalità di esecuzione e un lungo lasso di tempo tra i crimini sono forti indicatori dell’assenza di tale piano unitario. Questa pronuncia serve da monito, chiarendo che la ripetitività nel commettere reati qualifica il soggetto come tendenzialmente dedito al crimine, ma non gli garantisce l’accesso a un trattamento sanzionatorio più mite previsto per la sola continuazione.
Che cos’è la continuazione tra reati?
È un istituto giuridico che permette di applicare una pena più mite quando una persona commette più reati in esecuzione di un unico e medesimo piano criminoso, concepito prima di iniziare a delinquere.
La semplice ripetizione di reati nel tempo è sufficiente per ottenere il beneficio della continuazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera reiterazione di condotte illecite non basta. Anzi, può essere considerata espressione di un ‘programma di vita improntato al crimine’, una condizione che viene sanzionata da altri istituti come la recidiva, e non dà diritto alla continuazione.
Quali elementi possono escludere l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’?
Due elementi principali indicati nella decisione sono: l’eterogeneità esecutiva dei delitti (cioè reati commessi con modalità diverse e non omogenee) e un’ampia distanza temporale tra la commissione dei vari reati. Questi fattori rendono improbabile che i delitti fossero stati pianificati in un unico momento iniziale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19912 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19912 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
EsamiNOME il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 17 novembre 2023, con la quale la Corte di appello di Roma rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1-3 del provvedimento impugNOME.
Ritenuto, quanto al primo motivo, che l’omessa notifica dell’avviso dell’udienza in camera di consiglio del 17 novembre 2023 risulta smentito dalle emergenze processuali, che risulta notificata sia al detenuto sia al suo difensore di fiducia, l’AVV_NOTAIO.
Ritenuto, quanto ai due residui motivi, che le ipotesi di reato di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee e non erano riconducibili a una preordinazione, tenuto conto dell’eterogeneità esecutiva dei delitti commessi da NOME e della significativa ampiezza dell’arco temporale in cui i delitti di cui si controverte erano stati commessi, compreso tra 1’11 ottobre 2017 e il 18 ottobre 2020, che impediva di ritenere dimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156 – 01).
Ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nel caso di NOME, venendo sanzionata da altre fattispecie quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 -01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.